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Live Report: Brutal Assault – Fortress Josefov, Jaroměř (Česká Republika) 1/3

Di Tiziano Marasco - 15 Agosto 2013 - 9:00
Live Report: Brutal Assault – Fortress Josefov, Jaroměř (Česká Republika) 1/3

Musica estrema, cibo per tutti i gusti, belle ragazze e birra a poco prezzo. Dove siamo? In paradiso? No, molto più prosaicamente  ci troviamo al Brutal Assault Festival, evento giunto quest’anno alla diciottesima edizione in quel di Jaromer, cittadina della Repubblica Ceca a due passi dalla Polonia. Leggiamo un po’ come andata attraverso le parole dei nostri due inviati, Tiziano Marasco e Stefano Burini.

Per coloro che non bazzicano i festival all’estero e in particolare quelli dedicati all’estremo, vale la pena di spendere qualche parola sul Brutal Assault: festival dedicato, come il nome lascia facilmente intendere, a tutto lo spettro della musica estrema, non soltanto metal tout-court. L’edizione 2013 (la diciottesima), così come quelle che la hanno preceduta, si presenta, dunque, ricca di nomi provenienti dagli orizzonti musicali e geografici più disparati: dal death/black metal europeo-continentale al thrash/hard/metalcore nordamericano fino all’avantgarde scandinavo, con nomi estratti dall’underground ad alternarsi a band decisamente più mainstream. Ma entriamo più nel dettaglio.

1. Il viaggio
La nostra fatale andata al Brutal Assault, riprogettata a causa di problemi logistici, ha molto della missione suicida. Dovevano essere tre giorni, ma alla fine abbiamo optato per il solo sabato, anche un poco intimoriti da previsioni meteo non esattamente favorevoli. Il piano prevede nell’ordine: sveglia alle 8 del sabato, treno per Jarom?? alle 9.16 (poi differito di un’ora), festival fino a che ne abbiamo – cioè come minimo alle 4 di domenica mattina – ritorno in stazione per il treno delle 5.41 con auspicabile rientro a Praga alle 8 salvo incidenti, coincidenze truffaldine (sì, il diretto Praga – Jarom?? non c’è così presto) o collassi psicofisici. Qualcuno si starà chiedendo: «Ne vale la pena?» e la risposta è lapidaria:

«A parte lo sproposito di band in cartellone, quante occasioni avremo di rivedere un live di Borknagar e Solefald, che non scendono dai fiordi manco a pagarli?»

Ciò detto, va rimarcato che il setting del Brutal Assault ha un fascino tutto particolare, ai piedi di una catena montuosa. Gli italiani la chiamano Sudeti, ignari del fatto che questo termine copra un’area molto ampia, praticamente tutto il confine della Repubblica Ceca con Polonia, Austria e Germania. Qui invece le montagne che separano la regione di Hradec Králové dalla Polonia si chiamano Krkonoše e sono state elette dai cechi a scenario di tutte le loro fiabe più truculente, popolate di mostri e demoni malefici. Dev’essere per questo motivo che tutti i festival metal li fanno da queste parti. Ad ogni modo, questo sabato il Krakonoš è benevolo: niente venti assassini, c’è sole e fa abbastanza caldo. Scendiamo, quindi, dal treno e familiarizziamo con un panorama urbano a base di panelaky per poi attraversare il ponte sull’Elba (che qui è poco più di un rigagnolo) ed entrare nella Pevnost Josefov. Pare di stare in Friuli: l’interno della vasta fortezza infatti è un curioso incrocio tra Palmanova e Cividale. Ma dato che siam qui per il metallo, smettiamo presto di fare i turisti e ci avventuriamo fuori delle mura.

2. L’arrivo e i concerti del primo pomeriggio
Superato un viottolo letteralmente costipato di tende e brava gente armata di birra in una mano e würstel nell’altra, giungiamo innanzi al palco principale che si compone di due stage affiancati. I primi ad imporsi alla nostra attenzione sono i We Butter The Bread With Butter, di cui avevamo promesso un succinto report al nostro Vittorio Cafiero, rimasto folgorato dal nome.

 

Al di là del look un po’ emo e un po’ indie stile Billy Talent, i tedeschi tengono bene la scena e offrono una prestazione energica a base di deathcore e tastiere ignoranti.

Per avere un’idea dell’ignoranza potete pensare alla seconda parte di “Journey At The End” dei Windir ed aumentarne la pacchianità; e, per quanto possa sembrare strano, questo trionfo di coattaggine ha pure il suo perché. Il set è breve, trenta minuti netti, ma non c’è il tempo di riprendersi che i Vreid hanno già preso d’assalto l’altro stage. La formula vincente del Brutal Assault infatti è questa: set brevissimi e alternati ininterrottamente, al punto che non passano più di due minuti tra uno show e l’altro. Non appena una band attacca il palco, sullo stage a fianco inizia il sound check di un altro gruppo. Terminata L’esibizione dei Vreid è la volta dei britannici Sylosis, quartetto thrash/hardcore capitanato dal minuscolo ma spietato Josh Middleton, un vero esempio di grinta, concentrazione e cattiveria come raramente capita di vedere.

 

Joey: «Tiz, li hai mai sentiti i Sylosis?» Tiz: «No, mi mancano…» Joey: «Vedrai che mattonata.»

La prestazione offerta dalla band inglese è compattissima e, se possibile, ancor più brutale di quella offerta lo scorso aprile ai Magazzini Generali di MilanoInoltre, la durata ancora più ridotta del live set (35 minuti) permette loro di esprimersi in tutta la propria carica hardcore senza arrivare a mostrare la corda laddove una certa monotonia della loro proposta ne rappresenta, per ora, l’unico limite sulla lunga distanza. Abbiamo per ora visto tre sole band ma le orecchie fischiano già da par loro, complice l’energia dispensata sul palco dai vari gruppi alternatisi e la potenza dell’impianto. Vale, dunque, la pena di fare una pausa, bere qualcosa e iniziare a prendere confidenza con il resto dell’area concerti, equamente divisa tra stand dedicati al ristoro (pizza, kebab, gyros, noodles, hot dog e chi più ne ha più ne metta: ce n’è davvero per tutti i gusti) e altri dedicati alla vendita di dischi, indumenti e merchandising assortito (e rigorosamente originale). Finito il giro è ora di andare a caccia di foto e autografi nell’apposita area, peraltro curiosamente addobbata con arti di manichini appesi al soffitto e completata dalla zona cinema (sì avete letto bene, c’è pure un cinema all’interno dello spazio festival!). La prima vittima designata è proprio Josh Middleton e lo potete vedere qui a fianco in compagnia di uno dei due “Metal-turisti per caso”.

Si torna un attimo agli stage per dare un orecchio al black ‘n’ roll dei Primordial, gustosa variante irlandese del suono nordico. Per quanto il sound sia grezzo, le radici isolane dell’ensamble ci sono tutte e i ritmi inducono a muovere piedi, culo e testa. Altro obiettivo primo della caccia all’autografo sono Cornelius Jakhelln e Lars Nedland il quale, nello specifico, si congratula per la maglietta dei Borknagar (probabilmente ero l’unico ad indossarla in tutto il festival, ndT). Si scherza un po’ sul fatto che Lars, in quanto membro di due gruppi in cartellone lo stesso giorno (Solefald e Borknagar), dovrà correre da un palco all’altro per poter giungere in tempo per il soundcheck; spunto ideale per appurare l’orario d’inizio dello show dei Solefald: show inizialmente previsto per le 19, poi rimandato all’una si notte eppure segnato sul programma per le 20 e 50. La risposta di Lars: «Ten to nine», frase che avrà il suo peso, per quanto su due piedi non vi sia stata data particolare importanza. Il pomeriggio scazzato (Nik sei sempre nei nostri pensieri, ndJ e ndT) prosegue tra improbabili beveroni (lo zázvorový ?aj, una specie di limonata allo zenzero che non consiglierei nemmeno al mio peggior nemico, ndJ), chiacchiere e fotografie con validissimi esemplari di fauna ex sovietica (vedi foto a fianco, ma non solo!, ndJ) e rincorse alle “Jägermeister-girls”. In questo paese, infatti, lo Jägermeister non si reperisce, come sarebbe lecito immaginare, in uno stand specifico ma viene, viceversa, somministrato a viva forza da ragazze che vanno in giro in coppia (e che in questo caso hanno la faccia dipinta come i membri dei Kiss) vendendo agli avventori piccole provette colme di liquore. Insomma, si ride e si scherza fino alle 17, quando iniziano ad arrivare i nomi”grossi”.

 

3. I concerti della fascia pre-serale
Alle 17 e 10, puntuale come da regola ferrea del festival, inizia l’esibizione degli statunitensi Biohazard, band capitanata da Billy Graziadei e dal 2011 orfana del suo membro (lol, ndJ) più famoso: il cantante e bassista Evan Seinfeld, sostituito in maniera pressoché perfetta da Scott Roberts, davvero somigliante anche dal punto di vista fisico. Pur conoscendone l’importanza storica (sono state tra le prime band, una ventina d’anni fa, a creare un vero e proprio crossover tra hardcore punk, thrash/groove metal e rap, aiutando a porre le basi per le nascenti scene nu e alternative metal) e apprezzandone il buon impatto live (gradito anche dai numerosi presenti) lo show non è di quelli di cui ci porteremo il ricordo nella tomba. Grande carica, molta “scena” e tanto movimento, ma canzoni piuttosto monocordi e molto simili l’una rispetto all’altra, fattore rispetto al quale il vocalismo grezzo di Graziadei (spesso puntellato da interventi da parte di Scott Roberts) non dà certo una mano.

Messi da parte i Biohazard è la volta di un set doppio: si esibiscono, infatti, i Leprous, noti oltre che per un pugno di album parecchio apprezzati negli ultimi anni, anche per essere la band di Ihsahn. E proprio dall’ex Emperor verranno raggiunti sul palco da metà set in poi. I norvegesi si presentano on stage in tenuta di gala, vale a dire ingellati e agghindati in giacca e cravatta, seppur di colori poco probabili (Einar Solberg, il cantante, in particolare è vestito di viola, ndT). I cinque norvegesi offrono una prestazione da brividi, soprattutto per merito di Einar Solberg, il già citato cantante e tastierista, che con occhi iniettati di sangue aggredisce il microfono in maniera teatrale, muovendosi sul palco con mosse da automa e passo d’oca.

Difficile dire quali sostanze (Einar) possa aver assunto, ma le movenze sono quelle di un generale nazista durante la battaglia di Stalingrado.

 

Il live è suonato in maniera impeccabile e ci propone due delle vette raggiunte in “Coal“, vale a dire “The Valley” e “Chronic”, brani che dal vivo confermano le buone impressioni suscitate durante l’ascolto dell’album. Seguono poi le fantastiche “Restless” e “Waste Of Air”, ad alzare di parecchio la brutalità dell’esibizione. In questo modo la band dà il benvenuto al proprio ospite e mentore, vale a dire Vegard Sverre Tveitan, che si presenta sul palco con la chitarra in pugno, occhiali arancio da hipster e pancia in espansione. L’entrata in scena è assurdamente timida e quasi timorosa, ma quando si tratta di iniziare a cantare, il leone mostra di saper ruggire ancora (e che ruggito, ndT). Ihsahn aggredisce la platea con uno scream animalesco davverro impressionante. “Arrival” risulta irresistibile grazie al suo groove, in “The Paranoid” si segnala l’ottima intesa tra l’ex Emperor e il sempre più invasato cantante dei Leprous. Il set curiosamente va a premiare le composizioni di “After” rispetto a quelle dell’ultimo “The Adversary”, album decisamente più complesso e probabilmente difficile da riproporre on stage. Ma con una “Barren Lands” suonata a livelli altissimi c’è poco di cui lamentarsi. Qualche parola di più invece andrebbe spesa sulla prestazione dei fonici, che sbagliano leggermente i rapporti tra i vari strumenti. Le chitarre black troppo pompate stridono in maniera eccessiva e alla fine dello show chi si trovava tra le prime file (tra cui noi due, ndJ e ndT), si ritrovano con le orecchie che fischiano. Pazienza, basta un’altra dose di Jägermeister per ripigliarsi ed essere pronti per i Trivium, laddove le nostre strade si divideranno per un po’.

Setlist Leprous / Ihsahn:
The Valley
Chronic
Restless
Waste Of Air
On The Shores
Arrival
The Paranoid
Frozen Lakes On Mars
Barren Lands
Grave Inverse
The Grave

Il Live report a cura di Tiziano “vlkodlak” Marasco e Stefano “Joey Federer” Burini continua con la seconda parte