Libro in italiano sui Judas Priest
Pubblicato per la Magnetica Edizioni, “Heavy Metal Messiah” è il primo libro italiano sulla band di Birmingham. L’autore è il palermitano Marco Priulla (Divino Marchese nel nostro forum).
L’opera indaga il background lirico della band, ed è integrata dall’analisi di tutta la discografia e da una biografia.
Di seguito la prefazione del libro, scritta dall’editore Lorenzo Nicotra.”Nella visione nostrana culturalmente caotica, superficiale e spesso disordinata e qualunquista delle sonorità Hard – della musica “dura” – l’italiano medio sovente confonde tra generi e sottogeneri, definizioni e sottodefinizioni, tra etichette e sotto-etichette.
Per lunghi anni mi é capitato quasi costantemente di sentir ciarlare di “metal” accostando gruppi dalle sonorità e dagli stili talmente diversi da produrre nella mia mente un disdicevole e stizzoso stridio prolungato – come il famigerato gesso che si spezza sulla lavagna. Così, sotto la denominazione di Metal, sentivo accorpare, con sconforto e indignazione, i vari: Van Halen, Extreme, Metallica, e persino gli AC/DC! Come dire: di tutte le erbe un fascio.
Esiste invece una precisa e scrupolosa sintassi musicale che, sommata al modo in cui la si usa, definisce gli intenti e caratterizza gli stilemi che forgiano non solo il marchio di fabbrica di ogni musicista (o gruppo), ma che delineano il raggio d’azione creativo connotando una Band fino a renderla unanimemente “riconoscibile” e, nel bene o nel male, inseribile in questo o in quell’altro “genere.”
Fin dalle primissime interviste al nascente gruppo dei Judas Priest, e durante tutti gli anni della loro trentennale carriera musicale, la band si é SEMPRE e invariabilmente definita “METAL.”
Ciò é sintomatico di una potente visione e di un’estrema, precoce e sbalorditiva consapevolezza del linguaggio musicale adottato sin dagli esordi.
Col senno di poi, dopo attenta e appassionata analisi sulle peculiarità stilistiche dei Judas Priest, ciò che maggiormente si evince é la tenace, ferrea volontà di incarnare l’ideale estetico e sintattico-musicale dell’Heavy Metal.I Judas Priest SONO l’Heavy Metal.
Lo incarnano: alla perfezione.
Sono l’origine di un modo di fare musica che nonostante lo snobismo diffuso Esiste e R-esiste tenacemente al variare delle mode: quasi come una maestosa e irremovibile Piramide che non si arrenda all’erosione del tempo.
Dalla genesi – dagli esordi ancora venati di una sottile ma già obsoleta tradizione inglese ricca di screziature progressive – essi procedono con convinzione e fervore fino a sfornare album in cui il cuore del gruppo é volutamente “sintonizzato” a battere e pulsare su Riff e ritmiche secche, continue, instancabili, costanti.Nessuno spazio a sonorità “accordali,” nessun riverbero di suoni. Le chitarre appaiono compatte, rapide, secche, taglienti, incisive.
Mi sono spesso domandato cosa fosse a legarmi così tanto a questo splendido gruppo.
Gli elementi catalizzatori sono tanti – inverosimilmente troppi, per essere condensati in un’unica band. Che fosse l’onnipresente ritmica mozzafiato? Che é poi la Chiave di Volta del Vero Metal.O forse la presenza di due magiche chitarre soliste, la cui classe senza pari nasce dalla fusione tra un’estrema fluidità e una frenesia a stento disciplinata che erompe con veemenza come in nessun gruppo prima (e dopo). O forse – mi chiedevo – sarà l’effetto “Sirena Incantatrice” della sovrumana voce del leader Halford, capace di spaziare da toni gravi e cupi a incandescenti note acute e liriche che arrivano a straziare spirito e carne. Una voce che pur manifestando tecnica ed estensione mozzafiato, non é esibita con vanto e non risulta fine a se stessa, bensì intesa per regalare Energia e Potenza e Intensità e Cuore.O perfino – ipotizzavo – le semplici e spesso quasi ridicole seppure estremamente accattivanti linee di basso: una ritmica innocente nella sua semplicità ed efficacia.Infine, le doti compositive e la capacità di alternare brani sovrumanamente feroci alle più dolci e melodiche Ballad di tutti i tempi.
In realtà, é chiaro che nessun elemento, da solo, avrebbe potuto catalizzare i miei umori, i miei ascolti e le mie energie verso un’unica band. E’ più che evidente che è “la somma” di tutto ciò a creare un magico impasto, una lega paradisiaca. Un cocktail di ingredienti esplosivi ma al tempo stesso sapientemente amalgamati.
I vertici artistici, le vette, i pinnacoli, le cime che i Judas Priest hanno saputo innalzare non hanno e non avranno mai eguali.”