From The Depths – L’occhio di TrueMetal.it sull’Underground – # 02/2012

Di Silvia Graziola - 13 Novembre 2012 - 10:00
From The Depths –  L’occhio di TrueMetal.it sull’Underground – # 02/2012

L’occhio di TrueMetal.it sull’Underground – # 02/2012
 

Nuovo numero per la nostra rubrica sull’underground italiano. Qui, e nelle prossime edizioni, troverete informazioni sui demo che ci arrivano in redazione, da sommare alle recensioni dei demo migliori, che continueremo a pubblicare nell’apposita sezione.

Ricordiamo che i sample di tutte le band sono disponibili sulle relative pagine MySpace, segnalate a lato della recensione.

Buona scoperta!

Indice aggiornato della rubrica

5Rand
Fuck-Simile [EP]
2012, Autoprodotto
Thrash
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. Paint Of Pain 4:58
2. The True-Death Show 2:42
3. Fuck-Simile 4:22
4. Preacher Of Lies 3:48

Provenienti dalla provincia di Roma (Nettuno), i 5Rand si formano nel 2008 per mano di Pierluigi Carocci alla chitarra e synth, Davide Procaccini, inizialmente al basso e poi anche alla voce e Andrea Rondoni alla batteria. Dopo essersi fatti le ossa per alcuni anni in sala prove e on stage, si presentano a noi con il primo EP autoprodotto, “Fuck-Simile”, contenente quattro tracce registrate nei 16th Cellar Studios (Hour Of Penance e Fleshgod Apocalypse, tra gli altri) e infine masterizzate dalle mani esperte di Mika Jussila presso i noti studi Finnvox. Oltre a godere di suoni ottimi, l’album si presenta confezionato in maniera professionale (con tanto di testi) e il terzetto appare senz’altro ben rodato e preparato. Tutte caratteristiche che hanno il loro peso e che indubbiamente ben dispongono apprestandosi all’ascolto dell’opener “Paint Of Pain”. Dei brevi suoni campionati e un riff che ricorda un po’ la partenza di “Tipper Gore” dei Fudge Tunnel, ci traghettano in quello che sarà il tema dominante della release: un moderno thrash che fa del palm muting più sfrenato e dei riff stoppati, i principali strumenti di offesa. I lavori dei Fear Factory sono con buona probabilità le principali fonti d’ispirazione. Con questi ultimi condividono evidentemente una comune propensione a sonorità ‘cyber thrash/death’ (“The True-Death Show”), ritornelli cantati con voce pulita/filtrata (in contrapposizione al growl della strofa) e riff generalmente aperti (Fuck-Simile”). Genere da loro stessi battezzato ‘biomechanikal thrash metal’. Somiglianza che, seppure in misura minore, i 5Rand non riescono purtroppo a scrollarsi di dosso neppure con la conclusiva “Preacher Of Lies e questo è l’unico (ma non trascurabile) difetto dell’EP: la personalità del gruppo stenta a emergere. È indubbiamente un peccato, considerate tutte le premesse: le canzoni, infatti, sono molto curate e tutte ben suonate, si sente che tra loro c’è intesa e la produzione poi è ottima. Se avessero impiegato la medesima dedizione a definire il proprio stile, le considerazioni su “Fuck-Simile” sarebbero state di tutt’altro tipo. Non bisogna però dimenticarci che stiamo parlando di un EP di debutto e che quindi i 5Rand avranno sicuramente occasione (e le capacità) per riscattarsi in tal senso.

Orso “Orso80” Comellini

 

Steel Violin
Steel Violin
2012, Autoprodotto
Black
Sito Ufficiale

Tracklist:

1. Intro
2. Crying Sword
3. Fire in Your Eyes
4. The Oak Tree 5. Fire in Your Eyes (Voice & Orchestra Version)

Primo demo per gli Steel Violin, giovane quartetto power metal di Varese che, a tre anni dalla sua nascita, trova finalmente le energie e la stabilità necessarie per dare la luce a un prodotto discografico. La band suona un power metal molto melodico e dalle forti venature sinfoniche, ispirato a gruppi come Rhaspody ed Edguy. Dal punto di vista estetico, l’EP è molto sobrio, una elegante bicromia lontana anni luce dalle pacchiane copertine fantasy-cafone di tanti gruppi power metal agli esordi; sebbene il logo ricordi un po’ troppo da vicino quello degli Hammerfall, sappiamo bene che non si giudica niente dalla copertina, quindi saltiamo direttamente al sodo e vediamo un po’ come se la cavano questi ragazzi con i loro strumenti. Nelle quattro tracce (più una bonus), si riescono a delineare con abbastanza chiarezza i punti di forza e di debolezza della formazione varesotta: dal punto di vista qualitativo, tanto di cappello. I brani sono ben suonati e interpretati, e la realizzazione tecnica è di buon livello. La voce di Moz e la tastiera di Carpenzano tendono a sovrastare gli altri strumenti, ma non si arriva mai a una situazione di totale cancellazione degli sforzi di Fiorucci e Boldini (rispettivamente, chitarra e basso). La band riesce a destreggiarsi tra diversi timbri, spaziando dai pezzi più ritmati alle ballad senza sbavature di rilievo. I quattro hanno sicuramente una buona intesa e riescono a creare una valida alchimia sonora che lega i quattro pezzi e li rende parte di un unico continuum coerente. Peccato, però, che il risultato non sia particolarmente brillante per quanto riguarda l’originalità delle composizioni. È questo, in effetti, il più grave difetto d

Raze
Raze
2012, Autoprodotto
Death
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. Hate
2. Ways Of Life
3. House Of Cards
4. Better Tomorrow

Autori di un granitico thrash/groove, i toscani Raze si affacciano sul mercato nostrano con il demo di debutto omonimo, composto da quattro, possenti, tracce. Sebbene si tratti di un lavoro ancora abbastanza acerbo, il combo pratese dimostra già una certa quadratura e preparazione (non a caso sono in attività da circa otto anni) e si è potuto avvalere di suoni piuttosto professionali. Buona l’alternanza tra sezioni assassine tipicamente thrash, poderosi mid tempo carichi di groove e qualche apertura caratterizzata dalla ricerca di una certa, oscura, melodia, in genere in fase solista. Dall’ascolto delle tracce proposte, si può notare una personalità ancora non del tutto definita, che tuttavia comincia a emergere in brani come “Hate” e “Better Tomorrow” e, aspetto non secondario, un gusto per soli ben fatti e coinvolgenti, che vi porteranno a qualche piacevole scapocciamento (come nel caso di “Ways Of Life”). Insomma un lavoro piuttosto piacevole e promettente, che potrà aprire loro la strada per siglare un auspicabile contratto con una delle attente etichette italiane. A patto, però, che continuino a impegnarsi nella ricerca del proprio stile e nella composizione di brani sempre più coinvolgenti e fluidi, come la già citata “Better Tomorrow”. Le capacità per potercela fare ci sono tutte, ma per emergere è necessario proseguire a lavorare duro. Segnalo, infine, che il demo è scaricabile gratuitamente all’indirizzo http://goo.gl/cYT6R

Orso Comellini

 

Distruzione Di Massa
Varcando Ogni Lucido Limite
2011, Autoprodotto
Death
Sito Ufficiale

Tracklist:

1. Varcando Ogni Limite 4:50
2. Invoco La Guerra Nucleare 2:25
3. Supermercato Della Carne 2:28
4. ‘Shroomin’ 5:25
5. Lucido 7:43

Provengono da Milano i Distruzione Di Massa, band dedita a un primordiale death vecchia scuola di stampo europeo (Dismember, Bolt Thrower, Asphyx) con qualche rimando alla scena d’oltreoceano (Obituary in primis) e imbastardito da feroci partiture grind. Attivi sin dal 2004 come solo project del cantante Giulio “Morgoth”, danno alle stampe un demo nello stesso anno con l’ausilio di alcuni amici del singer a completare la formazione e nel 2005 realizzano uno split album con Diorrhea e Necrolust. Da questa collaborazione prende forma la line-up attuale che vede coinvolti musicisti dei gruppi citati e nel 2010 i DDM registrano l’EP in questione: “Varcando Ogni Lucido Limite”. La release è composta da quattro brani cantati in italiano e uno in inglese. Senza dubbio è apprezzabile la scelta di usare principalmente la lingua madre (guadagnando in fruibilità per chi non mastica la lingua anglofona), funzionale allo scopo di rendere esplicito e facilmente comprensibile il caustico messaggio di odio per la società attuale (“Supermercato Della Carne”). Nel caso poi dell’opener “Varcando Ogni Limite” il combo meneghino riprende i passi del Sommo Poeta nei quali ci narra del “folle volo” di Ulisse. Musicalmente la loro proposta è abbastanza varia e apprezzabile e, come per i suoni della produzione, si rivolge ai nostalgici del genere, quelli che in un certo senso non digeriscono lo stile e le sonorità moderne. Non troverete perciò suoni potentissimi o ben definiti, ma come spesso accade anche piuttosto sterili, piuttosto un muro di cemento armato difficilmente scalfibile o penetrabile. È un arma a doppio taglio, però e in questo caso ciò penalizza i singoli strumenti, in particolare il basso è spesso evanescente (se non in occasione della conclusiva “Lucido”, che a conti fatti appare l’episodio più riuscito), mentre la batteria tende a coprire tutto il resto. Per una autoproduzione comunque credo che il risultato sia abbastanza incoraggiante e questo genere di scelte denotano sicuramente personalità. Le composizioni non sono lineari e non sempre c’è un vero e proprio ritornello e per questo genere non è un limite, anzi. Tuttavia alcuni passaggi risultano un po’ forzati o quantomeno non proprio fluidi: problema comunque risolvibile cercando maggiore coesione in sala prove oppure on stage. Ad ogni modo “Varcando Ogni Lucido Limite” si lascia ascoltare senza annoiare (e ciò non è poco), la speranza quindi è che i DDM continuino con umiltà a credere nel progetto e che qualche etichetta specializzata possa indirizzarli al meglio fornendogli la strumentazione adeguata ad esprimere le loro potenzialità.

Orso Comellini

 

Nefesh
Shades And Lights
2011, Necrotorture Live & Promotion / Autoprodotto
Prog
Sito Ufficiale

Tracklist:

1) Intro
2) Delirium of War
3) Tifonomachia
4) Preludio Every Time
5) Every Time
6) Souther
7) Tears
8) Preludio Hug Me
9) Hug Me
10) I Can’t Fly
11) Surexi
12) Shades And Lights
13) Outro

Nefesh in ebraico è un concetto estremamente poliedrico, in sostanza è la manifestazione della vita umana, dal respiro vitale chiamato anima, alla sintesi fra il corpo e lo spirito che da vita alla persona stessa.
Sotto questo monicker, si celano cinque ragazzi anconetani, forti di un demo autoprodotto nel 2006 che li ha portati alla luce della ribalta sia in ambito nazionale, che internazionale, e che ritornano sulle scene con questo primo full length, prodotto in collaborazione con Frank Andiver.
Inquadrarli in un solo genere non è cosa semplice, visto che le sonorità a cui i nostri attingono sono tra le più disparate, anche se a farla da padrone è sicuramente la componete progressive, permeata da forti inserti neoclassici e sporcata da riff riconducibili al death metal di stampo melodico. La band mostra una tecnica impressionante nel gestire i numerosi cambi di tempo che intercorrono in tutti i brani dell’album, l’ampio utilizzo delle tastiere avvolge l’ascoltatore in uno spettacolare turbinio di melodia. Impossibile poi rimanere impassibili sulle dolci note di pianoforte di “Preludio Every Time” o sulle romantiche visioni suscitate dall’”Intro”. A tutto questo si affianca il suono pulito, preciso e qualche volta malinconico su alcuni assolo della chitarra, che insieme alle tastiere costituiscono l’asse portante del sound proposto.
Buona la sezione ritmica, mentre il singer si rivela molto espressivo sul cantato clean, su quello un pò più “sporco”,  e anche sulle frasi in italiano che compaiono nei brani “Delirium Of War”, nella bellissima “Tears”, e in “Shades And Lights”, cantata interamente in lingua madre.
Non altrettanto lo si può affermare quando si passa al growl, cantato che appesantisce l’esecuzione dei brani di parecchio.  
In definitiva “Shades And Lights” è decisamente un buon lavoro, fruibile a tutti visto il bilanciato mix di generi musicali che la band ha saputo gestire in modo elegante. Idee e personalità non mancano: ora non resta che attendere il prossimo album per avere ulteriore conferma di quanto di buono siano riusciti a fare fino ad oggi.

Luca Cardani

 

Onatem
Extreme Effusions Of Violence [EP]
2011, Autoprodotto
Thrash
Sito Ufficiale
Email

Tracklist:

1. Intro 0:42
2. Armageddon 2:48
3. Everything Is Unknown 3:39
4. Another Me, Killing God 3:21
5. Desolation 5:34
6. The Torch Of The Dark 6:31
7. The Art Of Deception 02:52

La leggenda dei Pantera e lo spirito di Dimebag Darrell vivono sempre nel cuore di ogni metalhead, e – una volta di più – lo dimostrano i trevigiani Onatem (al contrario, Metano…). Già il titolo del loro EP (“Extreme Effusions Of Violence”, registrato nel 2010 dopo l’esordio discografico del 2008 con l’altro EP “Mind Of A Suicide Bitch”) richiama un po’, nella forma e nella metrica l’album del combo americano “Vulgar Display Of Power”. Ma non è solo questo: lo stesso Matteo Santi e compagni tengono molto a specificare, nelle loro note biografiche, il loro amore per la band di Phil Anselmo. Con queste premesse, allora, è normale aspettarsi un sound che non abbia nulla di originale. Invece, i veneti ci mettono del loro e quel che ne esce fuori è un thrash durissimo, violento, nemmeno troppo ‘groovoso’: un thrash quasi più vicino alla scuola newyorkese (Anthrax) che a quella sudista dei Pantera. “Armageddon” ne è la prova, anche se poi “Everything Is Unknown”, seppur veloce e aggressiva, mostra qualche risvolto più tipico del groove metal, appunto. Se poi si ascolta con calma “Another Me, Killing God”, si possono rinvenire alcuni echi provenienti dalle prime realtà del genere quali Slayer e Megadeth degli esordi. “Desolation”, finalmente, materializza quel caratteristico sapore di sabbia e whisky del southern rock mentre “The Torch Of The Dark” riporta le coordinate stilistiche sul lato più aggressivo del combo italiano. “The Torch Of The Dark” chiude il dischetto con una più che buona prova di Santi al microfono, cantante consistente, rabbioso, sicuro di sé. Bravi, comunque, tutti i membri della band, capaci di dare un taglio professionale a “Extreme Effusions Of Violence”. Un lavoro che fa vedere le potenzialità degli Onatem, senz’altro in grado di affrontare la prova del primo album, se gliene fosse data l’occasione.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

Caos
Nistagmo
2011, Autoprodotto
Death
 

Tracklist:

1. Nistagmo
2. Perpetual Run
3. Un’Altra Perla Per i Porci
4. Intermezzo
5. Vita Puttana
6. Fire Walk With Me
7. Devianze

Intessere in solitario le trame musicali di una demo di 7 tracce non è da tutti. Il gioco si fa ancora più arduo se il lavoro in questione risulta completamente strumentale ed incentrato sulla fusione di musica classica e varie frange del metal estremo: dal Black al Technical Death. Tale malsano esperimento, partorito dal dotato chitarrista e compositore Paolo Montaldi con l’aiuto di una violentissima drum machine, risulta altresì interessante e rimanda, volenti o nolenti, alla domanda seguente: “perché utilizzare cotanta tecnica in un contesto da one man band quand’essa potrebbe dare risultati nettamente superiori se inserita in un quadro musicale completo?”. Detto questo promuoviamo comunque il lavoro e speriamo che in futuro il nostro possa avvalersi di una band in carne ed ossa al proprio seguito, al fine di creare un prodotto che possa risultare avvincente anche al di fuori della ristretta cerchia dei guitar hero.

Alessandro Cuoghi

 

Maze Of Sothoth
Guardian Of The Gate
2011, Autoprodotto
Death
Sito Ufficiale

Tracklist:

1. Prayer Of Nothing 3:04
2. Guardian Of The Gate 3:30
3. Come To Me 5:07
4. Divine Sacrifice 3:43

Si formano nel 2008 i bergamaschi Maze Of Sothoth, per mano di Fabio Marasco, chitarrista solista e principale compositore e del bassista Omar Ubbiali. Ci vogliono però un paio di anni per raggiungere la classica formazione a quattro e una certa stabilità, prima di entrare negli studi Lineout Recording per registrare l’EP “Guardian Of The Gate”. La loro musica può essere descritta come un feroce e tiratissimo death metal che trae ispirazione da Behemoth e Deicide ma soprattutto dai maestri Morbid Angel. Il paragone con questi ultimi è sicuramente lampante, basta dare un’occhiata al moniker, all’artwork e alle liriche per rendersene conto. Passando poi all’ascolto delle quattro tracce, quella che poteva essere solo un’apparenza, si trasforma in certezza. I Nostri hanno senza dubbio apprezzato molto un album come “Formulas Fatal To The Flesh”, tanto per fare un esempio, e le loro composizioni a conti fatti sembrano molto più che un semplice richiamo a certe sonorità. Potrebbero quasi essere definiti una tribute band del combo statunitense e sono certo che se si cimentassero con i loro brani non sfigurerebbero. Questo per dire che al di là di passaggi in cui la sensazione di plagio è tutt’altro che campata in aria, i Maze Of Sothoth dalla loro possono vantare una tecnica non indifferente e composizioni piuttosto articolate e travolgenti. Veramente buona la prova dei quattro musicisti, senza eccezioni e piuttosto inattaccabile. Fabio macina riff al vetriolo alternati a sferzate che non lasciano scampo e validi soli e Matteo alla batteria è una macchina da guerra, instancabile nonostante le molte variazioni. Convincente anche il growl del frontman su tonalità viscerali come ci ha abituato un certo Glen Benton (non l’ultimo arrivato perciò). Anche i suoni sono ad alti livelli, ben bilanciati e definiti. In particolare sono le galoppate al basso di Omar a trarne i maggiori benefici, riuscendo così a ritagliarsi il proprio spazio vitale, nonché contribuire attivamente a creare corposità all’assalto sonoro. Tra le tracce merita una menzione speciale la conclusiva “Divine Sacrifice”, la più articolata e personale del lotto, che lascia ben sperare per il futuro del gruppo. Ritengo infatti che con un pizzico di personalità in più potrebbero riuscire ad emergere dalla scena underground e ad attirare le attenzioni anche di qualche etichetta nostrana o straniera. Anche perché se paradossalmente parte di queste canzoni prendessero il posto di alcune delle nefandezze contenute su “Illud Divinum…” forse quest’ultimo sarebbe un po’ meno deludente. Ma questo è un altro discorso…

Orso Comellini

 

Simone Terigi
Rock Meditations
2011, Autoprodotto
Hard Rock
 

Tracklist:

1. Sea notes
2. The bells of awakening
3. Lardee
4. Astral memories
5. The heart’s home
6. Into the future
7. Destiny

Chi tra di voi conosce il nome di Simone Terigi, probabilmente lo associa al gruppo di cui è chitarrista e membro fondatore: i Lucid Dream. In questo caso, però, abbiamo tra le mani un esperimento solista parallelo che, almeno per quanto riguarda le sonorità, si discosta notevolmente dal progetto principale del musicista. Rock Meditations è, infatti, un’opera intimistica, un viaggio introspettivo all’interno dell’animo dell’ascoltatore. Non travisate le mie parole, non si tratta certo di un disco new age o della colonna sonora ideale per la vostra lezione di yoga in palestra; a parte qualche momento più “d’atmosfera”, la maggior parte dei pezzi sono caratterizzati da una chitarra solida che riesce a condensare poesia e vigore, in un connubio decisamente riuscito. L’album è piuttosto curato, sia dal punto di vista della musica, sia da quello visivo. Anche l’occhio vuole la sua parte, recita l’adagio, e Terigi decide di seguirlo inserendo all’interno del booklet numerose immagini a vario impatto oculare, che portano alla mente, in alternanza, l’iconografia classica AOR e onirici pittogrammi psichedelici. Tornando all’aspetto squisitamente sonoro, bisogna sottolineare che la durata media delle tracce è piuttosto elevata, seppur mai eccessiva. Scordatevi rapide folgorazioni di tre minuti, i pezzi si prendono tutto il tempo necessario per trovare un senso compiuto, sebbene, in alcuni frangenti, mostrino qualche ripetizione di troppo. Si tratta, ad ogni buon conto, di episodi occasionali che non gravano troppo sul quadro complessivo. Concludendo, il disco di Simone Terigi è un prodotto interessante, la qualità dell’esecuzione è piuttosto elevata ma non si scade mai nella sterile dimostrazione tecnica. Al contrario, Rock Meditations contiene sette tracce “sentite”, in grado di trasmettere qualcosa all’ascoltatore. Peccato che alcune delle soluzioni adottate non brillino certo per originalità; d’altronde non abbiamo tra le mani un disco progressive o con velleità avanguardistiche: il manifesto musicale dell’esperimento musicale del chitarrista si palesa sin dal nome del CD, quindi sapete cosa aspettarvi. Se vi piace il rock pulito e ben suonato, valutate serenamente quest’opera solista; se, al contrario, preferite distorsioni o incredibili virtuosismi, potete tranquillamente soprassedere.

Damiano Fiamin

 

Norikum
Omnivore [EP]
2012, Autoprodotto
Death
Sito Ufficiale
Email

Tracklist:

1. The World’s Disease 4:47
2. Cold Names 5:33
3. Loss 4:44
4. Time 9:45
5. Caged Inside 6:13

Da Graz, in Austria, arriva una band di death/metal-core formatasi nel 2009 che, con questo EP autoprodotto, “Ominivore”, fa il paio con quello uscito nel 2010, “In Chains Of Misery”. Il dischetto, propedeutico per far conoscere in giro l’ensemble allo scopo di chiudere un contratto discografico per progettare il debut-album, è stato realizzato con la necessaria professionalità. Registrato e missato da Stefan Rosenzopf (chitarrista del gruppo) agli Audio Rist Recordings e masterizzato da Christoph Brandes presso gli Iguana Studios, “Omnivore” si presenta con una cover d’impatto, disegnata da Teratogen (Dr. Winter). E non è solo la cover, a essere d’impatto. Anche la musica non scherza, poiché si tratta di deathcore robustissimo e potente, venato da più di una sfumatura melodica sì da rendere lo stile dei Nostri una specie di crossover fra deathcore, appunto, e metalcore. Di proposte simili ce ne sono parecchie e quindi per emergere occorre dar fondo alla creatività, dato atto che la perfetta padronanza degli strumenti e la bravura d’esecuzione possedute dal quintetto sono condizioni necessarie ma non sufficienti per emergere dalla massa. Creatività che pare davvero non mancare, nella testa e nelle mani di Paul Färber e compagni. In antitesti alla normale regola di scrittura dei generi *-core, le canzoni di “Omnivore” durano ben oltre i tre/quattro minuti (con il picco di quasi dieci minuti raggiunto da “Time”), dimostrando con ciò il tentativo di evitare facili emulazioni di strutture compositive ordinarie per sondare le possibilità di approfondimento che il genere, apparentemente semplice e lineare, possiede. Questo tentativo, encomiabile, è ancora acerbo, nel senso che “The World’s Disease” e le altre song sono, seppur consistenti, un po’ anonime; apparentemente prive di marcature da ricordare a lungo. Un difetto senz’altro superabile con l’esperienza che, in effetti, pare essere l’unico tallone d’Achille degli stiriani. Da segnalare, infine, l’ottimo lavoro svolto dalla coppia di chitarristi, soprattutto in fase solista.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

Disturbia
Hypnotic Dimension [EP]
2012, Autoprodotto
Death
Myspace Ufficiale
Email

Tracklist:

1. Intro 0:59
2. Alien 2:56
3. Martyr 4:39
4. Winter 4:57
5. The Fourth Kind 3:53

Da Sparanise, città di poco più di settemila anime in provincia di Caserta, arrivano i Disturbia per proporre il loro primo lavoro in studio, l’EP autoprodotto “Hypnotic Dimension”. Nata nel 2009 dalle ceneri dei Malus Vivendi, la band propone una mistura davvero infernale dei tre generi principi del metal estremo: thrash, black e death. Non è così immediato, a dire il vero, stabilire quale sia dei tre a fare la voce del padrone, nel sound del complesso campano. La particolare interpretazione del vocalist Andrea è basata su un feroce quanto primordiale screaming mutuato dalle più efferate ugole che bazzicano il black metal, e ciò caratterizza pesantemente la colorazione complessiva dell’ensemble. Anche la prestazione di Mark alla chitarra, tuttavia, è basata su una visione classica del concetto di metallo oltranzista: a riff thrash si accompagnano soli bui e malinconici. E, per completare il quadro, pure Val (ora rimpiazzato da Libero Verardi) al basso e Alex alla batteria non si discostano assolutamente da quelle che sono, alla fine, le coordinate stilistiche di quel death primigenio che incarnava la fiera connotazione di ensemble quali, per esempio, i genovesi Ghostrider. Seppur così giovani, i quattro casertani formano compiutamente il loro sound, e questo non può che essere considerato un buon viatico per il futuro. Certo, le canzoni sono piuttosto semplici e lineari, tuttavia possiedono un impatto notevole (“Alien”) e, soprattutto, hanno una personalità tetra e oscura non indifferente (“Winter”). L’idea di base è buona, insomma, e si può sviluppare con efficacia, se ci saranno progressioni ed evoluzioni sia in ambito tecnico, sia nell’aspetto compositivo.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

Burning Nitrum
Pyromania
2012, Autoprodotto
Thrash
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. Enter The Fire
2. Thrash Time
3. Death Is Upon You
4. Old School Anthem
5. Pyromania

«Thrash isn’t back, ‘cause thrash never died!» questo il motto dei giovanissimi thrasher baresi Burning Nitrum, giunti all’esordio con l’EP intitolato “Pyromania”. Affermazione non del tutto campata in aria se pensiamo all’attaccamento che molti hanno dimostrato per questo modo di fare e intendere un certo tipo di musica, anche quando il trend premiava ben altri generi. Ai quali si vanno ad aggiungere le nuove generazioni che negli ultimi anni stanno dimostrando di voler riscoprire e riportare in alto questa musica con tenacia e caparbietà. A quest’ultima categoria appartiene senza dubbio anche il combo pugliese, come dimostra inequivocabilmente l’ascolto del loro EP: un album dal forte sapore retrò, come se ci trovassimo ancora a metà anni ottanta o il tempo, da allora, si fosse cristallizzato. Gruppi come Annihilator, Exodus, Nuclear Assault e Vio-lence, tanto per citarne alcuni, sono indubbiamente nel DNA dei Nostri, i quali dimostrano di saperci fare e di avere già le idee chiare. I brani sono ben strutturati (sentire per credere la title-track posta in chiusura, per esempio) e offrono tutti degli ottimi spunti per incendiare i loro show dal vivo, tuttavia c’è un “ma”. Quello che non convince del tutto, infatti, è la prova del cantante, più che una non spiccata personalità del gruppo – che comunque verrà fuori certamente col tempo. Da rivedere il suo stile simile a una versione più sguaiata e senz’altro meno carismatica di John Connelly (Nuclear Assault) o di Tom Martin (Lich King). Un aspetto fondamentale per definire il proprio stile e rendersi riconoscibili nella marea di band clone, sul quale il buon Dave Cillo dovrà lavorare se vorrà fare il definitivo salto di qualità con i suoi promettentissimi Burning Nitrum.

Orso “Orso80” Comellini

 

Cold Aenima
Non-Birth
2012, Autoprodotto
Death
Sito Ufficiale
Email

Tracklist:

1. Non-Birth 2:59

Primo singolo per il gruppo calabrese dei Cold Aenima, un piccolo ma ben fatto anticipo del loro primo album, che dovrebbe vedere la luce nel 2013. Lavoro preceduto da un EP, autoprodotto nel 2011, dal titolo “The Shade Has Fallen”. La band ha avuto innumerevoli cambi di line-up, trovando il suo equilibrio nella formazione attuale, composta da Alessandro Ielo alla Voce, Carlo “Grizzly” Femia alla Chitarra, Sid al Basso, Antonio “Hamon” Guida Batteria. I Cold Aenima, con il loro death abbastanza spedito, nei 2:59 minuti di questo singolo non mancano di dimostrare la loro abilità. La chitarra è nevrotica, tagliente, sembra quasi avere vita propria. I riff si susseguono, ben accordati alla sezione ritmica. La voce del cantante Alessandro Ielo (conosciuto tra i cultori dell’old school per aver lavorato con Schizo e Neurotomy) è un machete ben affilato che fa il suo dovere: graffiante al punto giusto, mai scontato, leggermente tendente al black. Il batterista Antonio “Hamon” pesta per bene sulla batteria, ci fa sentire indubbiamente la sua presenza, mantiene serrato il ritmo del pezzo, con improvvisi stacchi e cambi di tempo che rendono particolare e originale questo lavoro. Molto buono questo inizio per la band calabrese, dalla quale credo che possiamo aspettarci grandi cose.

Valentina “Mastra” Rappazzo

 

Cien
Time of Desolation
2012, Autoprodotto
Black
Myspace Ufficiale

Tracklist:

01- Despair Tears and Blood
02- Where is your God
03- The Wave
04- Dead or Alive
05- The Clock

Amanti degli Shining prestate attenzione, questo EP potrebbe davvero fare al caso vostro. Ci stiamo riferendo a “Time of Desolation” dei polacchi Cien. La band, nata a Cracovia nel 2005, è dedita a un black metal melodico dalle tinte depressive, che si rifà a grandi linee a quello dei colleghi svedesi. Diviso in cinque tracce per un totale di trentun minuti di musica, “Time of Desolation” rappresenta un ottimo punto di partenza per la formazione; il lavoro si presenta infatti piuttosto bene: i riff gelidi e melodici sono accompagnati da un basso corposo e pulsante, da una batteria che scandisce tempi con precisione cronometrica e da uno scream lacerante che sottolinea il mood negativo dell’opera.
I cinque musicisti sfoderano una prestazione tecnica davvero notevole, affrontando con grande sicurezza i brani, che poggiano sempre su strutture sufficientemente articolate e dinamiche.  
Tra i pezzi, quelli meglio riusciti rispondono ai nomi di “Where is your God” e “The Clock”. La prima svetta per le ottime aperture melodiche e per degli stacchi strumentali dal vago retrogusto progressive. La seconda, sfruttando il suo minutaggio (9 primi e 22 secondi), passa da momenti più tirati e aggressivi ad altri decisamente più atmosferici. Il risultato è davvero convincente: le chitarre tessono melodie velate di una palpabile malinconia, che si sposa alla perfezione con l’interpretazione vocale di Chorzo.
Le restanti tracce, pur non aggiungendo nulla al panorama musicale odierno, si lasciando comunque ascoltare con sufficiente piacere.
La buona qualità della registrazione, unitamente a un packing più che soddisfacente, rendono il tutto ancor più gustoso.
In attesa di avere nuovo materiale per le mani, non ci resta che promuovere i Cien per quanto fatto finora.

Emanuele Calderone

All Amort
Lost In A Corner [EP]
2012, Autoprodotto
Death
 

Tracklist:

1. Gain From Love 5:31
2. Beyond Eternal Lies 5:30
3. End Of The Remnants 4:38

Quando si naviga nell’underground, le risorse da mettere in gioco per realizzare le proprie idee musicali sono sempre maledettamente scarse. Con una conseguente, ovvia limitatezza della qualità sonora del prodotto finito che, comunque, non nasconde mai la passione e la voglia di fare di chi lo fabbrica. Come nel caso in esame, che riguarda i milanesi All Amort, alle prese con il loro primo lavoro in studio, l’EP “Lost In A Corner”, da poco dato alle stampe. I Nostri propongono una formazione a sei e, in particolare, a due voci sulla scia di band di death metal melodico quali gli Scar Symmetry e i Rage My Bitch. La teorica potenza che il genere richiede, fondata soprattutto sul guitarwork, trova in effetti più di una difficoltà a manifestarsi, nelle tre tracce del dischetto, a causa della già menzionata manifattura artigianale del pacchetto. Ciò nonostante, le linee percorse dai vari strumenti appaiono corrette e in linea con quanto previsto dagli stilemi dello swedish death metal e, a ogni modo, si può ben percepire la fusione del binomio aggressività/melodia che fa da base inamovibile al genere. A proposito di quest’aspetto occorre evidenziare che, in questo stadio evolutivo, la band lombarda pare prediligere la forza muscolare dei violenti e veloci ritmi del drumming invece dell’armonia dei ritornelli; manifestando pertanto una predisposizione naturale per esplorare con più profondità l’aspetto più rude e selvaggio del death metal melodico. Non per altro, il dualismo vocale non è calibrato sulla canonica contrapposizione fra il growling e le clean vocals, bensì fra il primo e uno screaming piuttosto allucinato e decisamente cattivo. “Gain From Love”, “Beyond Eternal Lies” e “End Of The Remnants”, quindi, manifestano qualche spunto interessante ancora intrappolato, però, in una forma tecnico/artistica embrionale, suscettibile di notevoli quanto necessari miglioramenti.

Daniele D’Adamo

 

Secretpath
Wanderer
2012, Autoprodotto
Black
Sito Ufficiale
Email

Tracklist:

1. Essence Of Chaos 4:46
2. The Dark Forest Of My Insanity 6:29
3. In Præcipiti Esse 4:41
4. … And So I Return To The River 6:31
5. I’m Your Guide 6:30

Nelle note biografiche dei calabresi Secretpath si legge che la band, nata nell’estate del 2008, non si è mai posta limiti stilistici nel processo creativo musicale, non lasciandosi cioè intrappolare in modelli precostituiti. Ascoltando “Wanderer”, album autoprodotto che segue “The Choice” del 2010, tale affermazione trova puntuale riscontro nella realtà dei fatti. Nella loro proposta, infatti, si trovano elementi diluiti in parti praticamente uguali di black, death e, anche se in misura minore, qualche accenno di viking per via di un tono epico e ‘nordico’ che accompagna tutto il CD. Questa miscellanea di generi, inquadrata in un unico blocco che è, appunto, il ‘Secretpath-sound’, trova grande supporto in Paolo Ferrante, cantante capace di spaziare con pari efficacia nel growling, screaming, inhale e clean vocals (“Essence Of Chaos”). Una poliedricità di cui si fanno carico i suoi compagni per elaborare delle canzoni dall’aspetto multiforme, marcate da un suono comunque duro, potente e aggressivo (“The Dark Forest Of My Insanity”), spesso sferzato da violentissimi blast-beats, e da aperture melodiche di ampio respiro e pregevole fattura (“… And So I Return To The River”, “I’m Your Guide”). Interessanti, pure, i momenti di calma, come nell’incipit di “In Præcipiti Esse”, nei quali si entra in profondità dell’animo umano quasi a volerne sondarne gli angoli più nascosti e bui. La volontà di creare un sound non inquadrabile in una fattispecie ben definita, se da un lato rende possibile esplorare territori assai vasti, dall’altro rende difficile compattare il tutto. “Wanderer”, proprio per ciò, appare leggermente sfilacciato e poco coeso; come se non fosse ancora ben chiara la direzione definitiva da intraprendere. Dato atto sia della competenza tecnica dei quattro cosentini, del loro talento artistico e, soprattutto, della giovane età dell’ensemble, non potranno che esserci decisi miglioramenti, in futuro.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

Jumping Shoes
Non Contate Su Di Me
2011, Autoprodotto
Hard Rock
 

Tracklist:

01. L’ultimo uomo sulla terra
02. Caramelle
03. Unreal TV
04. Il testimone di nozze
05. Strumentando
06. Persona insospettabile
07. Fidati di me
08. Tra le mie dita
09. MoraBinonci
10. Angeli allo zoo
11. C.S.A.

Al primo impatto con la copertina di questo album, mi sono chiesto che cosa potessero avere a che fare i cinque ragazzi in copertina con il rock, e mi sono avvicinato all’ascolto un po’ titubante, ma con enorme sorpresa mi sono dovuto ricredere. Gruppo nato nel 1988  e cresciuto, a partire dagli anni ’90, in ambiente rock-metal i “Jumping Shoes” dopo la dipartita dello storico cantante Amir Bilall , e l’arrivo di Samuele Bracone  (Samba)come suo sostituto e l’inserimento di un chitarrista in più, dopo “Limbo Like a Bubble”(2008), ritornano sulle scene con un lavoro cantato completamente in italiano, ricco di sonorità rock anche quando queste sfumano nel funk, nel pop o nel rap.
I testi delle canzoni affrontano argomenti di natura diversa, dall’amore come in “Testimone di Nozze”, al sociale “Unreal Tv”, sconfinando anche nell’ironia di “Caramelle”, e per ognuna di esse il cantante sa dare prova di sé, sfoggiando una voce pulita e una buona capacità espressiva, così come in tutto l’album, sostenuto anche da una sezione strumentale che in “Strumentando”, unico brano strumentale, danno prova di un’abilità tecnica non indifferente maturata in 23 anni di attività.
“Non contate su di me”, è un buon album di alternative rock, curato molto bene nella produzione,  la scelta della lingua madre per i testi risulta coraggiosa e mai banale e sancisce, anche con l’arrivo del nuovo cantante, un passaggio dal passato funambolico e visionario del gruppo ad un futuro più realista e attuale.

Luca Cardani

 

Methodica
Light My Fire
2012, Autoprodotto
Prog
Sito Ufficiale

Tracklist:

1. Light my Fire (RADIO EDIT – 4.08)
2. Neon (RADIO EDIT – 4.28)
3. The Marble Column (RADIO EDIT – 4.02)
4. Knast (6.10)
5. Light my Fire (EXTENDED VERSION – 4.49)
6. Light my Fire (VIDEO – 4.08)

A distanza di tre anni dal loro debutto sul mercato, tornano I METHODICA, quintetto di belle speranze che aveva riscosso un buon successo con il precedente Searching for Reflections. Chi ha già sentito parlare di questa band, sa quanto fosse stata travagliata l’uscita del primo CD, che ha richiesto anni di fatiche prima di vedere la luce. Apparentemente, i tempi sono maturi per un nuovo disco. Non proprio quello che abbiamo tra le mani, però: in questo caso, ci apprestiamo ad ascoltare un maxi-singolo che ha lo scopo di fungere da apripista per il prossimo capitolo della discografia della band, la cui uscita è prevista per il 2013. Light my Firecontiene cinque tracce: oltre a due versioni del brano dei Doorsche dà il nome all’album, troviamo Neone The Marble Column, due pezzi precedentemente disponibili solo per il download digitale e ri-editati per includerli in questo CD; entrambi sono esempi di progressive metal ben suonato, non particolarmente innovativo, ma di sicuro piacevole.
Sebbene con modalità leggermente diverse, tutto ciò elencato finora era stato già pubblicato dalla band; è con Knastche il gruppo ci fornisce un assaggio di cosa possiamo aspettarci dal loro prossimo lavoro. Soprattutto rapportato agli altri brani che compongono il singolo, l’inedito è decisamente più potente e aggressivo, con parti strumentali massicce che, soprattutto nella prima parte, calano come mazzate e vocalizzi che ammiccano in maniera fin troppo esplicita aiDream Theater. C’è da rimanere di stucco di fronte al brusco cambio di direzione nella parte mediana, dove i ritmi rallentano e sobbollono preparandosi allo scatto finale, in cui tutti quanti riprendono a tempestare ritmicamente le casse del nostro stereo. Non male, sicuramente un valido modo di ingolosire l’ascoltatore in attesa del prodotto definitivo.

A completare il quadro, il video esclusivo della title-track. La clip è interessante e le atmosfere si collegano in maniera notevole con la sensibilità con cui gli artisti hanno deciso di riproporre il classico di Jim Morrison e compagni. Luci e ombre si rincorrono attraverso le inquadrature, in un gioco di dettagli che non diventa mai frenetico e riesce ad accompagnare la musica senza mai sovrastarla.

Un solo pezzo inedito è forse poco per capire cosa aspettarsi dal futuro ma se, come si dice, il buongiorno si vede dal mattino, abbiamo ragione di credere che il prossimo disco dei Methodica potrebbe avere decisamente qualche freccia nel suo arco. Aspettiamo per vedere se la nostra prima impressione sarà confermata.

Damiano Fiamin

 

Solitvdo
Demo MMXII
2012, Autoprodotto
Black
Sito Ufficiale

Tracklist:

01- Beata solitudo, solo beatitudo
02- Dead at Born
03- O Solitude
04- Ecce Homo
05- Et ego somnum in fluctus

Formatisi nel 2011 a Cagliari, i Solitvdo altro non sono che una one man band dietro la quale si cela la figura del polistrumentista Herr413, musicista già in forza ai Crowned in Thorns e ai Division VIII. Il gruppo a un solo anno dalla nascita approda sui mercati discografici con “Demo MMXII”, lavoro che sta raccogliendo recensioni entusiastiche un po’ ovunque. La formazione propone un black metal piuttosto canonico, ricco di suggestioni folk, che riporta alla mente quanto fatto dagli Ulver nell’immortale “Bergtatt”.  
La demo, suddivisa in 5 tracce, per un minutaggio totale che si aggira attorno ai 27′, si lascia ascoltare con discreto piacere, grazie soprattutto ad inserti acustici e atmosferici davvero ben riusciti. I brani sono strutturalmente piuttosto lineari e pressoché privi di qualsivoglia virtuosismo; riffing e sezione ritmica risultano sempre essenziali e Herr413 sembra punti molto più sull’impatto emotivo che non sulla fredda tecnica esecutiva.  
Sin dall’introduttiva “Beata Solitudo, Solo Beatitudo”, l’atmosfera che si respira è di quelle nostalgiche, velata da un’impalpabile malinconia. La canzone, globalmente ben riuscita e ricca di pàthos, mette in luce qualche piccolo neo solamente nelle clean vocals, ancora piuttosto incerte, acerbe.
La successiva “Dead at Born”, pur se con qualche pecca riscontrabile soprattutto in un drumming davvero poco preciso, gode di un discreto arrangiamento. L’episodio riporta inevitabilmente i già citati Ulver, specialmente nei passaggi più evocativi. Stesso dicasi per la seguente “O Solitude”, che guadagna la palma di miglior brano del lotto. I 5 minuti e 54 secondi scorrono con inaspettata gradevolezza, grazie a soluzioni melodiche semplici ma al contempo azzeccate.
“Ecce Homo” è invece il titolo meno interessante del lotto: l’eccessiva ripetitività delle linee di chitarra e un andamento fin troppo prevedibile ne minano al massimo la riuscita.
La conclusiva “Et ego somnum in fluctus” chiude l’opera tra delicati arpeggi di chitarra acustica che disegnano una melodia a tratti addirittura spensierata.
In conclusione possiamo dunque affermare di avere fra le mani un demo capace di suscitare sufficiente interesse e che, pur se con qualche punto d’ombra, merita un ascolto.

Emanuele Calderone

 

Reality Gray
Day Zero [EP]
2008, Razar Ice Records
Death
Myspace Ufficiale
Email

Tracklist:

1. Day Zero 4:13
2. Erase 5:46
3. Slavery 5:00

Tre canzoni per dimostrare il proprio potenziale. Come in una sorta di trial americano per qualificarsi ai Giochi Olimpici, insomma. Così, in buona sostanza, può configurarsi un’operazione come quella compiuta della label statunitense Razar Ice Records che, nel 2008, ha dato ai nostri Reality Gray l’opportunità di farsi conoscere in giro con l’EP “Day Zero”. I quali, con una fruttuosità prossima al 100%, sono riusciti a dare il meglio di sé con tre brani assolutamente devastanti. Tre brani che dimostrano come sia possibile lo sposalizio fra la brutalità del death/thrash più furibondo e la melodia più accattivante, per un sound dalla potenza esorbitante ma godibile e piacevole come pochi. L’aggressione sonora per opera del possente growling del vocalist Tommy, dei micidiali riffoni thrash della coppia d’ascia Albo/Anto, del basso pulsante di Alex e del veemente drumming del batterista Claudio è totale: una vera bombardata sulle gengive. Gengive che, inaspettatamente, sono subito ‘guarite’ da dei ritornelli clamorosamente melodici, teoricamente troppo distanti, come forma, dalla debordante possanza del death metal di base suonato dal combo pugliese. Ma, nella sostanza, dannatamente efficaci e, soprattutto, amalgamati al resto del sound. “Day Zero”, “Erase” e “Slavery” rappresentano perfettamente questa filosofia artistica proponendo dei riff portanti massicci e granitici, soli fulminanti, break al pianoforte, ‘suinate’ inhale, scatenamenti blast beats e, soprattutto, refrain talmente piacevoli da risultare irresistibili. Con che, i Reality Gray si possono davvero indicare come una realtà da spingere a tutti i costi fuori dall’imperituro underground cui navigano le band che ‘si fanno da sole’. Le note biografiche che accompagnano l’EP indicano che è attualmente in lavorazione il secondo full-length dell’ensemble di Acquaviva delle Fonti, dopo “Darkest Days Are Yet to Come” (2006). Sentite queste premesse, non si può che auspicarne il suo rilascio al più presto!

Daniele “dani66” D’Adamo

 

Blessed Dead
Sick Human Essence [EP]
2012, Autoprodotto
Death
 

Tracklist:

1. Palace Of Rupture 3:54
2. Mental Collapse 4:17
3. Evocation From The Unconscious Void 3:40
4. Secret Of Resurrection 5:42

I bresciani Blessed Dead si ripresentano a distanza di due anni dalla prima demo “Secret Of Resurrection”, in cui predominava essenzialmente il tipico death metal dei primi anni ’90. Rispetto allora ci sono stati avvicendamenti in tutti i settori: il chitarrista Ale, membro fondatore insieme al fratello Shon, è stato sostituito da Flavio, mentre il batterista Jonny e il cantante Patrick sono stati rimpiazzati da Nicko e Gian. Il nuovo quintetto realizza “Sick Human Essence”, che propone una mistura di brutal death cui s’inseriscono episodi black e thrash metal, pur mantenendo come base i primi lavori dei Death. “Palace Of Rupture” rompe il ghiaccio in maniera convincente grazie soprattutto al riffing e al tiro deciso al quale s’incastra il growl tenebroso di Gian, peccato che nella seconda parte le chitarre all’unisono non sono sincronizzate con basso e batteria. Finale con il tempo che rallenta ma che non risulta incisivo. Le successive “Mental Collapse” e “Evocation From The Unconscious Void” sono di chiara scuola Death nella prima sezione, con buone idee dal punto di vista del songwriting, ma mentre in “Mental Collapse” la seconda parte ha buoni tempi dispari e un solo di chitarra collassato dai piatti della batteria, in “Evocation From The Unconscious Void” dopo la sezione alla “Freezing Moon” il timing vacilla così come l’incastro tra gli strumenti. Anche la conclusiva “Secret Of Resurrection” non convince appieno, manca una coesione e una veduta comune d’intenti nella seconda parte, durante e dopo il solo di chitarra i cambi di tempo non sono ammortizzati da tutti nella stessa direzione, cosi come nel riffing finale, anch’esso prevedibile e scontato. Prova non del tutto convincente soprattutto sotto il punto di vista ritmico e del timing. In fase di editing si sarebbe potuto fare di meglio, anche se i continui cambi di formazione sembrano non regolare l’unione e gli intenti comuni della band. Le idee ci sono e sono per la maggior parte buone, ma vanno rivisti alcuni passaggi per rendere il discorso più chiaro e fruibile.

 

Vittorio “VS” Sabelli