Report: Whitesnake, Europe, Tigertailz – 23/07/08, Piazzola sul Brenta (PD)
Non capita tutti i giorni di applaudire due leggende assolute, Whitesnake e Europe, nel corso dello stesso concerto. È accaduto il 23 luglio a Piazzola sul Brenta, in provincia di Padova, nella splendida cornice di Villa Contarini. Un’esclusiva che ha richiamato un buon numero di appassionati (italiani e d’oltralpe) e si è distinta per un’organizzazione meticolosa, piacevolmente “tedesca” per quantità e qualità nel servizio. A dispetto di tariffe votate al rialzo (nello specifico, 45 “miseri” euro più prevendita), il pubblico nostrano ha dimostrato ancora una volta fame di rock.
Due parole sulla location: Villa Contarini è una magnifica costruzione che si affaccia su Piazza Camerini, teatro dello spettacolo. Grandioso il colpo d’occhio al calar del sole, con il piazzale avvolto dal chiaro di luna e il palazzo illuminato a giorno; un’ambientazione tanto insolita quanto consona a un concerto di hard rock. L’edificio vanta una tradizione secolare (vi contribuì, tra gli altri, il Palladio) e dagli anni ’70 ha riacquistato l’antico splendore, grazie a un’attenta opera di restauro. Oggi è rinomata meta turistica per gli amanti delle ville venete. Incantevole.
A completare un pacchetto irresistibile per blasone e peso specifico, ecco i Tigertailz da Cardiff. Un anno fa calcavano il palcoscenico del Gods of Metal, pochi mesi prima che il bassista Pepsi Tate perdesse una lunga battaglia contro il cancro; una tragedia che non aveva frenato le ambizioni del gruppo, determinato a proseguire il proprio cammino in onore dell’amico perduto. Oggi Jay Pepper e soci si presentano più agguerriti che mai, decisi a scaldare il pomeriggio padovano nonostante la relativa freddezza del pubblico – si salva una schiera d’irriducibili fan – e suoni ancora in via di definizione. Irruenza, energia e passione sono gli ingredienti di uno show coinvolgente, che mostra un frontman in palla (Kim Hooker) e una formazione affiatata nell’arco del set. I primi applausi non tardano ad arrivare, anche se l’ovazione più sincera è registrata in chiusura, all’annuncio di Ace of Spades: un classico rivisitato con grinta e dinamite. Apparizione breve ma intensa, che ha onorato senza indugi una chiamata così prestigiosa.
Cartelloni, fanciulle in visibilio e colleghe attempate al seguito: c’è tutto l’armamentario per il concerto di una boy-band, ma le analogie finiscono qui. C’è poco da scherzare con una formazione che ha scritto pagine d’oro dello scandi hard rock e persino i neofiti, che non vanno oltre le “solite” Carrie e The Final Countdown, avranno da ricredersi circa la statura del gruppo. L’Italia porta bene agli Europe, che sullo Stivale hanno rilanciato carriera e ambizioni, potendo contare su un pubblico fedele anche se lontano parente delle folle oceaniche di un tempo. Le mode sono cambiate e anche i campioni svedesi, accantonati lustrini e cotonature a favore di un look più sobrio, hanno trovato la propria dimensione nel sound ruvido di Start From The Dark (comeback datato 2004: il titolo non è casuale). Dal vivo hanno classe da vendere e il concerto di Piazzola sul Brenta, diviso tra vecchi successi e nuovi cavalli di battaglia, non fa eccezione; palese il divario stilistico tra una Cherokee (con trionfo di tastiere) e Start From The Dark, ma i presenti dimostrano di apprezzare entrambe le facce della medaglia. I brani più applauditi, manco a dirlo, sono Carrie (con il solo Joey Tempest accompagnato da una chitarra acustica), Rock The Night e, naturalmente, The Final Countdown, la hit che appare in qualsiasi compilation a tema. Brillanti anche Superstitious, Ready Or Not e una veemente Scream of Anger, che mostra il lato più heavy del repertorio. Joey Tempest è un ottimo frontman e, nonostante qualche stecca mascherata con i trucchi del mestiere, sta invecchiando decisamente meglio di altri colleghi; bene anche il resto del gruppo, a partire dal caterpillar Ian Haugland. Una menzione a parte la merita decisamente John Norum, istrione della sei corde che non vive un bel momento: l’ex-moglie Michelle, nota negli ambienti musicali per l’attività con Meldrum e Phantom Blue, è recentemente scomparsa a causa di un’emorragia cerebrale. Per un artista la musica può rivelarsi l’unico rimedio con cui combattere il dolore e, date le condizioni, gli perdoniamo qualche sbavatura. Il talento di Norum, la professionalità e il rispetto verso i fan sono indiscutibili.
23 luglio 2008: una data speciale per i fanatici del Serpente Bianco, che non vedevano l’ora di riabbracciare il gruppo preferito e testare dal vivo i brani del nuovissimo Good To Be Bad. Detto, fatto. Si parte in quarta con Best Years, opener di un album atteso quasi vent’anni, presto seguita a ruota dalla trascinante Can You Hear The Wind Blow. Il responso è assolutamente positivo: il materiale più fresco regge senza imbarazzo il confronto con i classici e conferma lo stato di forma della band, autrice di un disco candidato a monopolizzare le poll di fine anno. Una formazione che può vantare due fuoriclasse come Doug Aldrich (Lion, Hurricane, Dio tra gli altri) e Reb Beach (Winger, Dokken) non necessita di presentazioni, per tacere dei restanti membri; mi si conceda un po’ di nostalgia nel ricordare il mitico Tommy “nonno” Aldridge, ma Chris Frazier è un degno sostituto. E poi c’è lui, mr. David Coverdale, uno dei più grandi frontman nella storia del rock, dato per cotto e in odore di pensionamento. Senza dubbio il carisma è pari all’ostinazione con cui il playboy britannico insegue note che, volenti o nolenti, non torneranno più: Still of the Night docet. D’altronde cinquasette candeline (da spegnere a settembre) iniziano a farsi sentire e qualche uscita sottotono è prevedibile, se non fisiologica per un ribelle che può raccontare una vita spericolata. Eppure eccolo lì, a scatenarsi sul palco e affascinare il gentil sesso come solo lui è in grado, a suon di occhiate focose e una gestualità inimitabile. La voce manca sulle vette più scoscese, è vero, ma quando si gioca su terreno amico (le ballad) non ce n’è per nessuno: memorabili per pathos Ain’t No Love In The Heart Of The City e l’intramontabile Is This Love, scandita a gran voce dai presenti. Successo assicurato anche per Fool For Your Loving e Here I Go Again, mentre tra le new entry si distingue Lay Down Your Love, dotata di un refrain irresistibile. L’apice della scaletta è probabilmente Give Me All Your Love, che dal vivo nobilita la formula che rese grande 1987: quando l’eleganza si fonde con lo slancio dell’hard rock. In chiusura, dopo una versione di Still of the Night che non incanta (nonostante un duetto improvvisato con Joey Tempest), spazio all’era Deep Purple: Burn e Stormbringer le tappe di un medley applaudito, che ha concluso in pompa magna uno show convincente ma a tratti lontano dai vertici del gruppo.
Federico Mahmoud
* per uno spiacevole disguido occorso sul luogo dell’evento, non sono disponibili fotografie dello show di Whitesnake