Intervista Shores Of Null (Raffaele Colace, Davide Straccione)
Il 27 novembre è uscito sul mercato via Spikerot Records “Beyond the Shores (On Death and Dying)”, nuovo ambizioso lavoro dei doom metaller tricolore (da Roma) Shores of Null. Un disco composto da una sola, lunghissima title-track che anziché annoiare come si potrebbe pensare di primo acchito, invece ammalia e seduce sia l’udito che la mente, spingendoti a riascoltarla più volte e facendo così passr via le ore in men che non si dica. Insomma, pura essenza Doom Metal, ma con un approccio ancor più esistenzialista e pensante. Non potevamo quindi farci scappare l’occasione di scambiare quattro chiacchiere a riguardo con Raffaele Colace e Davide Straccione, rispettivamente chitarrista e voce della band.
A loro la parola quindi.
(Intervista a cura di Giuseppe “House” Casafina)
Salve ragazzi, benvenuti sulle pagine di TrueMetal!
(Raffaele Colace) Ciao a tutti i lettori di TrueMetal. È un piacere trovarmi qui.
Gli Shores of Null sono a conti fatti una “superband” composta da elementi di diverse formazioni del vostro entroterra musicale: raccontateci la storia di questa formazione, la sua prima evoluzione fino a raggiungere i giorni odierni.
(Raffaele Colace) Grazie mille per il complimento. Ho sempre pensato alle superband come quei gruppi venuti fuori dall’unione di super musicisti di super gruppi. In effetti, anche se non veniamo da super gruppi, la nostra storia ha avuto origine dall’unione di alcuni membri di band più o meno navigate. Parlando di Gabriele e Davide ad esempio erano rispettivamente il chitarrista dei The Orange Man Theory e cantante degli Zippo (band che ho adorato in passato). Emiliano ha avuto diverse band ma quando ci siamo conosciuti suonava maggiormente con i Noumeno e gli Embrace of Disharmony e Matteo era il bassista de Il Grande Scisma D’Oriente. Per quanto mi riguarda mi divertivo a suonare un math/rock non troppo composto nei Mens Phrenetica.
Ad un certo punto sentivo l’esigenza di cambiare regime. Mi servivano delle note più cupe e dei suoni più melodici. Ho proposto un paio di brani a Gabriele, che sarebbero diventate due tracce del primo disco ‘Quiescence’ e dal momento che anche lui si trovava in un momento di transizione abbiamo deciso di provare a scrivere della musica insieme. Quando l’intero album fu pronto dal punto di vista strumentale, lo facemmo sentire a Davide e da lì la strada è stata in discesa. L’arrivo di Emiliano e Matteo ha dato il via alla nostra esistenza.
La formazione odierna è quella originale ed è più solida che mai. Siamo pronti ad uscire con il nuovo disco Beyond The Shores (On Death And Dying) e speriamo che prima o poi si possa tornare a suonare dal vivo.
I progetti paralleli che racchiudono componenti da più band di solito nascono da esigenze di comunicazione musicale molto complesse e nel vostro caso mi sembra evidente che tale messaggio era anche molto urgente: si percepisce un istinto di fondo molto profondo, il quale si lega ad un sound decisamente variegato a livello di influenze.
Un comparto lirico molto intimista e pensante rafforza il tutto dando vita ad un sound molto complesso, che nel caso di quest’ultimo lavoro mi pare ulteriormente arricchito per certi versi di vaghissimi accenni progressive: cioè, si sente sempre che siete voi, avete un sound ormai riconoscibile ma questa volta pare proprio vi siate spinti oltre. Ci ho preso giusto oppure ho sono andato troppo oltre….?
(Raffaele Colace) Come hai notato e come ho detto prima, veniamo da band diverse anche nei generi: death metal, stoner, progressive, rock. In qualche modo la nostra unione ha portato al sound che ci contraddistingue ma che non è stato per niente forzato. È comunque vero che in quest’ultimo disco abbiamo fatto qualcosa che non avevamo ancora fatto in precedenza. Abbiamo composto questo disco in cinque o sei sessioni nel giro di un mese e mezzo. È stato amore a prima vista e abbiamo voluto dare un’impronta diversa dai precedenti lavori. Doveva essere il più lento e cupo possibile. I riff e le parti melodiche sono state create con totale naturalezza. Ma ad essere sinceri, il fatto che ci sia poca doppia cassa in questo brano è il risultato di una sorta di imposizione che ci siamo dati. Emiliano per questo ci odia un po’.
I suoni degli Shores of Null, sebbene moderni, sono sempre avvolti da un’oscurità di fondo molto pesante, un senso di abbandono alla malinconia onnipresente e costante in qualsiasi sfumatura dei suoni stessi. E’ un mood condiviso da tutto il gruppo, nel senso di attitudine generale, oppure è un qualcosa che “costruite” (occhio alle virgolette) tutti assieme per ottenere un feeling complessivo che rispecchi la natura simile, ma a sua volta anche differente, di ognuno di voi?
(Raffaele Colace) Suoniamo insieme da ormai sette anni e se il mood non fosse condiviso probabilmente non avremmo l’attuale stabilità nella band. È anche vero però che come in tutte le relazioni abbiamo anche noi i nostri punti di vista differenti. E a volte dobbiamo trovare il compromesso per un particolare riff o una particolare melodia. Come ho scritto poco fa, Emiliano per esempio avrebbe preferito una doppia cassa più presente per esempio, ma il disco richiedeva un’attitudine diversa rispetto al passato e non ha fatto fatica a entrare nel mood necessario.
Due domande fa si accennava all’andare oltre: come mai è nata l’esigenza di un disco composto da un solo pezzo della durata di 38 minuti? Magari erano pezzi diversi poi uniti per esigenza artistica oppure vi eravate già preparati a creare qualcosa di molto ambizioso come può appunto esserlo un disco composto da un singolo pezzo?
(Raffaele Colace) Ad essere onesti, è stato un parto naturale! Quando io e Gabriele abbiamo iniziato a scrivere i primi riff ci siamo resi conto che sarebbe stato tutt’altro che breve e ogni nuovo riff stava bene con il precedente. Qualcosa di così aperto, cupo e ispirato non poteva essere interrotto e quando siamo arrivati al diciottesimo minuto sapevamo che non era finito. Eravamo consapevoli che avremmo scritto un solo brano di una durata indefinita ma ad un certo punto abbiamo calcolato quanto sarebbe dovuto essere lungo per metterlo su vinile. ‘Beyond The Shores (On Death And Dying)’ va veramente oltre quello che abbiamo sempre fatto ed è un lavoro che ci rende veramente orgogliosi.
(Davide Straccione) L’andare oltre è un concetto che mi piace citare parlando di questo lavoro, sin dal titolo. Abbandonare la comfort zone per scoprire cosa c’è al di là, musicalmente ma non solo.
Sin dal primo ascolto, il singolo pezzo che compone il vostro nuovo album mi è sembrato molto a fuoco, nel senso che si è saputo subito distinguere nelle singole parti senza risultare mai noioso: da dove è venuta questa molto attenta cura della dinamica, del feeling complessivo? Mi devo seriamente complimentare con voi.
(Raffaele Colace) Grazie mille. La composizione in realtà avviene in un modo molto naturale ed ispirato. Ovviamente la prima forma del brano non è mai quella definitiva. Dopo qualche ascolto cerchiamo di capire se ci sono delle parti che non ci convincono o che pensiamo possano annoiare e quindi cerchiamo di riarrangiare secondo quelle che sono le nostre aspettative. Il brano deve convincere noi in primis. Siamo molto attenti ai riff che si susseguono e alle melodie, alle parti di batteria e basso, fino a trovare le giuste note delle linee vocali. Ovviamente se il risultato poi piaccia all’ascoltatore non possiamo mai saperlo prima, ma la speranza è che, se noi ci entusiasmiamo per quello che realizziamo, alla fine possa farlo anche l’ascoltatore.
La copertina è più minimale che mai: come si rapporta al testo che compone l’opera?
(Davide Straccione) La copertina è una fotografia di Sabrina Caramanico, artista abruzzese che ho fortemente voluto per questo lavoro, mi è bastato mostrare agli altri alcune delle sue opere per ricevere la loro approvazione. Eravamo alla ricerca di una copertina diversa, minimale, come dal mio punto di vista reputo minimale ‘Beyond The Shores (On Death And Dying)’ nel suo complesso. Se confronti questo ai nostri precedenti lavori, oltre alla durata ti renderai conto che abbiamo utilizzato molte meno sovraincisioni, meno armonizzazioni vocali, meno doppia cassa, meno elementi in genere. Abbiamo sì aggiunto pianoforte, violini e voce femminile (di Elisabetta Marchetti degli Inno), ma ogni intervento contribuisce a raccontare la storia, dando maggiore importanza ad ogni elemento presente. Attenzione ai particolari, sì, ma presentati singolarmente, senza eccessivi assembramenti sonori, tanto per utilizzare un termine ormai entrato a far parte del nostro vocabolario. È un disco più spoglio ma non meno significativo. Tornando alla copertina, volevamo qualcosa che andasse oltre i canoni del genere, e cosa c’è di più antitetico alla nostra musica di una copertina totalmente bianca. L’intera opera è ispirata alle cinque fasi del lutto enunciate dalla psichiatra Elisabeth Kübler-Ross nel suo libro intitolato appunto ‘On Death And Dying’. Se pensiamo ad un colore legato alla morte nella cultura occidentale pensiamo immediatamente al nero, mentre in altre culture, come ad esempio quelle orientali, tale sentimento è espresso dal colore bianco. Se pensiamo alla morte come una liberazione, qualcosa di cui non aver paura, il bianco assume un significato pertinente come il candore della neve in copertina, l’accettazione della morte stessa.
Una domanda che avrei sempre voluto farvi nelle varie occasioni in cui vi ho visto dal vivo, e quindi ora ne approfitto…come si usa dire “Ora o mai più!”: ad una di queste occasioni un mio conoscente ascoltandovi esclamò “Sono la versione Doom Metal degli Alice in Chains!” …secondo voi vi è qualcosa di vero in questo? Anch’io effettivamente della formazione di Seattle sento sempre qualcosa che striscia tra i sottofondi del vostro sound! Magari mi sbaglio, ma qualcosa tra timbri di chitarra, alcuni riff e soprattutto parti di voce pulita ce la sento.
(Raffaele Colace) Ogni volta questa affermazione mi fa sorridere. In effetti non è la prima volta che veniamo associati agli Alice in Chains. Apprezzo molto questa band ma posso dirti che non sono tra le mie principali influenze. D’altro canto come hai notato anche tu, le parti di voce pulita possono ricordarli molto. Onestamente non mi dispiace quest’associazione ma non sono sicuro che siamo veramente la loro versione Doom Metal.
(Davide Straccione) La prima volta che ci è stato fatto notare non volevo crederci, poi riascoltando le mie armonizzazioni e continuando a ricevere le stesse osservazioni, mi sono convinto che un fondo di verità dovesse pur esserci. A me gli Alice In Chains piacciono molto e il paragone mi lusinga, anzi non farò mai nulla per smentirlo, sappiatelo, ma credo ci paragonino a loro perché sono coloro che nell’immaginario collettivo vengono più associati ad un certo tipo di uso delle voci. La voce stravolge sempre i brani degli Shores Of Null, se avessi cantato in growl dall’inizio alla fine come molte altre band, probabilmente mai nessuno avrebbe scomodato gli Alice In Chains. Tuttavia il paragone ci è piaciuto talmente tanto che qualche anno fa, quando abbiamo portato dal vivo il set acustico, abbiamo eseguito una nostra versione di ‘Down In A Hole’.
Domanda triste ma inevitabile dato il periodo….
L’emergenza COVID ci ha costretti un po’ tutti a rivedere le nostre abitudini e il Mondo come lo conoscevamo fino a ieri è quindi inevitabilmente mutato: come sono mutate quelle dei componenti degli Shores Of Null? Vi incontrate ancora in studio per provare qualcosa di nuovo nonostante tutto?
Secondo voi ci potrà ancora essere spazio per la musica e i musicisti (con annesso staff tecnico), dato che purtroppo molti spazi dedicati sono stati costretti a chiusure straordinarie (di qualsiasi tipo) dopo i nuovi decreti?
(Raffaele Colace) Il mondo non sarà mai più lo stesso, questo è sicuro. Ma pensare ad un futuro senza concerti, musica dal vivo e contatto con il pubblico mi fa stare veramente male. Per quanto riguarda la nostra attività è ovviamente cambiata anch’essa, ma da sempre il lavoro di composizione non avviene in studio e le prove le facciamo in modo mirato. Possiamo dire che gli Shores Of Null sono una vera band che lavora in smart working. Io, Gabriele e Emiliano siamo a Roma, Davide vive a Pescara e Matteo vive in Olanda. Questo ovviamente non ci consentiva già prima di fare delle prove con alta frequenza.
In questo periodo di Pandemia stiamo approfittando per lavorare sulla promozione del nuovo disco e ci stiamo preparando per tornare carichi più che mai sul palco. Perché dovrà essere necessariamente così.
La musica non verrà mai a mancare e dobbiamo necessariamente pensare che questa sia una condizione temporanea. In questo momento difficile, tutti nel panorama musicale stanno vivendo un periodo difficile: musicisti, tecnici, promoter, ecc. Ci sono delle alternative per continuare a lavorare in questo settore, come i live in streaming ad esempio, ma purtroppo sono difficili e costosi da organizzare e questo rende tutto più complicato per le band underground.
Dobbiamo assolutamente pensare che potremo tornare a suonare dal vivo! È vitale per un musicista.
Prima di concludere, parafrasando il titolo del vostro nuovo lavoro che purtroppo si va a scontrare perfettamente con la tragica realtà dell’attualità, siete davvero riusciti a dare un senso alla vita e, soprattutto, alla morte? La chiusura del vostro brano, così improvvisa, dà vita a molte domande in merito, suscitando tanti pensieri almeno quanto il testo contenuto in esso…
(Davide Straccione) Il senso della vita chissà se mai lo troveremo, credo che ognuno debba essere il più possibile sereno e vivere di piccole cose ma mi rendo conto che è sempre più difficile visti i tempi che viviamo e sono sempre le persone più vulnerabili a soffrirne. Mai come ora, la depressione può diventare un nemico ingombrante. Alla morte non saremo mai davvero preparati, può arrivare improvvisa e non lasciarci il tempo di riflettere o di andarcene come vorremmo, come il tuono che pone fine al brano interrompendo così bruscamente la melodia portante.
Ultimissima domanda: quale tipologia di aspettative nutrite (soprattutto a livello di responso di pubblico) nei confronti di un’opera così singolare per gli standard del Metal tricolore attuale? Vi sono possibilità di vedere l’intero disco eseguito dal vivo oppure si tratterà sempre e solo di un esperimento in studio? Se ci pensate bene, giusto per fare un esempio, il vostro disco dura ben 10 minuti in più di…“Reign in Blood” degli Slayer, il quale per intero dura solo 28 minuti!
(Davide Straccione) Dischi da una traccia unica non sono più una rarità ormai ma rappresentano sempre qualcosa di diverso dagli standard discografici, soprattutto nell’era digitale. Richiedono un’attenzione maggiore da parte dell’ascoltatore e non rappresentano certo un ascolto facile, ma credo che il nostro pubblico sia abbastanza maturo ed attento per poter apprezzare un’uscita di questo tipo. Non sono preoccupato della loro reazione, anzi credo che riusciremo ad arrivare a molte orecchie in più anche grazie alla presenza di Mikko Kotamäki degli Swallow The Sun e Thomas A.G. Jensen dei Saturnus, che mi piace ricordare non sono delle semplici comparse ma hanno letteralmente cambiato il volto di questo lavoro. Staremo a vedere cosa ne penserà la stampa, il rischio di finire nelle mani sbagliate c’è, ma per fortuna finora abbiamo ricevuto solo recensioni positive. L’intenzione di portare dal vivo ‘Beyond The Shores (On Death And Dying)’ per intero c’è e lo vorremmo tantissimo, ovviamente in contesti adatti e magari anche con tutti gli ospiti in occasioni selezionate, ma per prima cosa dobbiamo sperare di poter tornare a suonare live il prima possibile.
P.S.: Sempre viva gli Slayer!
E’ stato molto interessante porvi questa domande, complimenti per il risultato finale che personalmente ho davvero apprezzato. A presto e un saluto sentito da parte di tutta la redazione!
R: Grazie mille davvero. È stato un piacere raccontare ai lettori di TrueMetal.it le nostre esperienze. Spero vivamente di potervi rivedere dal vivo al più presto.
(Davide Straccione) Grazie di cuore. Un saluto a tutti voi e un ringraziamento particolare a te per lo spazio a nostra disposizione.
(Intervista a cura di Giuseppe “House” Casafina)