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Live Report: Батюшка (di Krzysztof Drabikowski) @ Legend Club, Milano – 30/03/2023

Di Jennifer Carminati - 31 Marzo 2023 - 11:31
Live Report: Батюшка (di Krzysztof Drabikowski) @ Legend Club, Milano – 30/03/2023

Live Report: Батюшка (di Krzysztof Drabikowski) @ Legend Club, Milano – 30/03/2023
a cura di Jennifer Carminati

 

 

Dopo la trionfale esibizione alla nona edizione del Metalitalia.com Festival, i Батюшка annunciano tre date esclusive a Milano, Roma e Bologna, dal 30 marzo al 1° aprile 2023. Il nome è volutamente scritto in lettere cirilliche come nel logo originale della band presente sulle locandine di questo tour, per non confondere la formazione del cantante Bartłomiej Krysiuk, Batushka, con quella oggi capitanata dal chitarrista e compositore Krzysztof “Derph” Drabikowski, riconosciuto dai fan come il vero artefice del successo ottenuto dal gruppo, grazie all’album di debutto ‘Litourgiya’ e al più che degno successore ‘Панихида’.

Con loro gli AMTHRYA, attualmente impegnati nelle date a supporto del loro ultimo lavoro ‘Passage’, edito da Ad Noctem Records.

 

Amalekim

Il compito di cominciare la serata spetta agli AMALEKIM, black metal combo milanese, che alle 20.30 o poco più irrompe sul palco; Mróz alla voce e chitarra, Azghâl al basso e voce, Atanor alla chtarra e Ktulak alla batteria incappucciati e col viso dipinto di nero non hanno mezzi termini, zero parole, se non l’enunciare i titoli delle canzoni.

Il mix culturale dei quattro componenti ha sicuramente influenzato la loro produzione, ferma al solo album ‘HVHI’ del 2021, generando una musica estrema mai scontata, un black metal senza compromessi di evidente ispirazione scandinava.

La loro è un’attitudine genuina e ci sbattono in faccia i loro velocissimi ritmi senza fronzoli, né voci pulite ad ingentilire il tutto, solo ed esclusivamente purissimo black metal violento e cattivo, con la chiara volontà di assalirci senza sosta con tempeste di blast beat e tempi sempre tiratissimi, alzando il pedale dall’acceleratore solo saltuariamente ma senza darci tempo di riprendere fiato davvero.

I loro riff di chitarra sono aggressivi, brutali, furiosi e il lavoro dietro di basso e batteria che macina rullate come se non ci fosse un domani rendono il risultato finale trucido, solido e compatto; i nostri trasmettono al pubblico la voglia di esserci su questo palco questa sera e l’indubbia passione con cui fanno la loro musica.

Alla fine della loro prestazione devo ammettere che devo uscire dal locale a prendere davvero una boccata d’aria, perché è come se avessi trattenuto il fiato negli ultimi trenta minuti.

Sono giovani e la strada davanti a loro è ancora lunga da percorrere e spero davvero non sprechino il loro indubbio talento e possano pubblicare presto altri album che andrò subito ad ascoltare, e magari ne leggerete la recensione su questo sito.

Sicuramente li rivedrò molto presto essendo loro di supporto ai Naglfar, per la loro unica data italiana il 10 aprile allo Slaughter Club.

Stay tuned.

Setlist:
  1. Avodah Zarah
  2. In the name of the adversary
  3. Eternal recurrence (ordo ad chao)
  4. Point of no return
  5. Breathing death
  6. Gift of cain
  7. Qlippoth
  8. The disease

 

Amthrya

Veloce cambio palco e son le 21.20 quando gli AMTHRYA fanno il loro ingresso; band italo-svizzera che si ispira nel look e nelle tematiche dei loro testi alla mitologia giapponese, molto più macabra e inquietante di quel che siamo abituati a vedere nei manga o anime. Mi han ricordato i demoni Yurei, una delle tipologie più popolari ed antiche fra gli spiriti nipponici: fantasmi colmi di rancore ritornati dall’aldilà per vendicare la propria morte o per infestare determinati luoghi, proprio come hanno fatto questa sera gli Amthrya sul palco del Legend.

Nella setlist proposta questa sera pescano a piene mani da ‘Passage’, il loro terzo full length uscito lo scorso anno e da loro stessi definito: “un viaggio, una destinazione in spazi infiniti, verso ricerche complesse e contraddittorie… l’essere umano e l’abisso della paranoia, la distorsione della realtà…. Amthrya prosegue il suo cammino tra le ombre dell’animo umano, svelandone gli orrori e mostruosità…”.

Si inizia subito con la title track dell’ultimo lavoro in studio, “Passage” per l’appunto, brano completamente sludge/doom al limite dell’ambient, dove atmosfere sussurrate si alternano a parti più elettriche e veloci; l’ulteriore dinamismo inserito da metà pezzo in poi ci aiuta ad arrivare al termine del brano, un tantino sfinente.

Pur avendo molti spunti interessanti, spesso si perdono trascinandosi lentamente per un minutaggio a volte estenuante; questa almeno è stata la mia prima impressione ascoltandoli su disco.  Preferisco decisamente i riff e le chitarre ritmiche veloci che spesso e volentieri sfociano nel death metal presenti in alcuni loro pezzi fortunatamente proposti anche in sede live.

La teatrale cantante Kasumi Onryo, in un pezzo come “Thorns Of Shame” ci regala una prestazione tirata e raggelante, e in generale alterna egregiamente urla angoscianti, tormentate e dissonanti a feroci growl caratterizzandoli fortemente con il timbro e la sua performance visivamente accattivante. C’è grande tecnica nella sezione ritmica, Hellequin al basso e Barry alla batteria, oltre che Il chitarrista Void, non perdono un colpo, non c’è davvero un attimo di respiro neanche nei quaranta minuti a loro disposizione.

Forse gli 8 minuti di ‘”The Flow” sono un tantino troppi, ma è un altro splendido brano che i nostri ci ripropongono eseguito in maniera impeccabile come tutta la setlist.

Se vogliamo provare a definirlo, il loro è un avantgarde black metal, sperimentale e ricercato, dalle tinte sia progr (fosse anche solo come detto per il minutaggio di alcuni loro pezzi) che depressive: un genere difficile, sia da eseguire in sede live che ancor più da recepire, devo ammetterlo, non mi avevano particolarmente colpito su disco, e dopo questa sera mi son un po’ ricreduta. Ed è anche per questo che non mi stancherò mai di dire che le band vanno viste dal vivo, perché solo lì si capisce davvero quale sia il loro reale potenziale.

Tecnicamente, come già detto, nulla da eccepire, e anche lo spettacolo che offrono è alla stregua di una recita teatrale a tutti gli effetti, non fosse altro per l’interpretazione di Kasumi Onryo; l’unica piccola critica che mi sento di fare nei loro confronti è che risultano un tantino freddi ed emotivamente distaccati dal pubblico in sala, anche se mi rendo conto che il genere che fanno non richiede un particolare coinvolgimento; sicuramente anche loro trasmettono passione e impegno, e possiamo quindi sorvolare su altri aspetti marginali.

Almeno la FrontWoman qualche piccola interazione col pubblico ha provato ad averla. Come quando sul finale ci ricorda una leggenda giapponese secondo la quale quando una persona muore annega nel cerchio della dannazione eterna fatto di rabbia e rancore e ci augura pure a noi di finirci dentro…ecco, diciamo che preferiremmo tutti ricevere auguri migliori di questo, ma il mood della serata è adatto a questo indubbiamente.

Sono una delle band più originali che io abbia ascoltato e visto negli ultimi mesi e devo ammettere che si resta quasi spaesati alla fine del loro show, c’è un senso di alienazione e inquietudine che ha pervaso il locale negli ultimi 40 minuti; penso proprio siano necessari altri ascolti in cuffia prima di poter comprendere davvero la loro proposta alquanto ostica ma non per questo meno interessante, anzi.

Lo farò, è una promessa, ma con atmosfere certamente più autunnali, in una serata piovosa, malinconica, quando, come diceva qualcuno ma ora non mi sovviene chi:”quando si vuole soffrire fino in fondo e godere di questa sofferenza”, magari accompagnata da un bel bicchiere di assenzio, che ne dite?!.

Il finale è mio però, ma penso che l’aveste capito.

E comunque… volevo condividere con voi che Kasumi Onryo, mi ha ricordato molto Samara Morgan, protagonista del film “The Ring”, regalandomi una notte insonne, vedendomela uscire dalla TV o dall’oblo della lavatrice o da ogni posto una donna possa uscire malignamente, non son riuscita a chiudere occhio, mi ha davvero inquietato.

Menomale dovevo scrivere il report, e come dice il proverbio “chi dorme non piglia pesci”, però ecco sappiate che sono facilmente impressionabile, non mi incontrerete mai al cinema a vedere un film horror, questo è poco ma sicuro, facilmente mi beccate invece al bancone del Legend come stasera a prendermi una birra.

Setlist:
  1. Passage
  2. Frozen October
  3. Thorns of shame
  4. The Flow
  5. P.e.a.c.e.
  6. Drowning in the grudge

 

Батюшка

E finalmente ci siamo, sono le 22.40 di giovedì 30 marzo 2023 e al Legend Club di Milano i Батюшка di Krzysztof Drabikowski si stanno per esibire in uno degli eventi più attesi della stagione, e vi spoilerò già che le aspettative non saranno affatto deluse, offrendoci uno spettacolo unico, tra atmosfere solenni e la furia black metal che li contraddistingue.

Devo ammettere sin da subito che mi sarei aspettata molto più pubblico di quello invece presente, che arriva sì e no a metà sala, ma dove eravate tutti in questo giovedì sera? Boh, io non capisco perché si rinuncia ad un live per poltrire magari sul divano o cazzeggiare in un bar. Andate ai concerti e supportate le band, italiane soprattutto, mannaggia a voi che non c’eravate.

Detto questo, veniamo a noi e chi c’era invece.

I Батюшка mettono in scena una vera e propria liturgia in chiave black metal, per gli appassionati del genere, davvero imperdibile. Li ho visti di recente, anche se con l’altra formazione, quella di Bartłomej “Bart” Krysiuk, al Black Over Milan, di cui vi invito ad andare a leggere il report, e devo ammettere che mi hanno davvero incuriosito e li rivedo questa sera molto volentieri.

Mentre venivo qui dopo l’ufficio mi è venuto in mente un giochino tipico della settimana enigmistica: “trova le differenze”, e voglio giocarci questa sera, vediamo un po’ quante ne trovo.

I Батюшка sono una formazione capitanata dal chitarrista e compositore Krzysztof “Derph” Drabikowski, che nel 2015 ebbe l’idea di combinare il black metal e le canzoni tradizionali liturgiche della Chiesa ortodossa. Il loro spettacolo è unico, già lo sapete, e ora ve lo racconto come meglio mi riesce.

Durante l’attesa vediamo che a poco a poco il palco assume una scenografia particolare, diventando un pulpito sacrale, ma la messa che sta iniziando non è quella a cui siamo abituati, ma un eccentrico rito ortodosso. Anche se, nell’altra versione Batushka, il fattore liturgico è molto più presente e ostentato, con candelabri accessi, incensori e teschi sparsi ovunque e una interpretazione del cantante Bart indubbiamente diversa da quella di Derph.

Al centro del palco una bara, con un altarino ed un teschio, e sopra di essa dei quadri che riproducono immagini di icone sacre, il tutto circondato da bastoncini di incenso, che alla fine dello show verranno donati alle prime file, e si nota subito che nessuna candela è stata accesa, nessun altare troneggiante è presente questa sera.

Il loro rituale magico, che porta sui palchi le iconografie bizantine, gioca con lo spettatore attanagliato dal dubbio vacillante di qualsivoglia fede, sfruttando l’espediente di attingere all’ortodossia dell’Europa Orientale imperniata di dogmi, reclamando sangue e obbedienza.

Mentre l’odore di incenso si diffonde nell’aria e il pubblico si fa silenzioso i monaci oscuri lentamente salgono sul palco, accompagnati da un canto gregoriano in sottofondo e dagli immancabili campanelli che ne preannunciano l’ingresso.

La formazione è meno imponente dell’altra versione, con soli altri quattro elementi oltre Drabikowski, due posti alla dx e due alla sx della bara, in linea parallela, come detto, senza nessuno che domini la scena su di un altare; tutti bardati nei loro neri costumi monacali e con il volto coperto per intero, scalzi e completamente immobili per tutta la durata dello spettacolo, così da creare un’atmosfera ancor più solenne e dissacrante.

Ci assalgono subito ritmiche cupe e parti serrate; riffing roboanti, pesanti, tremoli e malvagi. Uno streaming acido, arie liturgiche, solenni, austere, mistiche, ecclesiastiche, corollate incessantemente da canti e cori gregoriani in classico stile ortodosso; campane a tratti delicate e a tratti risolute, partiture e pennellate di matrice black alternate a passaggi opprimenti di stampo doom.

La band è in forma e ogni denso passaggio di riffing incoraggia headbanging, e il canto rituale dei coristi, spiritualmente inquietante, è altrettanto coinvolgente nella sua statica litania, anche se a volte devo ammettere l’effetto risulta un po’ mischiato e non ben definito.

Negli ultimi anni hanno dovuto subire molte vicissitudini, a causa delle dispute legali annesse al clamoroso split che nel 2018 ha portato alla costituzione di due band con lo stesso nome, ma lo show che propongono rimane più o meno invariato dai tempi dell’esordio ‘Litourgiya’.

Il loro è un black metal intervallato da cori liturgici e momenti in cui l’unico suono è uno scampanellio o addirittura il silenzio, atipico per la proposta visiva a cui siamo abituati ad assistere ad un concerto metal.

E come durante le cerimonie religiose i “fedeli” assistono nel quasi totale silenzio all’ora precisa di spettacolo in cui vengono proposti brani dal disco d’esordio ma anche dal successore ‘Панихида’, e fa un certo effetto ricordarsi che siamo ad un concerto metal tra le mura del Legend Club e non tra quella di una chiesa.

E come son entrati, in religioso silenzio per l’appunto, i cinque monaci profani ci lasciano senza pronunciare una sola parola e lentamente se ne vanno come figure evanescenti senza volto, che hanno portato ancora una volta, seppur in maniera leggermente diversa, nella città meneghina un concerto imperniato sull’evocazione e la liturgia.

Vi ricordate che all’inizio di questo report vi ho proposto il gioco sulle differenze da trovare? Ecco direi che dall’ultima volta che li ho visti, non ne ho trovate molte, se non nella lineup e come detto, nello spettacolo lasciatemi dire più suonato e meno rituale.

Ad oggi la loro proposta, Батюшка o Batushka a voi la scelta di quale versione preferite, mantiene intatto tutto il proprio fascino e va più che bene così, ma in futuro, qualora ce ne fosse uno, per la band polacca si intende, sarà sicuramente necessario apportare qualche cambiamento per non essere ripetitivi e rientrare nel cliché che basta vederli una volta perché tanto i loro show son sempre uguali.

I dibattiti sulla proprietà del nome Batushka possono anche continuare a turbinare nel web, ma data la pura qualità offerta da Krzysztof Drabikowski e dei suoi Батюшка, è chiaro che tutto ciò non deve andare a sparire.

La formazione black metal polacca è e deve restare una delle realtà più apprezzate e discusse dell’ultimo decennio.