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Disbelief (Karsten ”Jagger” Jäger)

Di Alberto Fittarelli - 5 Aprile 2005 - 23:06
Disbelief (Karsten ”Jagger” Jäger)

I Disbelief sono, attualmente, una band molto Nuclear Blast: aperti a diversi
tipi di sonorità,con un genere non più esattamente definibile ma decisamente
assimilabile anche per chi non sia avvezzo ai suoni più duri, i tedeschi si
mostrano orgogliosi di avere uno stile che li rende però immediatamente
riconoscibili nella massa. Il nuovo album 66Sick, al di là del censurabile
gioco di parole che costituisce il titolo, lascia intravedere un gruppo in via
di cambiamento, diretto verso lidi lontani da quelli di partenza, e non è certo
facile interpretare le loro attuali intenzioni. Ho approfittato della gentilezza
e disponibilità del loro uomo-simbolo, il cantante Karsten “Jagger” Jäger, per
capirne di più.

Jagger, i Disbelief non sono certo dei novellini, esistete infatti da 15
anni: mi puoi dire cosa pensi che manchi ancora alla vostra band?

Oh, manca ancora tantissimo! Ti posso dire che siamo davvero felici che sia
fuori il nuovo cd e soddisfatti di come è uscito, è un bel traguardo di nuovo.
Che posso dire, è cool averlo nei negozi, e per noi è sempre un obiettivo
raggiunto. Questi sono i traguardi che ci prefiggiamo e li raggiungiamo di volta
in volta.

Non si può negare che in 66Sick siano presenti molte parti derivate
direttamente dal crossover, specie per quanto riguarda la batteria: credi che il
mix con certe sonorità americane possa essere la vostra nuova meta?

Credo che molto dipenda dalla produzione, vedi… siamo andati negli Antfarm
Studios, in Danimarca, ed è stata una grande scelta perché ha rinfrescato il
nostro sound non poco. Tutto quello che abbiamo prodotto lì dentro è stato
fatto in un gran bel modo e la cosa ha contribuito a creare il sound che puoi
ascoltare sul disco…

Ok, ma quale pensi che sia l’audience perfetta per un disco come questo?

Ah, credo che sia molto eterogenea! Noi non facciamo certo il tipico death
metal, anzi, prendiamo un po’ da tutto il metal estremo e mischiamo ogni cosa
nel nostro stile… mettiamo dentro un po’ di tutto, sinceramente non so a chi
in particolare possiamo piacere!

Parliamo allora delle vostre influenze per la composizione di 66Sick…

Guarda, siamo tutti molto “open minded”: ascoltiamo praticamente di
tutto , siamo onnivori musicalmente parlando. Andiamo tranquillamente dal death
metal ai Korn ed ai Placebo, e suppongo che la cosa poi si senta nella nostra
musica anche se non in modo esplicito. Ognuno mette il suo in questa band, con
la propria sensibilità ed i propri gusti, senza guardare a che cosa dobbiamo
fare per forza.

Credo che una delle migliori canzoni sia il primo singolo, Rewind it
all (Death or glory)
: sono incuriosito dal titolo, mi puoi spiegare di cosa
parla questa canzone?

Ti ringrazio, è un testo che mi riguarda da vicino: parla infatti della
morte di un mio amico, batterista in un gruppo, che qualche tempo fa si è
suicidato. Ecco, io non ho mai capito realmente perchè l’abbia fatto e la cosa
mi ha colpito nel profondo, e la canzone tratta del desiderio irrealizzabile di
tornare indietro, riavvolgere lo scorrimento del tempo e cambiare le cose. Non
si è capito che cosa ci fosse di sbagliato, di così sbagliato da provocarne la
morte… è un testo estremamente personale, sentito, mi tocca nel profondo.

Altro pezzo notevole (e particolare) è Continue from this point:
mi ha ricordato qualche atmosfera dei vecchi Paradise Lost, credi di poter
condividere la mia sensazione?

Mmm non direi Paradise Lost… devi sapere che è una delle prime canzoni che
abbiamo scritto per questo album, ma l’abbiamo arrangiata direttamente in
studio. Anche le lyrics sono state fatte quando eravamo già nello studio di
registrazione, ed è una cosa che solitamente odio, mi piace avere tutto pronto
quando vado a registrare. In questo caso però la cosa ha pagato, si tratta di
una canzone davvero autentica, sofferta, non di una cosa artefatta…

Una delle caratteristiche che vi distinguono in mezzo a mille gruppi sono le
tue vocals, dal timbro praticamente unico. Credi che in futuro vi avvicinerete
di più alle melodie usando le voci pulite, come già avete fatto in alcune
parti di questo disco?

Ah, sicuro! E’ una cosa che vedremo direttamente in studio, è presto per
dirlo con esattezza, ma ogni disco per noi è una svolta… decideremo sul
momento che cosa sarà necessario per le nuove canzoni. E’ un limite che
semplicemente non ci poniamo, sperimentiamo molto a seconda di quanto richiesto
dalle canzoni, come hai sentito su quest’album…

Avete già deciso con quale canzone aprirete la vostra imminente tournée
all’interno del No Mercy Fest (appena passato dall’Italia, nda)? Mi pare
che ci siano diverse ottime candidate…

Yeah, sarà Sick! E’ la canzone perfetta per aprire un live, mentre ce ne
sono altre più adatte a momenti riflessivi e di pausa. Per quanto riguarda il
No Mercy, francamente non vediamo l’ora di girare con quel tour: finalmente
avremo palchi di una certa dimensione e un P.A. adeguato, cosa che nelle date
singole non sempre capita, come sai…

Lo so, lo so… e quale credi che sia il gruppo migliore del bill? Sii
cattivo!

(Ride) Beh, credo che siano i Six Feet Under, di sicuro. Una band che
abbiamo già avuto modo di conoscere e che apprezziamo sempre, sono molto
potenti, dinamici e su palco spaccano tutto! E’ un onore poter girare ancora
l’Europa con Barnes & co…

Avete in programma di fare anche un tour da headliners in seguito?

Per il momento abbiamo solo delle date fissate in Germania, ma si tratta
di concerti nei weekend, niente di regolare e a lungo termine. E poi sicuramente
parteciperemo a diversi festival estivi, tra cui il Summer Breeze per esempio.
Del resto nel No Mercy suoneremo per 40 minuti, non pochissimo, e credo che
avremo modo di presentare a dovere il nuovo album ai nostri fan e di catturare
anche chi non ci conosce ancora.

Una costante di un certo tipo di sonorità, ultimamente, sembrano essere
gli Antfarm studios danesi di Tue Madsen: ottima produzione ancora una volta
anche per 66Sick. Pensi che gli Antfarm possano divenire un po’ l’equivalente
dei “vecchi” Abyss o Fredman?

Sono degli studi moderni, con grosse potenzialità, e anche noi ne abbiamo
ricavato una grande produzione, sono contento che tu l’abbia apprezzata. Non so
cosa diventeranno in futuro, però la loro filosofia è quella di crescere
insieme ai gruppi: stanno producendo molte band a cui insegnano qualcosa e da
cui ricvano molto, sperimentando nuove tecniche e portandosi avanti ogni volta.
E’ un modo di agire fruttuoso per tutti.

Chiudiamo con una curiosità: ma come vi è saltato in mente di inserire
nella versione digipack di 66Sick delle cover così estranee al vostro sound (di
Accept, Slayer, Iron Maiden e Scorpions)?

Sono pezzi registrati in occasione di diversi tribute album, poi on sempre
pubblicati: è stata un’idea del nostro manager quella di inserirle nella
versione limitata del disco, danno un’impressione ancora più ampia di ciò che
siamo in grado di fare. Sono cose che deriviamo dai nostri ascolti, ci piacevano
e abbiamo deciso per motivi vari di riunirle in studio. Anche perchè appunto
alcune erano inedite e sono di sicuro interesse… un qualcosa in più per chi
ci segue, insomma!

Ok Jagger, è tutto: ci si vede al vostro prossimo concerto!

Ciao a te e a tutti i lettori, ci vediamo on stage!

Alberto “Hellbound” Fittarelli