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Intervista Labyrinth (Andrea Cantarelli)

Di Marco Donè - 18 Aprile 2017 - 10:00
Intervista Labyrinth (Andrea Cantarelli)

Uno degli eventi di questo 2017 metallico è sicuramente il ritorno sulle scene dei leggendari Labÿrinth. A pochi giorni dall’uscita di “Architecture of a God“, questo il titolo dell’ottavo studio album della band toscana (qui la nostra recensione), abbiamo avuto modo di fare due chiacchiere con un loquace Andrea Cantarelli che, carico e chiaramente soddisfatto per quanto realizzato, si è dimostrato disponiblissimo alle nostre domande.

Eccovi quindi il resoconto di quella che si è rivelata una piacevolissima chiacchierata.

 

Intervista a cura di Marco Donè

 

Ciao Andrea, sono Marco, benvenuto su Truemetal.it. Come stai?

Ciao Marco, grazie per il benvenuto! Sto bene, fortunatamente, e spero che sia lo stesso per te.

Tutto bene anche per me, Andrea. Grazie! Siete tornati con un nuovo disco a sette anni di distanza da “Return to Heaven Denied pt II – A Midnight Autumn’s Dream”. Come mai ci avete fatto aspettare tanto?

Onestamente questi anni sono volati. Non ho la benchè minima percezione che sia passato così tanto tempo dall’ultimo album. Credo che potrei diventare, non per meriti o capacità musicali, un membro ad honorem dei Tool! (ride n.d.r.) In realtà il processo di composizione, arrangiamento e registrazione di un album non è esattamente banale. Con Olaf abbiamo iniziato a buttare giù nuove idee subito dopo RTHD Pt.II e quindi la sensazione che non siano passati sette anni, credo dipenda dal fatto che in realtà non abbiamo mai smesso di lavorare al progetto. L’importante, almeno per noi, è che finalmente siamo di nuovo qui.

I Labÿrinth 2017 si presentano con una formazione rivoluzionata, composta da nomi che non hanno bisogno di presentazioni. Ci spiegheresti la genesi che ha portato a questa nuova lineup?

Come dicevo prima, la stesura di nuove idee è cominciata subito dopo l’uscita di RTHD Pt.II. Io ed Olaf scriviamo assieme da più di vent’anni. E’ per noi un gran divertimento prima di tutto, a cui non vogliamo rinunciare. Sentivamo il bisogno di rinnovarci un pò. Sentivamo la necessità di ripartire dallo stesso punto in cui eravamo agli inizi di questa avventura. Inizialmente non stavamo pensando ad un nuovo capitolo marchiato Labÿrinth, volevamo semplicemente ritrovare il piacere di scrivere insieme, curiosi di quelli che potevano essere i risultati. Quando arrivò la richiesta di Frontiers per un nuovo album dei Labÿrinth il processo di rinnovamente a cui mi riferivo prima era già partito, per cui semplicemente continuammo in quella direzione.

 

 

Veniamo a “Architecture of a God”, il vostro nuovo lavoro. Sbaglio o ci sono molti punti di contatto tra i “nuovi” e i “vecchi” Labÿrinth, in particolare con quelli dei primi anni del nuovo millennio?

È sempre difficile, per me, fare accostamenti con il passato. Da sempre scrivo in maniera molto libera, senza pensare troppo a quanto fatto in precedenza, cercando di soddisfare prima di tutto me stesso. Il risultato finale dipende da molti aspetti: gli arrangiamenti, i suoni in studio, per fare degli esempi, che hanno reso molte delle canzoni che appartengono ai nostri album, così diverse tra loro. Ma la matrice è la stessa, e nella mia testa ogni singola canzone che ho composto per Labÿrinth suona Labÿrinth al 100%. In questo album, come sempre, sono presenti gli elementi musicali che ci hanno contraddistinto da sempre. Melodia, aggressività, e un pizzico di malinconia. Il mix di questi elementi, e dei molti altri che ci caratterizzano, non può per ovvie ragioni risultare sempre lo stesso. Anche per noi, ogni volta, il risultato finale è una sorpresa.

Un titolo come “Architecture of a God” farebbe pensare a un concept album. Ti andrebbe di spiegarci il suo significato e le tematiche che avete affrontato in questo ottavo full length?

“Architecture of a God” non è un concept album. Il significato del titolo non è assolutamente da intendersi in senso religioso. Semplicemente la sensazione è che stesse nascendo qualcosa di davvero importante, e ci è piaciuto immaginare che qualcuno o qualcosa fosse artefice insieme a noi di questo nuovo capitolo. Abbiamo affrontato tematiche molto diverse tra loro. Alcune introspettive, legate alla nostra sfera più intima, altre di interesse comune su fatti particolarmente attuali. E in alcuni casi abbiamo voluto giocare con il nostro passato e quello che speriamo possa essere il nostro futuro come band. Lascio a chi disporrà dell’album entrare nel merito delle liriche e perchè no, farle proprie.

Qual è il significato di un brano come “We Belong to Yesterday”? Il suo fraseggio di chitarra compare in sottofondo anche in altre tracce…

“We Belong To Yesterday” è sicuramente una delle song che preferisco del nuovo album ed una delle prime canzoni composte. Fa parte di quel momento in cui all’orizzonte non era ancora visibile un nuovo album marchiato Labÿrinth. Forse il suo pregio è proprio questo. Il suono, da una parte, è sicuramente riconducible alla nostra produzione passata, ma con un tocco di freschezza che mi entusiasma davvero. Il testo può essere interpretato in vari modi. Racconta, di fatto, di quanto il nostro passato, non solo musicale, ci abbia insegnato e fatto diventare ciò che siamo oggi. Mi fa piacere che tu abbia notato che il fraseggio introduttivo si ripete in momenti e forme diverse all’interno dell’album. Abbiamo voluto creare un trait-d’union tra le varie song che lo compongono.

E un titolo come “Still Alive”? Vi si nasconde forse un messaggio?

Beh, ci sentiamo vivi. Come non mai. Vogliamo essere padroni del nostro destino e poter raggiungere vette altissime o essere semplicemente liberi di sbagliare. Per quanto possibile vogliamo evadere da tutti gli schemi e costrizioni a cui siamo obbligati durante il nostro quotidiano. Viviamo in una società che ci sta ingabbiando sempre di più. Piena di regole, più o meno scritte, che ci stanno togliendo la cosa più preziosa di cui disponiamo: il tempo. Potrei parlare per ore di questo tema, ma credo che in poche righe rischierei di banalizzarlo. Spero che comunque il messaggio sia arrivato forte e chiaro.

Ho apprezzato molto la scelta di realizzare un video per “Someone Says”, uno dei miei pezzi preferiti del disco. Dove lo avete lo girato? Avete trovato qualche difficoltà nelle riprese “in mezzo alla natura”?

Assolutamente no! La scelta di girare un video per “Someone Says” era in un certo senso obbligata. E’ forse il pezzo più facile e immediato dell’album e credevamo giusto far sentire “al sicuro” il nostro pubblico. Girarlo all’aperto non è stato un problema, eravamo ovviamente in playback. Solita visita di cortesia da parte delle forze dell’ordine che però si sono dimostrate assolutamente cortesi e comprensive.

 

 

Andrea, non ti nascondo che in questi sette anni, una delle mie più grandi paure era che venisse posta la parola fine ai Labÿrinth. Siete invece tornati alla grandissima. Che sensazioni hai provato in questi anni, e come ti senti adesso?

Sai, la storia della band non è tra le più semplici e lineari. Una nostra caratteristica è però quella di scrivere musica prima di tutto per noi stessi, per dare sfogo alla nostra creatività e passare dell’ottimo tempo assieme. E soprattutto farlo solo quando ne sentiamo davvero la necessità. Mai per imposizione o altro. Purtroppo o per fortuna quel momento può arrivare come no. E’ arrivato dopo tanti anni dall’uscita del precedente album, ma ora, con il lavoro tra le mie mani, mi sento davvero soddisfatto e appagato.

Che significato ha per Andrea Cantarelli “Architecture of a God”?

Ci rendiamo conto che per il nostro pubblico siamo semplicemente i “Labÿrinth”. Siamo coscienti che per chi ci ascolta siamo “solo” uno dei tanti gruppi che prova a raccontare le proprie emozioni, sperando di suscitarne altrettante all’ascoltatore. Ma in realtà siamo semplicemente persone che hanno avuto la fortuna di incontrarsi e che insieme riescono a creare qualcosa che per noi è semplicemente “magico”. E ogni volta che succede, che questa magia si ripresenta, torno a sentirmi vivo. La musica per me è un bene prezioso, forse il più prezioso in assoluto. E quando ascolto la musica che naturalmente riesco a creare, collaborando con gli altri membri della band, mi sento davvero molto fortunato, in un certo senso, privilegiato. Non pretendo di piacere a tutti, nè mi sono mai posto questo tipo di obiettivo. Pretendo però rispetto per il mio lavoro, che è frutto di tanta passione, sacrifici e fatica. Onestamente trovo veramente insensato leggere quà e là commenti poco edificanti su quanto proponiamo. Ho sempre pensato che di fronte a qualcosa che non ci piace la cosa più semplice sia quella di passare oltre, sperando di incappare in qualcosa che ci soddisfi di più. Amo le critiche, fanno crescere, purchè non siano gratuite e piene di odio. Ma siamo nell’era di Internet, dove tutti possono dire e fare ciò che vogliono, perchè nascosti da uno schermo. Alimentando malumori o peggio. Abbiamo un’arma davvero potentissima in mano, spero che troveremo il coraggio per poterla usare al meglio.

Considerando le attese e le aspettative che ruotavano e ruotano attorno al vostro nome, durante le fasi di songwriting e di registrazione di “Architecture of a God”, avete mai sentito pressione su quello che stavate facendo?

Assolutamente no. Ognuno di noi vive la propria quotidianità, fatta di gioie ma inevitalbimente anche di tanti problemi. La musica è per noi la via di fuga da quello che ci succede ogni giorno, o la possiblità di fermare nel tempo sensazioni ed emozioni particolarmente importanti. E tutto questo non possiamo viverlo che con gioia e tanta serenità. Mettiamo sempre il 100% in quel che facciamo, nel rispetto nostro e di chi ci ascolta. Ovviamente non sempre riusciamo ad accontentare tutti, credo sia normale, ma vogliamo essere onesti fino in fondo facendo ogni volta il miglior lavoro possibile. Se dovessi sentirmi sotto pressione, penso che mi dedicherei ad altro. Le bocce, ad esempio. Di qualunque tipo (ride n.d.r.).

 

 

Andrea, la prossima domanda potrebbe essere scomoda, confido nella tua bontà d’animo… Guardando il vostro passato, dopo il seminale “Return to Heaven Denied”, la strada verso l’Olimpo del metal sembrava spianata. Purtroppo qualcosa andò storto e, pur raggiungendo importanti risultati, avete ottenuto molto meno di quanto vi sarebbe stato dovuto. Ricordo la pressione che c’era su di voi durante le lavorazioni di “Sons of Thunder”, le incomprensioni con Neil Kernon, le tensioni interne che avvennero poco tempo dopo. Col senno di poi, come interpreti quel periodo? Se avessi la possibilità di tornare indietro nel tempo, cosa cambieresti?

Non è una domanda scomoda. Quel periodo fa parte della nostra carriera, non è un problema parlarne. Eravamo giovani, inesperti, ed in un certo senso abbandonati a noi stessi. Partendo davvero dal basso, in relativamente poco tempo, abbiamo raggiunto il grande pubblico. Siamo semplicemente stati poco abili nel gestire tutto. Se aggiungi poi la mancanza di una vera squadra di lavoro, risulta abbastanza evidente il perchè in quel periodo commettemmo parecchi errori. Errori legati alla nostra inesperienza che, credo, ci hanno precluso ad una carriera sicuramente più importante. Se potessi tornare indietro nel tempo, probabilmente scriverei dopo “Return To Heaven Denied” questo nuovo “Architecture of a God”. E non mi riferisco prettamente allo stile musicale, alle canzoni in sè. Ma al processo creativo che ci ha portato fino qui. Eliminando gli orpelli e tutto il superfluo che, come dicevo prima, caratterizzò l’era “Sons of Thunder”. Tornando a contare soprattutto su noi stessi e su quanto il nostro pubblico ci bisbigliava all’orecchio. Quando ripenso a quel periodo mi sento un pò il Balotelli del Metal Italiano. Ovviamente con molti meno soldi. E qualcos’altro in meno, immagino (ride n.d.r.)

Tornando al presente, come è nata la collaborazione con la sempre più importante Frontiers Records?

Frontiers, che non potrò mai ringraziare abbastanza per averci convinto ad intraprendere questa nuova avventura (e qui la schiera di haters:”ma Frontiers non poteva farsi gli affari suoi…”), è in qualche modo sempre stata parte della nostra avventura. Almeno dal periodo successivo a “Sons Of Thunder”. Olaf registrò per loro in passato con i Vision Divine, io ebbi la fortuna di averli al mio fianco per il debutto dei miei “A Perfect Day”. Sono persone fantastiche, prima che grandi professionisti del settore. Lo dimostrano i risultati eclatanti che hanno raggiunto in questi anni. Spero che siano soddisfatti del nuovo album, almeno quanto lo siamo noi.

Tra i nostri lettori ci sono molti aspiranti musicisti. Considerando che sei uno dei chitarristi più talentuosi in circolazione, ti andrebbe di parlarci di quali tecniche preferisci usare e con quale strumentazione ti senti più a tuo agio?

Siamo messi bene! Se sono io uno dei chitarristi più talentuosi in circolazione, allora la vedo davvero grigia (cit. Nonno). Ciò che mi interessa, come musicista, è riuscire a raccontare chi sono, anche negli aspetti più profondi e nascosti, attraverso il mio strumento. Il vocabolario musicale e la tecnica di cui dispongo, sono conseguenti alla mia necessità di esprimermi. Il mio chitarrista preferito in assoluto rimane Criss Oliva. Un mix perfetto, a mio modo di vedere, tra tecnica e cuore. Non amo correre su e giù per la tastiera, semmai spendere tempo alla ricerca della nota giusta. Mi piace comporre, non sono un fanatico degli assoli, tutto deve essere sempre funzionale alla canzone. Per quanto riguarda la strumentazione ho avuto per le mani davvero di tutto: ampli a valvole, rack di stampo anni Ottanta modello frigorifero, chitarre di ogni tipo. Oggi uso Kemper per una semplice questione di comodità ed amo le PRS che trovo un’ottima sintesi di molti strumenti, ma con una loro personalità. Ma se voglio sentirmi davvero a casa, imbraccio la mia Charvel 650XL di inizio anni Novanta, la collego alla mia Mesa Rectifier, mi apro una birra e aspetto che i vicini chiamino la polizia.

 

 

Tornando ai Labÿrinth, quali i progetti futuri? Vi sarà un tour di supporto a “Architecture of a God”?

Vedremo. Ad oggi abbiamo pianificato alcune date. Credo che si possa parlare di tour se il disco otterrà un buon riscontro di mercato. Viviamo giorno per giorno, cercando di cogliere ogni occasione possibile per divertirci e spero, divertirvi. Continueremo a scrivere musica, questo è certo. Vedremo se finirà ancora una volta su un album marchiato “Labyrinth”. Adesso mi sto dedicando al nuovo “A Perfect Day”. E’ un progetto in cui credo molto.

Andrea, siamo arrivati alla fine. Ringraziandoti per questa intervista, lascio a te le ultime parole per salutare i nostri lettori.

Grazie a te, Marco, e a tutto lo staff di Truemetal. Ringrazio sinceramente tutti coloro che continuano a supportarci in questo lungo viaggio, che spero davvero continui ancora a lungo, anche e soprattutto grazie a tutti voi. Buona musica e buona vita. Andrea.