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Live Report: Enslaved + Svalbard + Wayfarer @ Legend Club di Milano – 16/03/2024

Di Jennifer Carminati - 17 Marzo 2024 - 12:40
Live Report: Enslaved + Svalbard + Wayfarer @ Legend Club di Milano – 16/03/2024

Live Report: Enslaved + Svalbard + Wayfarer@ Legend Club di Milano – 16/03/2024
a cura di Jennifer Carminati

Photo report completo: Photo Report: Enslaved + Svalbard + Wayfarer @Legend Club, Milano 16/03/2024 – truemetal.it

Attesissimo ritorno del combo norvegese capitanato da Ivar Bjørnson e Grutle Kjellson sul palco del Legend Club di Milano oggi sabato 16 marzo 2024, grazie a Corrado e la sua HardStaff Booking, sempre promoter di concerti di un certo livello, oltre che di mio gradimento nella stragrande maggioranza dei casi.

Il primo tour del 2024 degli Enslaved li vedrà impegnati per ben 16 date in giro per l’Europa in questa primavera che sembra finalmente volere sbocciare anche a Milano, prima di dirigersi negli Stati Uniti per un co-headlining tour con gli Insomnium, passati pochi mesi fa sempre qui, tra le accoglienti mura del locale di viale Enrico Fermi a Milano dove mi sento a casa, grazie a Fil e il suo Staff per questo.

In questo tour europeo ad accompagnare la leggendaria band norvegese ci sono gli inglesi Svalbard e i canadesi Wayfarer, una lineup che ha attirato centinaia di appassionati da ogni dove, tanto da dichiarare il sold-out per quest’unica data in suolo italico.

Un Legend stipato sino al limite della sua capienza, come mi è capitato anche di recente di vedere, ed è bellissimo poterlo scrivere, per un gruppo che, nonostante l’indubbia importanza nell’ambito del metal estremo, generalmente non riscuote il successo di un pubblico particolarmente ampio e invece oggi abbiamo dimostrato loro che sono ben voluti e amati dagli italiani e direi che il loro  I Love Italia” corrisponde a reciprocità.

A mio parere, credo condiviso da molti qui, gli Enslaved sono uno di quei gruppi inspiegabilmente sottovalutati, andare a capire il perché non è compito mio ma l’amaro in bocca un po’ resta sempre quando si palesano agli occhi di tutti incoerenze del genere.

Ma io son qui e con me molte altre centinaia di metalheads per dimostrare loro tutto il nostro affetto e ora vi racconto com’è andato questo sabato sera di metà marzo denso di emozioni, gelide nelle atmosfere ma che ci hanno scaldato il cuore, ve lo garantisco.

A Teo, questo Live Report è per te, lo so che mi leggerai anche da Lassù.

 

Wayfarer

La serata inizia con i nordamericani Wayfarer che ci presentano l’ultimo album American Gothic, intriso di atmosfere folk, country, black e gothic metal mischiate sapientemente, che dal vivo mi hanno convinto maggiormente che su disco ed è sempre un piacere quando mi accade questo.

I nostri, capitanati da Shane McCarthy, sono passati dal black metal più introspettivo degli inizi ad influenze tipicamente western-country del terzo lavoro in studio World’s Blood a quelle più cupe ed oscure del quinto album dal titolo che parla già da sé, il mio preferito per altro.

La disillusione dei nostri nei confronti del “sogno americano” è palese nel testo dell’opener The Thousand Tombs of Western Promise mentre in Reaper on the Oilfields, una delle loro canzoni più black metal in assoluto, un riffone davvero straniate al limite dell’ipnotico ci coinvolge in un headbanging lento e perpetuo.

Menzione particolare per l’esecuzione di In To Enter My House Justified, le voci di Shane e James si uniscono, come spesso accade, il pulito ad un tono più aggressivo, il tutto sostenuto da una sezione ritmica solida e dalle chitarre compatte e pesanti che suonano molto bene insieme.

Speriamo che per i Wayfarer si prospetti un futuro più positivo rispetto a quanto da loro stessi cantato in False Constellation, con cui chiudono un set che è andato ben oltre le mie aspettative.

Black-death, gotico e un country-western a stelle e strisce si fondono in questa sorta di “Requiem al sogno americano” dalle atmosfere cupe e pesanti in cui palesemente i Wayfarer non credono più, ma noi crediamo che i quattro giovani di Denver possano avere ancora molto da raccontarci e con questo concerto, espressivamente solido e potente, e un’indubbia personalità, lo hanno ampiamente dimostrato.

Nel calderone delle tante band che fanno black metal, questi ragazzi dalla faccia pulita e onesta, hanno trovato una formula del tutto originale per distinguersi, e questo tanto basta per dare loro il giusto plauso.

Bravi davvero.

Lineup
  • Shane McCarthy – voce, chitarra
  • Joe Truscelli – chitarra
  • James Hansen – basso, voce
  • Isaac Faulk – batteria e tastiere
Setlist
  1. The Thousand Tombs of Western Promise
  2. Reaper on the Oilfields
  3. To Enter My House Justified
  4. Animal Crown
  5. False Constellation

 

 

Svalbard

Ammetto che quando ho letto il nome sulla locandina mi son chiesta cosa fossero le Svalbard. Per quanto ne so sono delle isole norvegesi e in geografia non ero brava, ma ho controllato prima di scriverlo, e non ho detto una fesseria.

Ho poi capito, grazie all’aiuto di un amico, lo ammetto, che ci sono ben due gruppi che si chiamano allo stesso modo e questa sera vi parlerò degli Svalbard provenienti dal Regno Unito, da Bristol per essere precisi, capitanati dalla cantante chitarrista Serena Cherry, sconosciuti a me, ma non ai moltissimi qui presenti che li accolgono con un applauso scrosciante al loro ingresso sul palco del Legend Club di Milano.

Protagonista indiscussa della scena, Serena, purtroppo malaticcia questa sera, per cui non al top della forma ed era evidente, è in grado di passare in men che non si dica da una cantato più pulito ad un ringhio cattivo a ed uno screaming da brividi, nel mentre, continuando a dispensare sorrisi al pubblico e agli altri membri della band, con i quali c’è una evidente sinergia molto bella da vedere.

Ai cori si unisce spesso l’altro chitarrista, Liam Phelan, con uno stile complementare a quello della frontwoman e questo conferisce ulteriore spessore alla performance degli Svalbard, che per i motivi detti prima resta un po’ sottotono a mio vedere, non ho sentito quel tiro micidiale hardcore che hanno su disco per intenderci.

Hanno fatto la svolta uscendo dall’underground lo scorso anno, con l’uscita di The Weight of the Mask per quel colosso di etichetta che va sotto il nome di Nuclear Blast e da questo lavoro pescheranno a piene mani per la setlist di questa sera, ben 4 pezzi sui 7 proposti.

Pezzi come Faking It sprigionano energia e deflagrazione da tutti i pori e c’è poco altro da aggiungere.

Una setlist che colpisce nel segno ad ogni brano proposto, ma eleggo la potente doppietta To Wilt Beneath the Weight e Click Bait, con il suo semplicissimo ritornello di due sole parole cariche di significato “Fuck Off”, urlate a squarciagola da tutti i presenti, come apice del loro concerto, che si chiude con il mastodontico riff di Eternal Spirits, dedicata a tutti quelli che ci hanno lasciato.

Era la prima volta che li vedevo dal vivo e mi è piaciuta la loro capacità di unire post-hardcore, post-rock e black metal in un insieme che nel complesso suona molto bene, per nulla confusionario, solo che aspetto di rivederli in ottima forma per poter decretare il mio giudizio definitivo in sede live.

Grazie quindi agli Svalbard per averci regalato una performance sentita nonostante tutto, una Serena che ringrazia molte volte per aver ricevuto energia dal pubblico e darne poi a noi.

Degni di essere headliner alla prossima loro incursione italica e spero di essere profetica con questa mia affermazione.

Lineup
  • Serena Cherry – voce, chitarra
  • Liam Phelan – chitarra, voce
  • Matt Francis – basso
  • Mark Lilley – batteria
Setlist
  1. Disparity
  2. Open Wound
  3. Faking It
  4. To Wilt Beneath the Weight
  5. Click Bait
  6. Lights Out
  7. Eternal Spirits

 

 

Enslaved

La leggendaria band norvegese durante questo tour europeo promuove l’ultimo album Heimdal uscito lo scorso anno, ma ci presentano anche brani presi dalla loro ampia discografia che abbraccia ben tre decenni di storia.

In una performance degli Enslaved, che ho già avuto il piacere di vedere in sede live in passato più volte, c’è ampio spazio sia per la tecnica di esecuzione, senza lasciare nulla al caso, sia per, come i loro predecessori sul palco questa sera, un’emozione grezza, spontaneamente vera, che traspare dai visi compiaciuti di questi vichingoni barbuti che tanto mi piacciono.

Il Legend ormai gremito all’inverosimile risponde in maniera altrettanto genuina e compiaciuta ai numerosi richiami di un Grutle Kjellson davvero loquace, simpatico, coinvolgente e in ottima forma questa sera. Feroce ed espressivo sia nel growl che nello scream, quanto sono efficaci le parti pulite e i cori del batterista, Iver Sandøy, che posto sulla sua pedana laterale, si rende spesso protagonista alla voce.

Insieme all’amico Ivar Bjørnson e agli altri membri di questa formidabile band, che, ripeto, non ha mai riscosso il successo che meriterebbe, Grutle ci canta delle sue terre, di natura e storia norvegese, attraverso una musica che definire atmosferica e densa di emozioni è riduttivo.

Aprono il loro set con Kingdom in modo così entusiasta che emerge subito la personalità dei nostri e la loro capacità di coinvolgere il pubblico presente, che ama i norvegesi e lo dimostra con affetto in cori e applausi e corna al cielo continui.

Seguono a ruota la potenza progressive di Homebound e Forest Dweller, immersi in una luce verde davvero suggestiva, per poi passare all’inizio melodico di Congelia che passa poi ad atmosfere gelide come le loro terre, a dimostrare che anche in sede live il loro ultimo lavoro in studio rende assai bene.

Un vero tuffo nel passato lo abbiamo con Loke, dal loro secondo album, Frost del 1994, che tutti quindi dimostrano di conoscere molto bene e non potrebbe essere diversamente visto la caratura dei brani in esso contenuti. Con tanto di risata maligna sul finale di Grutle, sicuramente il pezzo loro che ho preferito questa sera, dovendo proprio sceglierne uno.

Si torna indietro nel tempo anche con The Dead Stare dal riff estremamente contorto che risulta comunque trascinante, grazie alla loro bravura e professionalità, impressionante e palese nei due dischi Isa (2004) e Below the Lights (2003), tra gli imprescindibili della band, a mio parere.

Poco prima dell’encore arriva il momento di uno dei loro cavalli di battaglia, Havenless, che seppur cantato in norvegese è stato accolto con grande entusiasmo dal pubblico presente, che non si è risparmiato un attimo questa sera nel supportare le band sul palco, men che meno, gli headliner tanto attesi.

A chiudere la prima parte ci pensa la titletrack dell’ultimo album, a quanto pare pieno di brani convincenti anche riproposti in sede live, Heimda.

Tornano dopo pochissimi minuti di pausa, e dopo un vero momento di solo alla batteria di Iver Sandøy, come non ne vedevo da parecchio tempo, ci regalano gli ultimi due pezzi, o meglio, capolavori, della serata: Isa e quella perla nera che s’intitola Allfǫðr Oðinn, risalente al loro secondo demo Yggdrasill del 1992, con cui riemergono prepotentemente dalla terra le radici black metal old school del combo norvegese, per la gioia dei fan, come la sottoscritta, nostalgici della prima ora.

Saluti e strette di mano alle prime file, inchino e gli Enslaved concludono così, in maniera esemplare, una prestazione davvero notevole, dopo la quale si può solo essere contenti e brindare con una birra in mano in compagnia dei molti amici qui presenti, e per restare in tema vichingo, vi saluto con uno “Skål”!!!, e alla prossima.

Lineup
  • Grutle Kjellson – voce, basso
  • Arve Isdal – chitarra
  • Ivar Bjørnson – chitarra, voce
  • Håkon Vinje – tastiere, voce
  • Iver Sandøy – batteria, voce
Setlist
  1. Kingdom
  2. Homebound
  3. Forest Dweller
  4. Sequence
  5. Congelia
  6. Loke
  7. The Dead Stare
  8. Havenless
  9. Heimdal
Encore
  1. Isa
  2. Allfǫðr Oðinn

 

Assistere ad un concerto come quello di questa sera ci dimostra ancora una volta che non ci sono barriera linguistiche, religiose né tantomeno confini geografici, siamo tutti la stessa identica cosa al cospetto di un’arte come lo è la musica, metal nel nostro caso, nei confronti della quale nutro un forte senso di gratitudine per avermi salvato in più di un’occasione dai rumori della vita.

Come già ho detto all’inizio di questo live report ho avuto il piacere di vedere gli Enslaved un bel po’ di volte prima di oggi e non hanno mai deluso le mie aspettative.

Credo sia difficile tornare a casa insoddisfatti questa sera, per me e per tutte le altre centinaia di persone che hanno deciso di trascorre questo sabato sera tra le accoglienti mura del Legend Club di Milano, dove tornerò molto presto.

Stay Tuned e scoprirete per chi.