Report Ragnarock festival – 17 e 18 giugno 2005
Parole e foto di Alberto “Olaf” Sansone e Massimiliano “Daenerys” Izzo.
Insomma, si deve pur cominciare in qualche modo. E sbagliando si impara.
Queste sono le parole di conforto che mi sentirei di rivolgere a Marcus
Stiepman, l’ideatore di uno dei festival più disorganizzati e caotici
a cui abbia mai partecipato, al cui confronto la peggiore edizione del
nostro Gods Of Metal è un gioiello di efficienza e funzionalità. Le critiche
che gli si potrebbero muovere sulla disorganizzazione sono veramente tante
(un esempio emblematico su tutti: arrivati alla cassa abbiamo chiesto due
biglietti, e la cassiera è entrata nel panico: non era previsto che qualcuno
arrivasse per comprarne?), ma l’errore maggiore è stato sicuramente
quello di aver valutato per eccesso l’affluenza. L’area festival
era attrezzata per accogliere diecimila persone, a fronte di duecento (200!) biglietti staccati nell’arco dei due giorni. Ulteriore (e definitiva!) sfortuna per il RagnaRock è stata certo la spietata concorrenza del Fields Of Rock, che allo stesso prezzo offriva un parter de roi tale da attrarre la quasi totalità dei metalhead olandesi.
In ogni caso, le band che hanno partecipato a questo concerto
si sono fatte onore, dando una gran prova di coraggio nel salire sul palco
davanti a poche decine di defender. Parlando della prima giornata, sono
sicuramente degni di menzione i Backlash, fautori di un buon brutal
coinvolgente, ed i Goddes Of Desire, fortemente influenzati da Venom e
Motorhead.
Ma sono stati i Witchfynde, storica band della scena NWOBHM, a
scuotere per primi gli animi (e le teste) dei presenti. Il cantante Harry si è rivelato un autentico animale da palcoscenico, mentre il chitarrista Montalo tesse trame mai scontate e tecnicamente pregevoli, sapientemente coadiuvato dall’esperta sezione ritmica. Da rivedere, decisamente.
I britannici Demon hanno deliziato i presenti con uno show di quasi due ore, andando a pescare principalmente dai primi storici album: impareggiabile come sempre il singer Dave Hill, mentre il resto della band è apparso un po’ “ingessato”.
A chiudere la serata i nostrani Death SS, che hanno incentrato la scaletta sui pezzi più vecchi e in particolare sul masterpiece Heavy Demons; tuttavia non bastano l’istrionico Steve Sylvester e l’avvenente Dalila a risvegliare l’intorpidito pubblico.
La seconda giornata comincia all’insegna dell’Epic, con i milanesi Wotan. Introdotti dal tema di “Conan il Barbaro” del grande Basil Poledouris, i Wotan inscenano un buono spettacolo purtroppo rovinato da un audio davvero pessimo (la polizia è arrivata
durante il loro show e ha obbligato i fonici ad abbassare il volume,
mandando definitivamente all’aria i suoni). Una prova comunque più che egregia per i nostri, sugli scudi con l’evocativa Under The Sign Of Odin’s Ravens e la sempre trascinante Lord Of The Wind.
Il premio per la band più simpatica di questi tre giorni lo vincono
sicuramente i Wizard, che hanno imbastito uno spettacolo del tutto basato
sull’interazione col “pubblico” (si fa per dire) assai coinvolgente.
Momenti clou: il cantante che scende tra il pubblico abbracciando tutti
durante il concerto, il bassista che ci incita a fare il verso degli
Uruk-Hai e la canzone finale cantata in coro da tutti, Defenders Of Metal,
che a nostro modesto parere ha bissato in un sol colpo tutti gli inni ai quali
gente come Manowar e Priest ci avevano abituato, così tamarra e sfacciata da
non poter non piacere da subito. Grandissimi e simpaticissimi, li vogliamo in Italia
al più presto. A seguire è il turno dei power-metaller francesi Heavenly e dei nostrani Skylark: bocciati i primi, i secondi ci convincono maggiormente per la proposta più personale e sembrano incontrare maggiormente l’approvazione del pubblico.
L’attesa era spasmodica tra i presenti per i Virgin Steele, soprattutto alla luce delle
ultime notizie riguardanti la precaria salute di David Defeis, tanto che fino
all’ultimo ci si è domandati riguardo alla loro “tenuta” sul palco. Ma sin dalle prime note di Kingdom Of The Fearless tutti i timori si sono dissolti: Defeis e soci ci hanno incantato con due ore e mezza di musica, andando a ripercorrere i vent’anni e più della loro carriera, dalla sempreverde Noble Savage alla recente e maestosa A Token Of My Hatred. C’è stato spazio anche per alcune chicche, come una splendida versione di Transfiguration o l’inattesa Dominion Day . Uno show tecnicamente perfetto e, come l’ha definito in seguito il chitarrista Ed Pursino, intimo. Per pochi ma buoni. Unica nota
negativa, l’audio decisamente scadente. Le tastiere si sentivano a stento,
e il basso in paio di canzoni si è mangiato la chitarra, ma alla luce del ben di Dio a cui abbiamo assistito ci sentiamo di chiudere un occhio. Appuntamento alla quinta
edizione del Keep It True per il bis.