Report: Dimmu Borgir, Amon Amarth, Engel – 14/10/07, Mi
Il vento del nord si è abbattuto su una mite serata autunnale milanese. C’è
il pubblico delle grandi occasioni all’Alcatraz per accogliere le due formazioni
di punta (a ragione o torto, scegliete voi) del viking e del black sinfonico,
rispettivamente Amon Amarth e Dimmu Borgir. Nonostante le
defezioni che ha dovuto subire la tournee, non mancavano di certo motivi
d’interesse, visto il calibro delle band in questione. Ma bando alle ciance…
Cominciamo subito con il resoconto della serata. Buona letture.
Cliccate sulle foto per ingrandirle.
ENGEL
Per dirlo con una parola sola: innocui. Non è mai semplice la vita di chi
deve aprire la serata, specialmente se a seguire si esibiranno due big della
scena metal mondiale e soprattutto se la tua presenza è stata una sorpresa (o
quasi) per alcuni dei presenti. Ripercorriamo la genesi della questione: mesi fa
cominciò a circolare la notizia che ad accompagnare Amon Amarth e
Dimmu Borgir, ci sarebbero stati niente popò di meno che i Machine Head
(con in dote uno dei “dischi dell’anno”) e gli Hatesphere, non delle
superstar, ma ragazzi che dal vivo sanno il fatto loro.
Uno dopo l’altro questi
nomi sono venuti meno, recentissimo inoltre è il forfait dei danesi, alle prese
con problemi di line-up, tanto che nella locandina del tour c’è ancora il loro
nome. Capirete bene quindi l’animo con cui i presenti hanno accolto i venti
minuti circa degli Engel, nuova band composta da vari “ex”, svedesi di
Goteborg… E potrei pure concludere qui la mia analisi. Una manciata di canzoni
tra il death melodico e il metalcore, con inserti di voce pulita e soliti riff e
soluzioni trite e ritrite. Musicisti volenterosi ma che non hanno lasciato il
segno. La loro esibizione scivola via senza sussulti, con parte del pubblico
ancora in fila all’ingresso o impegnati al bar o al merchandise. Tappabuchi.
AMONAMARTH
Tutt’altra musica con gli svedesi Amon Amarth, paladini del viking di
derivazione death metal, arrivati agli onori della cronaca grazie a un’indubbia
qualità media delle uscite discografiche sciorinate da quasi dieci anni dal
primo full, e a una certa facilità nell’accostarsi alla musica dei nostri, che
ha permesso loro di racimolare un pubblico trasversale ed eterogeneo. Tutto
questo unito a un’attitudine degna di questo nome. Attitudine che, guarda caso,
è la prima qualità che mi è balzata agli occhi si dalle prime note di Valhall
Awaits Me, opener dell’ultima fatica
With Oden On Our Side.
Musicisti
fieri, solidi, imponenti (anche per stazza fisica), che da qui sino alla fine
non sbaglieranno praticamente nulla, sempre precisi e coinvolgenti. Grande
merito del carismatico Johan Hegg, che, con l’immancabile corno al
seguito, si erge a trascinatore di folle con ripetute gesta per accendere i
presenti e con un ruggito che non calerà mai d’intensità. Una scaletta che
procede veloce con Runes to My Memory, e con un’acclamatissima Death
in Fire da
Versus the World, per ritornare sul nuovo materiale con
Cry of the Black Birds. Non un concerto altamente spettacolare, ma quello
che più conta per un gruppo come gli Amon Amarth è la sostanza, e da
questo punto di vista non si può non elogiare Hegg e compagni, dal
momento che tra uno “skoll” e qualche parolina in italiano, vengono proposte
The Fate of Norns, dall’omonimo album, Asator, una grande
Victorious March dal capolavoro della band
Once Sent from the Golden Hall,
terminando l’esibizione con The Pursuit of Vikings. A mente fredda, devo
riconoscere che la prova degli Amon Amarth è stata probabilmente la
migliore della serata, per suoni, presenza scenica, coinvolgimento da parte dei
musicisti, e per la genuinità con cui i nostri si sono esibiti. Un arrivederci
alla prossima calata italica, che sicuramente non tarderà, viste le accoglienze
calorosissime che la band riceve in ogni occasione dal pubblico italiano.
DIMMU BORGIR
Dopo una pausa di quasi mezz’ora arriva il turno degli headliner. Pausa che è
servita al pubblico per riprendersi dal “vento del nord” appena abbattutosi
sull’Alcatraz e per ammirare la scenografia messa in piedi, dove troneggiano la
postazione delle tastiere sulla sinistra (rispetto alla platea) e della batteria
sulla destra, unite da una scalinata che scende verso il palco. Si spengono le
luci, parte l’intro e si intravedono uscire dall’oscurità due figure
incappucciate (quelle del video di The Sacrilegious Scorn per intenderci)
impegnate a spargere incenso -almeno l’idea dovrebbe essere quella-, che si
posizioneranno ai piedi della scala sino alla conclusione del primo brano. Uno
ad uno si fanno largo anche i nostri, lasciando per ultimo la scena a
Shagrath, che compare sul piano rialzato, per poi scendere lentamente i
gradini e dare l’inizio.
Si parte in quarta con Progenies Of The Great
Apocalypse, uno dei brani più rappresentativi del “Dimmu pensiero
moderno”: grandi orchestrazioni (per forza di cose non presenti come nella
versione su disco), potenza, un pizzico di velocità, e splendido contributo
vocale di Vortex. Un inizio decisamente buono che fa ben sperare per lo
svolgimento della serata, che prosegue ancora un estratto da
Death Cult
Armageddon, Vredesbyrd, arrivando al primo brano del mediocre (a mio
avviso, ovviamente) In Sorte Diaboli, nella forma di The Serpentine
Offering. Essendo questo l’unico nuovo pezzo degno della fama dei norvegesi,
devo dire che dal vivo si fa decisamente apprezzare, accolto anche dal pubblico
in modo molto partecipe. Da qui in poi la qualità cala leggermente, avendo in
scaletta The Chosen Legacy, e The Sinister Awakening, che solo il
mestiere dei nostri riesce parzialmente a salvare. Non un peccato mortale
comunque, visto che le sorti dello show vengono risollevate da una bellissima
Grotesquery Conceiled (Within Measureless Magic), da
Spiritual Black
Dimensions, e da A Succubus In Rapture, primo estratto da
Breve pausa per i nostri, con la strumentale Fear
and Wonder a precedere Blessings upon the Throne of Tyranny ( da
Puritanical
Euphoric Misanthropia), con un
memorabile attacco in blast beat di Tony Laureano. Proprio questo brano
offre un importante spunto di riflessione: per quanto sia straordinario il
batterista americano, mi è sembrato abbastanza slegato dal contesto, non dico fuori posto ma,
in un certo senso, poco ben inserito negli ingranaggi dei norvegesi. Per carità,
nulla da dire sulla sua prestazione (anche se avrebbe potuto dare di più)… Il
tappeto di doppia cassa sul finale di The Chosen Legacy, ad esempio, è
stato di una velocità tale da sembrare un suono continuo, senza avvertire un
vuoto tra un colpo e l’altro. Ed è proprio questo il nodo della questione: un
batterista del genere mi è sembrato francamente “sprecato” per la musica dei
Dimmu Borgir, che non gli permette di mettere in mostra le sue enormi
qualità tecniche, di velocità, di fantasia e di dinamismo, dal momento che i
nostri non danno troppa importanza alla batteria (come dichiarato in materia da
Silenoz durante la conferenza stampa svolta nel pomeriggio) nella stesura
dei brani. Senza contare la freddezza con cui è stato accolto durante il meet n’greet,
almeno secondo le fonti che mi sono arrivate, risultando pressoché sconosciuto,
raccogliendo i commenti di non pochi fan nelle mie vicinanze durante la coda
all’ingresso e sia nell’attesa della conferenza stampa. Se vi aggiungiamo che la
persona in questione è, a mio parere, il musicista più tecnicamente rilevante
che abbia calcato il palco durante la serata, direi che possiamo stendere un
velo pietoso.
Ritornando al concerto, è il turno di uno dei classici storici,
Spellbound (By The Devil), seguito da una toccante Sorgens Kammer (da
Stormblåst). Fanno capolino poi
in rapida sequenza The Insight And The Catharsis,
The Sacrilegious Scorn e Puritania. Siamo quasi alla fine, ma prima
di terminare c’è il tempo per Mourning Palace, con cui la band si
congeda, lasciando The Fallen Arise ad accompagnare i presenti verso
l’uscita. Nel complesso un’esibizione soddisfacente, rovinata da suoni non
proprio all’altezza, che si è rivelata l’esatto opposto di quella degli Amon Amarth:
lato visivo/scenico molto più curato, ma un’energia espressa nella norma,
musicisti privi
della carica travolgente propria di chi li ha preceduti, e da un gruppo come i Dimmu
Borgir ci si dovrebbe attendere di più, come se le pose e gli atteggiamenti
fossero eccessivamente costruiti e poco spontanei. Vedremo cosa ci riserveranno
gli sviluppi futuri.
Stefano Risso