Live Report: Trivium a Trezzo sull’Adda (MI)

Di Stefano Burini - 15 Novembre 2012 - 22:00
Live Report: Trivium a Trezzo sull’Adda (MI)

 

TRIVIUM + AS I LAY DYING + CALIBAN + UPON A BURNING BODY

12/11/2012 @ LIVE, TREZZO SULL’ADDA (MI)

 

 

Serata a base di *core, quest’oggi, al Live di Trezzo sull’Adda (MI), in compagnia di tre band (più gli apripista Upon A Burning Body) diventate negli anni, nonostante la pur ancor giovane età, dei punti di riferimento per la scena death/metalcore internazionale: i Trivium, discussi “Young Gods”, alfieri del metal del nuovo millennio, i christian metalcorer californiani As I Lay Dying e una delle formazioni pioniere di queste sonorità all’inizio degli anni duemila, i tedeschi Caliban.

 

 

Giunti in quel di Trezzo per le 19 e 40, lo show degli Upon A Burning Body è da poco iniziato e il Live è già discretamente pieno per essere l’ora di cena. Valichiamo l’ingresso del locale e veniamo immediatamente investiti dall’onda d’urto dei *corer di San Antonio, del tutto a proprio agio nel ruolo di apripista pronti a scaldare la platea in attesa degli headliner. Fin da subito osservando le “pose” e il look è evidente il maggior legame degli UABB con la scena punk/hardcore più che con quella metal tout court, ma il pubblico sembra ad ogni modo apprezzare la grande intensità del loro spettacolo, andando in particolare in visibilio per il divertente intermezzo spagnoleggiante che introduce “Texas Blood Money”, canzone al limite del grindcore, l’unica di cui siamo riusciti a decifrare il titolo. Le prime file saltano sotto le mazzate della batteria mentre le ritmiche arcigne, scandite dallo scapocciare e da passaggi in violentissimo growling ad opera di un Danny Leal in gilet e camicia, sono l’occasione per vedere abbozzi di body surfing, con piedi, ginocchia e caviglie a mezz’aria. La breve setlist si conclude con un altro pezzo decisamente battagliero e con le arringhe di Chris “C.J.” Johnson ad incoraggiare il massacro nel pit: gli Upon A Burning Body non sono un gruppo che rivoluzionerà la musica ma ci mettono tanta energia ed attitudine e possiamo affermare senza timore di smentita che questa sera abbiano ricoperto il ruolo di opening act con grande efficacia.

 

 

 

Ore 20 e 15: addirittura con cinque minuti di anticipo sui tempi entrano in scena, preceduti da un intro dal sapore epico, i tedeschi Caliban. Andreas Dörner, con basettoni d’ordinanza e camicia stile imbianchino post lavoro, aizza immediatamente la folla con il suo screaming assassino, aiutato dal bassista Marco Schaller sulle parti in growl, mentre le ritmiche cadenzate e colme di groove dell’opener colpiscono subito nel segno. La seconda in scaletta, con il suo attacco thrash/death scatena un pogo infernale a centro pista e le corna e il pogo che animano la platea durante l’esecuzione della successiva canone rappresentano la perfetta fusione dello spirito hardcore punk con l’iconografia più classica dell’heavy metal. Dörner introduce “We Are The Many”, tratta dal nuovissimo “I Am Nemesis” e la dedica a Mitch Lucker, cantante dei Suicide Silence recentemente scomparso in un incidente stradale, suscita grandi applausi e approvazione tra il pubblico. Al grido di battaglia di “You’ve Gotta Be Fucking Kidding Me?” il coinvolgimento è totale: sotto il palco è il delirio, fomentato da un demoniaco Dörner, ed un piacere notare anche il diffuso gradimento da parte di molti metallari abbigliati con maglie d’epoca, dai Venom agli Slayer, passando per Overkill e Metallica. Il pezzo seguente, con i suoi terremotanti breakdown intervallati dalle ottime clean vocals di Denis Schimdt, rappresenta il pretesto perfetto per scatenare un wall of death impressionante. Veleggiando verso il finale incrociamo “24 Years”, più deathcore che metalcore, e infine “Memorial”, forte di una delle melodie più belle e riuscite ascoltate finora, sapientemente incastonata tra aspre vocals e riff arcigni: una degna conclusione per un concerto di alto livello da parte di una delle band seminali del death/metalcore moderno.

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Giunge finalmente il turno degli As I Lay Dying, ed è un Lambesis tatuatissimo e talmente muscoloso da far invidia al buon vecchio Schwarzenegger che irrompe sul palco carico a mille fin dall’apertura, mettendo i mostra un growl gutturale degno della vecchia scuola brutal death. I suoni, rispetto a quanto udito finora, paiono più secchi e meno improntati al groove e, con il pubblico ormai al gran completo, il pogo raggiunge proporzioni da battaglia. Dopo un inizio di concerto più improntato all’estremo cominciano a farsi strada brani più melodici in cui Lambesis lascia spesso il testimone a Josh Gilbert per le clean vocals e a Phil Sgrosso alla lead guitar, il tutto inframmezzato da ritmiche thrash spezzacolo decisamente apprezzate. Pugni al cielo per “Paralyzed, di nuovo nobilitata da un bel refrain melodico e da un altro bell’assolo di chitarra, mentre la nuova “Cauterize” riesce nell’impresa di fomentare ancor più i presenti grazie ai forti richiami death/hardcore e all’indovinato ritornello. Con la doppietta composta da “Confined” e “Through Struggle” lo show entra definitivamente nel vivo, tra ritmiche da headbanging continuo e un tostissimo wall of death (con un infortunato transitato proprio davanti al sottoscritto con un occhio nero) cui non manca di prendere parte anche qualche coraggiosa metal girl. “A Greater Foundation”, anch’essa estratta dall’ultimo “Awakened” parte come una bomba di thrash/hardcore, con chitarre mitraglianti e batteria a mille all’ora cui si contrappone il cantato in pulito ora finalmente davvero pieno e convincente di Gilbert, partito un po’  “a fari spenti” e andato in crescendo durante tutto il concerto. Su ”Within Destruction” Lambesis orchestra e poi scatena l’ennesimo circle pit da girone dantesco per poi placare gli animi durante il riuscitissimo bridge atmosferico, la perfetta rappresentazione del concetto di quiete prima della tempesta che sarebbe andata a ri-esplodere di lì a poco. Chiude The Sound Of Truth”, sempre da “An Ocean Between Us”, certamente uno degli album più apprezzati nella discografia dei californiani: potente, intensa e guarnita da un super assolo di chitarra del sempre lodevole Sgrosso. Grande esibizione per una band che ha ormai un buon seguito nel Belpaese e che di certo, dopo l’ottima risposta data dai fan questa sera, non mancherà di passare più spesso dalle nostre parti.

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Setlist
01. Condemned
02. 94 Hours
03. Anodyne Sea
04. Paralyzed
05. Cauterize
06. Through Struggle
07. Nothing Left
08. Confined
09. A Greater Foundation
10. Within Destruction
11. The Sound of Truth

 

 

 

Con qualche minuto di ritardo sull’orario di inizio previsto dal cartellone, si spengono le luci ed è la volta dei Trivium, forse la band in assoluto più criticata e sbeffeggiata, non sempre a torto, di questo inizio di millennio. Senza nulla togliere alle due band che li hanno preceduti, lo show degli As I Lay Dying costituisce un buon terreno di confronto per valutare lo stato di salute della band di Matt Heafy e i Trivium, di fronte ad un pubblico decisamente stipato, cercheranno di certo di piazzare un altro mattoncino nella costruzione (o ri-costruzione, a seconda dei punti di vista) della loro reputazione  e mmagine anche al di qua dell’Atlantico.

Sulle note dell’intro “Capsizing The Sea” Heafy, Beaulieu e compagnia fanno il loro ingresso sul palco, circondati dalle “T” a forma di daga tipiche del loro logo, conficcate nel terreno come proprio come delle spade. Pochi secondi ed un boato accoglie il terremotante incipit di “In Waves”: la vena pare subito quella giusta e i suoni e la cornice sono di tutt’altro livello rispetto a quelli del Gods Of Metal di quest’anno, in cui i Trivium dovettero esibirsi durante il pomeriggio. Molto evidente fin dal primo istante la tendenza live dei floridiani ad indurire in maniera sostanziale i pezzi rispetto alle versioni su disco, con un effetto davvero esaltante su un pubblico alla ricerca di groove e potenza, tanto da chiedersi come mai tale scelta non venga riproposta anche in studio, al fine di migliorare in maniera determinante la resa di pezzi già di per sé buoni/ottimi. Segue la doppietta “Like Light To The Flies”/”Rain”, entrambe tratte da quel piccolo manuale del metalcore che risponde al nome di “Ascendancy” e l’intensità dell’esecuzione si mantiene ad altissimi livelli, in particolare “Rain” colpisce durissimo con il suo thrash metal attack. “Into the Mouth Of Hell We March”, tratta da “Shogun” mostra delle fortissime influenze classic heavy e dimostra che quella che su disco è stata talvolta etichettata come “indecisione” sul da farsi (o, nel peggiore dei casi, come opportunismo) si riflette, live, in una grande varietà di stili, peraltro tutti ben padroneggiati, che non può che dare ulteriore dinamismo ad una performance già molto spinta dal punto di vista strumentale e vocale. “Down From The Sky”, sempre da “Shogun” è di nuovo molto bella, melodica e riuscita, caratterizzata da ritmiche scorrevoli e chitarre a tutta velocità, ma è con l’acclamata “ Entrance of the Conflagration” che i Trivium calano il vero asso nella manica. C’è dunque spazio, rispetto al concerto tenutosi al Gods Of Metal, per tutti i capitoli della discografia dei floridiani e il brano tratto da “The Crusade” è puro spettacolo thrash metal, uno di quei pezzi che i Metallica, loro malgrado, non riescono più a scrivere da oltre vent’anni. “Black” non subisce tutta via il colpo e si fa largo a suon di bordate in attesa della successiva “The Deceived”, un altro estratto dal celebrato “Ascendancy”. Grande risposta dei presenti anche su “Watch the World Burn”: il refrain sarà forse fin troppo melodico, ma la sua presa live è indiscutibile e si tratta di un altro brano che acquista numerosi punti rispetto alla più levigata versione in studio, mentre “ A Gunshot to the Head of Trepidation” mostra le grandi doti chitarristiche, oltre a quelle ben note di cantante e compositore, di un Heafy davvero ispirato. “Ember To Inferno”, la title track dell’ormai lontanissimo esordio, vede Corey Beaulieu cimentarsi (con successo) con le lead vocals e il brano non mostra cenni di cedimento rispetto a i capitoli più recenti della band, nonostante la giovanissima età dei Trivium all’epoca della sua scrittura, configurandosi come un interessantissimo brano a base di thrash/death/heavy e metalcore.

Correndo senza pause, se non quella per fare una foto al pubblico dal palco con il proverbiale I-Phone (prontamente sharata su Facebook per la gioia dei metalhead più nerdy), e inanellando una dopo l’altra pezzi da novanta come “Pull Harder On The Strings Of Your Martyr”, “Throes of Perdition” e la conclusiva “Leaving This World Behind”, l’impressione è quella di aver assistito ad un grande concerto da parte di una band “controversa” ma forse troppo sottovalutata da parte dei detrattori per partito preso, guidata da un Matt Heafy del tutto a suo agio nei panni di condottiero tuttofare, impegnato con clean e growl vocals, chitarra ritmica e solista oltre che nel consueto ruolo di trascinatore. In live i Trivium, a dispetto di quelle che possano essere le riserve più o meno motivate dell’audience metallica, sono una band dalle grandissime capacità, capaci di rendere ancora più appetibili e “veraci” canzoni talvolta fin troppo leccate su disco in studio. Nella loro musica c’è potenza (a tonnellate), melodia, assolo al fulmicotone e un sottobosco debitore all’heavy, al thrash e al death metal più classici che non è possibile inventarsi dall’oggi al domani: difficile capire per quale motivo continuare ad esserne diffidenti, soprattutto dopo una prova come quella di questa sera.

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Setlist:

01. Capsizing The Sea
02. In Waves
03. Like Light To The Flies
04. Rain
05. Into the Mouth of Hell We March
06. Down From the Sky
07. Entrance of the Conflagration
08. Black
09. The Deceived
10. Watch the World Burn
11. A Gunshot to the Head of Trepidation
12. Ember to Inferno
13. Built to Fall
14. Dying in Your Arms
15. Pull Harder On The Strings Of Your Martyr

 

Report a cura di Stefano Burini, fotografie a cura di Michele Aldeghi