Hard Rock

Intervista AC/DC (1986)

Di Stefano Ricetti - 27 Maggio 2009 - 11:21
Intervista AC/DC (1986)

Intervista ad Angus Young, leader degli AC/DC, direttamente estratta dal glorioso magazine H/M, precisamente dal numero 3, anno 1986, effettuata dallo storico giornalista Alex Solca, nell’occasione anche autore di alcune delle foto incluse.

Buona lettura.

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

La band di Angus sembra immortale: concerti e dischi si susseguono senza sosta, il pubblico li ama senza sbandamenti, i sold-out sono all’ordine del giorno. Li abbiamo raggiunti a Zurigo per questa intervista: ecco cosa ha risposto Angus a HM.

Zurigo – Dicono che alla lunga anche le cose più belle stancano (non solo le donne)… che anche la cosa più interessante ed eccitante dopo ripetuti usi diventi noiosa… Può anche essere vero e nessuno ha voglia di immettersi nell’intricato tunnel della filosofia: di parole se ne sprecano già troppe!

Una cosa però è più che sicura: ogni regola ha la sua eccezione ed AC/DC è l’eccezione. La macchina è in pieno funzionamento e la sua produttività è eccellente. Non era la prima volta che avevamo la fortuna di assistere alle prodezze della Banda Young: un altro album… un altro tour, e così via. Eppure non si può fare altro che inginocchiarsi e togliersi il cappello: i ragazzi non sbagliano mai un colpo e, quel che più conta, sono sempre in grado di far smuovere anche chi se li è già visti più volte.

La chiave del successo? Semplice; un feeling ed una carica da far paura. Per far impazzire gli hadbangers in fondo basta conoscere la formula del “Riff” e questo Angus lo sa: non c’è bisogno di suonare alla velocità della luce. Anche l’ultimo nascituro lo conferma: Fly on the Wall non farà gridare alla rivoluzione però contiene quella manciata di classici da far invidia a molte band. In fondo l’album è sicuramente uno dei migliori album del gruppo, ed allora perché continuare a tacciare di conservatorismo la band? Anche dal vivo, le cose non sono poi molto cambiate rispetto a qualche anno fa: la solita sala stracolma (l’Hallenstadion di Zurigo), l’imponente impianto luci e al centro l’immensa campana già pronta per la cerimonia.

Prima dei maestri è però il tempo dei nuovi devoti, in questo caso Fastway, che in precedenza (l’anno scorso) avevano già assicurato l’apertura nella parte americana del Flick of the Switch Tour. A dire il vero, fra i nuovi devoti vi è anche un maestro: il buon vecchio Fast Eddie Clarke, intento a esplorare nuovi territori, dopo aver abbandonato il velivolo Motorhead. E, in effetti, dei Motorhead c’è ben poco nella musica dei Fastway: il sound è molto più pulito e melodico e raramente la chitarra di Eddie salta fuori in primo piano. Comunque se la sono cavata molto bene, proponendo soprattutto pezzi da Waiting For The Roar, loro ultimo lavoro che conferma ancora una volta le qualità di Dave King, vocalist quasi zeppeliniano.

LET’S START!

Poi è tempo di cambiamenti e l’oscurità si rifà regina: non ci sono mosche (siamo in pieno inverno) però qualcosa si sente ed è la chitarra di Angus che inizia i primi accordi di Fly on the Wall. Bastano poche note e come sempre il cappellino è già lontano, seguito ben presto da buona parte dell’ormai leggendaria uniforme del nostro perenne scolaro che, come sempre, si permetterà di improvvisare il solito strip, fino a mostrarci in modo strafottente le proprie rosee chiappe… Le luci si accendono e Brian Johnson inizia a far tuonare la propria voce. Alle fasce laterali dello sfogo, gli immancabili macchinisti (Malcom Young e Cliff Williams) procurano, con la solita precisione e sobrietà, i giusti impulsi. Più indietro, il nuovo arrivato, Simon Wright, dallo stile molto simile a Phil Rudd.

Come già detto, di novità vere e proprie la band anche dal vivo non ne offre, se non due o tre estratti dell’ultimo lavoro (tra cui Shake Your Foundation), che di certo non ha bisogno di promozione. Ogni concerto diventa quasi un’autocelebrazione, con un’accurata ripresa di oltre dieci anni di Rock’n’Roll. Back in Black, Dirty Deeds Done Dirty Cheaps, Sin City, Jailbreak (con l’aggiunta di qualche attimo per lo strip di Angus) e molte altre… Lo show non ha fasi morte e va avanti senza nessuna decelerazione, così come Angus non la smette mai di muoversi come un dannato e di scalare, sia a destra che a sinistra, l’enorme amplificazione.

Dopo l’emblematica Let There Be Rock, che vede un lunghissimo assolo ed una passeggiatina fra il pubblico da parte di Angus (sulle spalle di un Roadie quattro volte più grasso di lui), arriva il segnale per il gran finale, dato dai lugubri rintocchi di Hell’s Bells, poi una piccola dose di esplosivo (TNT) e alla fine le classiche cannonate finali (For Those About To Rock), che come sempre ci dicono arrivederci e ci danno appuntamento per l’ennesimo nuovo tour: non mancheremo

WE’RE HARD!

Sono le tre del pomeriggio, in un hotel vicino alla Bahnhof, la porta si apre ed un volto familiare appare. È quello di Malcom, ben fornito di bagagli e con í consueti jeans slavati. È poi il turno del resto della band e relative accompagnatrici: belle, slanciate e bionde. Spicca fra tutti Brian, con la consueta aria socievole e la battuta facile. Una breve visitina alle camere per depositare i bagagli e subito la band si dirige di slancio al bar per la perlustrazione iniziale.

Restiamo soli con Angus e Brian Higgins, il tour manager.

Angus: — Ci hanno detto che il periodo migliore per suonare in Italia è l’estate, adesso fa troppo freddo (davvero? non mi sembra che a Zurigo facesse molto caldo, oggi, ndr)

Perché avete scelto proprio Montreaux, invece di andare a registrare al caldo?

Angus: — Durante il tour dell’anno scorso, quando siamo passati in Svizzera, abbiamo deciso di fermarci a Montreaux e di visitare lo studio. Possiede un suono molto buono, molto naturale: non ci sono molti studi come quello di Montreaux. Amiamo il suono naturale e grezzo e questa è la ragione per cui abbiamo scelto di registrare lì.

Sei soddisfatto di Fly On The Wall? Il sound mi sembra molto buono…

Angus: — Siamo sempre soddisfatti (risata). L’ultimo sound in fondo è sempre lo stesso: è solo una copia di quello di sempre. Penso che sia possibile perché siamo molto concreti, basilari. Non facciamo overdubbing, ma tentiamo di mantenere il sound semplice e diretto.

E’ da molto tempo che lo band esiste: pensi che i vostri vecchi fan vi seguano ancora?

Angus: — Penso che il nostro seguito sia una mistura di vecchia gente che è sempre dentro alla nostra musica, e nuovi fan che forse stanno crescendo con le nostre song. Va bene! È eccitante.

Cosa è cambiato nello stile della band dopo l’arrivo di Brian? Siete diventati più duri?

Angus: — Non so, siamo sempre stati molto hard in quello che facciamo. Oggi facciamo quello che facevamo con Bon. Forse dietro alla durezza della nostra musica c’è molto calore. La musica tipica del nostro paese è tutt’altro che spenta in noi e, in un modo o nell’altro, forse ne abbiamo risentito.

Non è la prima volta che siete in un tour con i Fastway…

Angus: — Abbiamo già fatto un tour americano assieme. Penso che al momento sia una delle migliori band reperibili.

Parlami del video di Fly on the Wall: mi sembra diverso dagli altri…

Angus: – Avevamo alcune idee e non volevamo più fare una “concert-video” come nel passato. Volevamo fare qualcosa di differente ma non amiamo fare gli attori. Pensiamo che sia un buon video. Vi è una vecchia storia dietro: in America c’era un tipo che continuava a seguirci, e lo fece per molto tempo, sempre pronto a romperci le scatole. Era un po’ come nel video. Lo abbiamo chiamato Fly On The Wall», ed è come una spia che ascolta dietro la porta o che ti guarda attraverso il buco della serratura.

Un giorno ti svegli e decidi di cambiare look andando sul palco in jeans e T-shirt come gli altri. Come pensi che reagirebbero i fan?

Angus: — Non so… Penso che odierebbero la cosa. Il vestito mi dà la possibilità di essere qualcuno di diverso. No, non lo farei, mi trovo troppo bene e a mio agio così.

Foto di Angus Young da parte di Ilpo Musto

Come è nata l’idea dell’uniforme?

Angus: – E’ di mia sorella. Un giorno, mentre stavo tornando a casa da scuola e stavo prendendo la chitarra per andare a suonare con gli amici, mi disse: “sarebbe un bel trucco che qualcuno suonasse la chitarra col vestito della scuola”. Specialmente io che ero veramente piccolo. Io le risposi: “E perché no?”. Quando mio fratello mise assieme la band mi disse: “Sarebbe una buona idea se facessi questo…”

Molta gente fraintende i vostri testi…

Angus: — Guarda, in America ci sono molti tipi di incitamento religioso e c’è gente che si lamenta al riguardo di ogni cosa. Se non si lamentassero dicendo che siamo tipi disonesti, ci accuserebbero di stregoneria o di essere corruttori di bambini. Penso che questi tipi ci siano sempre stati. Dopo che abbiamo suonato per la prima volta in America, questa gente ha sempre avuto qualcosa da dire al riguardo. Noi non ce ne curiamo. Principalmente noi nelle nostre song parliamo di ciò con cui veniamo in contatto o che vediamo on the road. Se tu ti preoccupassi di ogni piccolo gruppo nel mondo non saresti più in grado di dire niente. Rock’n’Roll è “Fun” e la loro vita non è “Fun” e vogliono assicurarsi che anche la vita di chiunque altro non sia “Fun”.

Parlami del testo di Danger.

Angus: principalmente, se tu qualche volta vai fuori da qualche parte, devi fare attenzione: sia nella strada che in un bar o in un Pub. E se hai troppo da bere sei aperto ad ogni rischio… Ragazze che ti portano via tutto, ladri…

Come ti senti quando passeggi fra il pubblico durante Let There Be Rock?

Angus: — Penso che sia bene e che crei un po’ di eccitazione. All’inizio, quando suonavo in piccoli Pub o bar, suonavo un po’ dappertutto perché lo stage era piccolo.

Ma non è pericoloso?

Angus: — Qualche volta è pericoloso… e qualche volta è divertente, con tutti quei tipi… (risata).

Come sta andando il tour? Per voi va sempre bene…

Angus: — Siamo fortunati, molto fortunati. Dovunque suoniamo c’è Molta gente. Sold-out in Germania… È bello ritornare così. Ritorni dopo un po’ di tempo e vedi che la gente è contenta di rivederti.

Qual è l’album che preferisci?

Angus: — Mi piacciono molto Let there be Rock, Highway to Hell e Back in Black. E l’ultimo. Ma il mio preferito è Let there be Rock, a causa del suo grande temperamento, dell’energia che contiene.

Avete qualche programma dopo il tour?

Angus: — Dopo il tour abbiamo qualche video da fare e dobbiamo finire la soundtrack di un film dello scrittore science-fiction Stephen King. Voleva alcune vecchie canzoni e forse una nuova. Finito questo, probabilmente faremo il Video e poi potremo avere una pausa prima di cominciare a fare un nuovo album.

Come siete arrivati a lavorare per la colonna sonora del film?

Angus: — Stephen King, essendo nostro amico, venne da noi e ci disse: “Fai attenzione al film e se per caso decidi di farlo…”. Abitualmente non amiamo questo tipo di cose, ma dopo aver visto il film abbiamo detto: Okay!

Alex Solca

Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti