Thrash

Intervista Coroner (Tommy Vetterli)

Di Orso Comellini - 14 Ottobre 2025 - 6:00
Intervista Coroner (Tommy Vetterli)

Trentadue, interminabili anni sono passati dal quinto e ultimo album da studio dei Coroner. Quell’ennesimo capolavoro che è “Grin“, del 1993, posto a sigillo di una carriera esemplare, senza la minima sbavatura, iniziata dieci anni prima. Inutile girarci intorno: se le cose fossero rimaste così, nessuno avrebbe avuto niente da eccepire. Meglio morti e sepolti, dopo aver lasciato un’incredibile eredità musicale, che macchiare un così fulgido passato pubblicando un album tanto per imbarcarsi nell’ennesimo tour per nostalgici. Evidentemente, però, non è il destino che aveva in mente la band elvetica, pronta a rimettersi in gioco con un nuovo album, “Dissonance Theory”, creato per dimostrare quanto i Coroner, nel 2025, abbiano ancora da dire, musicalmente parlando.

Un’occasione troppo ghiotta per non contattare il leader della band, Tommy Vetterli, per discutere di questo nuovo capitolo nella storia dei Coroner. Il quale si è dimostrato un interlocutore estremamente pragmatico, focalizzato sull’essenza delle cose, più che sull’apparenza, andando sempre dritto al nocciolo della questione. Come se dalle sue parole emergesse sempre un’unica risposta: “Che sia la musica a parlare”. Per cui, senza ulteriori preamboli, ecco a voi la trascrizione di questa intervista.

 

Coroner

 

Ciao Tommy, grazie per l’intervista e benvenuto su TrueMetal.it, è veramente un piacere averti qui dopo più di 30 anni di attesa per il ritorno discografico dei Coroner. Adesso che è tutto pronto, come vi sentite? 

Grazie, è fantastico essere di nuovo qui. Onestamente, dopo così tanti anni provo un mix di emozioni: eccitazione, sollievo e un’enorme gratitudine. I primi due singoli, Renewal e Symmetry, sono stati accolti incredibilmente bene dai fan e non potremmo esserne più felici. 

Il vostro nuovo album, “Dissonance Theory”, arriva come detto a più di tre decenni di distanza da “Grin”. Il mondo è cambiato, la musica forse ancora di più, con un’accelerazione enorme verso la tecnologia: gli strumenti per la promozione, il modo di fruire della musica, persino il modo di comporre e registrare gli album. Semplificando molto il concetto, adesso tutto è a portata di un click. Cosa ne pensi di tutto questo e come si inseriscono i Coroner in questo nuovo business discografico 2.0? 

Abbiamo utilizzato la tecnologia dove era opportuno, ma senza lasciare che sostituisse l’elemento umano. La tensione, le imperfezioni, l’anima. Ecco perché abbiamo puntato su amplificatori valvolari reali, abbiamo utilizzato apparecchiature di registrazione analogiche e abbiamo ridotto al minimo le possibilità di editing, per preservare l’energia grezza e l’autenticità delle performance. 

Riguardando “Rewind”, il vostro documentario ufficiale del 2016, mi ha colpito molto come verso il finale tutti gli artisti coinvolti vi abbiano spinto a realizzare un nuovo album. Un chiaro segno di quanto tutti lo desiderino e lo abbiano desiderato. Immagino che dentro di voi abbiate sempre coltivato il sogno di comporlo e registrarlo, ma qual è stata la scintilla che vi ha permesso di farlo davvero? O comunque qual è stato il momento in cui avete realizzato che potevate ancora donare ai vostri fan un album di qualitá, degno del vostro moniker? 

Ci siamo chiesti come sarebbe stato il sound dei Coroner oggi. La vera scintilla è scattata quando abbiamo ricominciato a suonare insieme dopo i concerti della reunion e abbiamo sentito tornare quella stessa alchimia. Non nostalgia, ma qualcosa di vivo. Una volta che le prime nuove idee sono sembrate fresche e inconfondibilmente “Coroner”, abbiamo capito che potevamo creare un album all’altezza del nome.  

Per chi ha già visto il suddetto documentario, è abbastanza chiaro il motivo per cui Marquis Marky abbia deciso di non far parte di questa nuova avventura. Ovviamente dispiace che sia andata così, ma è bello che siate rimasti in buoni rapporti. Come siete entrati in contatto con Diego Rapacchietti e cosa pensi che possa apportare come valore aggiuntivo alla band? 

Conosco Diego da molto tempo. Ha lavorato molto nel mio studio come session drummer e abbiamo anche suonato insieme nei 69 Chambers. Fin dalla prima volta che abbiamo suonato insieme, mi è sembrato che lo facessimo già da vent’anni. C’era una connessione speciale. Ecco perché, per me, era chiaro che sarebbe diventato il nuovo batterista dei Coroner. Dato che Diego è un batterista molto versatile e sa suonare tanti stili diversi, ho avuto più possibilità durante il processo di scrittura delle canzoni. Ovviamente Marky fa parte della famiglia e sarà così per sempre. 

 

 

In passato è stato Marky a occuparsi dell’immagine dei Coroner: logo, copertine, perfino i testi. Chi ha preso in mano il testimone al suo posto sotto questo aspetto e cosa puoi anticiparci riguardo al nuovo album? 

Per Dissonance Theory, le cose sono andate diversamente. I testi sono stati scritti da Kriscinda Lee Everitt, un’autrice americana che attualmente sta scrivendo un libro sui Coroner, insieme al nostro co-produttore Dennis Russ e a me. Per me era molto importante che i testi fossero davvero al servizio della musica e creassero una narrazione tra suono e parole. Dal punto di vista visivo, abbiamo collaborato con l’artista francese Stephan Thanneur, che ha compreso davvero l’estetica dei Coroner. 

I vostri precedenti 5 album sono usciti tutti per Noise Records, un’etichetta che aveva riunito un vero e proprio patrimonio artistico incredibile all’interno del proprio roster. Guardando la lista degli album pubblicati viene il capogiro… Vista da fuori, era una delle migliori label in quegli anni come scouting e per la capacità di permettere agli artisti di esprimersi al massimo delle proprie potenzialità, ma forse non era altrettanto dotata degli adeguati mezzi finanziari. Se tu dovessi mettere sul piatto della bilancia dei pro e contro tutti questi aspetti, quale sarebbe a posteriori il bilancio della vostra esperienza con Noise? Cosa vi aspettate invece da una label importante come Century Media oggi? 

Allora a volte incolpavamo l’etichetta quando le cose non andavano alla perfezione, ma ripensandoci era tutto a posto. Karl Walterbach ci ha dato la possibilità di raggiungere un pubblico mondiale e oggi con Century Media abbiamo un partner forte al nostro fianco. Alla fine, è una collaborazione: tutti vogliono il miglior risultato possibile. 

A giudicare dal vostro nuovo singolo, ‘Renewal’, sembra che la vostra musica e il vostro modo di comporre abbiano compiuto un’ulteriore evoluzione, così come avvenuto per ogni singola release precedente. Per citarvi, siete come un serpente che muta pelle ciclicamente. Eppure, ancora una volta, dopo pochi secondi si capisce subito che si tratta di un brano dei Coroner. A parole tue, cosa ci dobbiamo aspettare di trovare su “Dissonance Theory”? E a quale disco si avvicina maggiormente? 

Ho capito subito che non aveva senso pianificare come avrebbe dovuto suonare l’album oggi. Sono una persona diversa ora e non potrei mai comporre di nuovo No More Color o Grin. Quindi ho semplicemente scritto liberamente e, naturalmente, sono emersi alcuni parallelismi con il passato, semplicemente perché si tratta delle mie composizioni e dei miei gusti. 

C’è stata o esiste tuttora qualche band che dal 1993 a oggi vi abbia particolarmente colpito e che in qualche modo vi abbia influenzato per il nuovo album? Oppure qualcuna che ti sentiresti di raccomandare? 

Dal 1993 molte band mi hanno colpito, ma non mi hanno influenzato direttamente per Dissonance Theory. L’obiettivo era quello di suonare come i Coroner di oggi. Tuttavia, ammiro band come Meshuggah o Opeth per la loro capacità di evolversi rimanendo fedeli a sé stesse e questo spirito risuona profondamente dentro di me. 

Se potessi tornare per una sola volta indietro nel tempo, c’è qualcosa che diresti al te stesso di allora di fare diversamente, paradossi vari permettendo? Oppure rifaresti tutto alla stessa maniera? 

Onestamente, non cambierei nulla, perché sarebbe del tutto inutile. Ogni passo, positivo o negativo che sia, mi ha reso quello che sono oggi. 

Parlando di paradossi, è piuttosto assurdo pensare quanto la vostra fama sia cresciuta da cult band dopo il vostro ritiro. Forse anche più di quando eravate in attività. Nel documentario si fa riferimento al concerto tenuto all’Hellfest nel 2011 come al vostro show con più fan in assoluto fino a quel momento. Io ero tra il pubblico e posso dire che l’attesa dei fan era davvero palpabile. Le persone vi aspettavano da tanti anni e voi avete ripagato tutti con una prestazione notevole. Che ricordi avete della serata e più in generale di quel tour? 

L’Hellfest 2011 è stato indimenticabile. Il mix tra fan di lunga data e nuova generazione ha creato un’energia incredibile. Tornare sul palco dopo tanti anni ci ha ricordato perché facciamo musica. 

Negli ultimi anni avete suonato piuttosto regolarmente in Italia. Un mese fa al Luppolo in Rock, un anno fa al Metal Park, due anni fa al Return of the Gods e così via. Che impressioni vi siete fatti della vostra fanbase italiana? Qualche aneddoto particolare da raccontare? 

L’Italia ci ha sempre stupito. I fan sono appassionati ed energici. Ogni volta che suoniamo lì, è come entrare in una stanza piena di vecchi amici, anche se non li vediamo da anni. Ma, onestamente, veniamo soprattutto per il cibo 😉 

La musica classica è sempre stata parte del tuo bagaglio culturale e si sente nelle composizioni dei Coroner. Effettivamente siete tra i primi in assoluto ad aver provato qualcosa del genere nel Thrash. Tra i vostri coevi, se ne sentono echi nelle composizioni dei Toxik del grande Josh Christian (forse il chitarrista più “vicino” a te per capacitá tecniche e compositive, assieme – azzarderei il paragone ––- ad Alex Skolnick) ed è componente fondamentale nella musica dei Mekong Delta. Sul loro album più rappresentativo, “Dances of Death” (1990), si può ascoltare un’ambiziosa cover di “Una Notte sul Monte Calvo” di Mussorgsky. Hai mai pensato a fare qualcosa del genere con i Coroner? 

No. 

Ricollegandomi alla mia domanda iniziale, dato che la tecnica per te è sempre stato un aspetto fondamentale, la sensazione, per chi continua a vivere la musica Heavy Metal anche nel 2025, è che tra i giovani musicisti ce ne siano tanti con abilità notevoli, ma che manchino un po’ le idee per distinguersi dalla massa e talvolta le capacità compositive (qualità che invece a voi non sono mai mancate). Cosa consiglieresti alle giovani band emergenti in base alla tua esperienza? 

La tecnica non è nulla senza le idee. Concentratevi sulla vostra “voce”, componete musica che smuova qualcosa nelle persone e suonate con passione. 

Lasciando un attimo da parte i Coroner, come valuti la tua esperienza nei Kreator e come valuti, a distanza di anni, quei due dischi? 

Far parte dei Kreator è stata un’esperienza fantastica. All’epoca stavano attraversando un periodo piuttosto difficile ed erano alla ricerca di nuove ispirazioni. Capisco che questi due album non siano i preferiti dalla maggior parte dei fan, ma ne sono comunque orgoglioso. Se li ascolti con mente aperta e senza aspettarti il vecchio sound thrash, scoprirai molte cose fantastiche. 

Un’altra band alla quale siete molto legati, erano i Celtic Frost. Per il reciproco aiuto e supporto che vi siete scambiati negli anni con Tom G. Warrior e Martin E. Ain. Riguardo al primo, come giudichi la sua carriera in generale? Qual è il suo progetto o album che più ti ha colpito? Riguardo al secondo, compianto artista, che riposi in pace, mi piacerebbe che ci raccontassi la sua importanza per la scena elvetica in particolare e ci parlassi della sua eredità musicale. Con “Morbid Tales” e “To Mega Therion” la band si era già conquistato l’assoluto rispetto di fan e amici sparsi per il mondo, ma mi piacerebbe sapere come ha reagito la cerchia più ristretta quando è uscito “Into The Pandemonium”. Voglio dire, mettere una cover di un gruppo New Wave in apertura, drum machine, elementi Industrial, cantato Dark, abbondanti voci femminili, violini, violoncelli, perfino corni francesi. Un disco che sentito oggi, magari non farà scalpore, ma essendo avanti parecchi anni, al tempo deve aver lasciato un po’ tutti spiazzati. Cosa avete pensato la prima volta che l’avete sentito? [Originariamente erano tre domande separate, ndr]

Ho grande rispetto per Tom per tutto ciò che ha realizzato e per le sue idee visionarie, anche se la musica in sé non mi ha mai particolarmente emozionato. Martin era soprattutto un amico e mi manca moltissimo. 

Grazie di tutto Tommy e buona fortuna per questo nuovo capitolo nella storia dei Coroner. Se vuoi aggiungere qualcosa, qui ne hai la possibilità. 

Grazie a tutti i fan e agli amici che ci hanno sostenuto. Siamo entusiasti di questo nuovo capitolo e speriamo che tutti apprezzino la musica tanto quanto noi ci siamo divertiti a realizzarla.