Report: Y&T, Markonee, Planethard – 16/05/08, Bologna

Di - 23 Maggio 2008 - 1:14
Report: Y&T, Markonee, Planethard – 16/05/08, Bologna

Bologna, venerdì 16 maggio. A un anno di distanza dalla fortunata esibizione in quel di Modena, tornano in Italia Dave Meniketti e i suoi Y&T; teatro dell’evento lo spazioso Estragon di Bologna, prescelto dopo il forfait del Lucille (Verona). Per l’occasione Bologna Rock City mette in piedi uno spettacolo imperdibile, con due promettenti formazioni nostrane (Planethard e Markonee) e uno special guest d’eccezione, Stef Burns, che a sorpresa sostituirà John Nymann per l’intera durata del set. Il responso finale è lo stesso del 2007: uno spettacolo grandioso, degno degli interpreti coinvolti, che avrebbe meritato ben altra cornice di una serata per pochi intimi. Supporto totale per chi rischia, investe e rimette quattrini alla luce di questi risultati: l’Emilia terra del rock è un vago ricordo…

Planethard.
I primi a pagare la scarsa affluenza di pubblico sono i Planethard, che presentano il debutto Crashed on Planethard nell’indifferenza generale. Una bella fetta di paganti è ancora in viaggio (chi dal Veneto, chi da Roma) e il quintetto lombardo deve accontentarsi di tiepidi applausi: un peccato, perché brani come Kill Me (But First Kiss Me) e She valgono tutti i complimenti letti in giro e Marco Sivo si rivela cantante in gran forma. A esser pignoli il gruppo difetta di presenza scenica, ma dinanzi al deserto delle prime file ci sentiamo di non rigirare il dito nella piaga. Un grosso in bocca al lupo e l’augurio di rivederli in contesti migliori, la qualità c’è tutta.

Markonee.
Che botta! Lo show dei padroni di casa è davvero convincente e ha il merito di risvegliare i primi ardori tra i rocker accorsi, ora più numerosi. Personalmente nutrivo grosse aspettative nei confronti di Gabriele Gozzi, nei ranghi del quintetto bolognese da meno di un anno: ebbene, quella del vocalist cremonese è una prestazione impeccabile, per tecnica ed espressività. La band pare rigenerata dal nuovo innesto e confeziona una delle migliori esibizioni a memoria di chi, come il sottoscritto, segue i Nostri ormai da diversi anni. Stefano “Pera” Peresson il solito mattatore con cascate di assoli folgoranti, ma da non sottovalutare il contributo del “sig. Carlo” Bevilacqua alla seconda chitarra e della sezione ritmica, con un Ivano “Zanna” Zanotti autoritario dietro le pelli. La scaletta si divide tra brani inediti, che lasciano ben sperare in vista di un nuovo album, e classici del repertorio: magistrali Marconi, dal refrain semplice ma irresistibile, e Loved Land, da The Spirit of Radio. Carichi, grintosi, coinvolgenti: in una parola, Markonee.

Quello offerto da Dave Meniketti è un raro manifesto d’integrità artistica. La sua Gibson è ancora pervasa dal sacro fuoco del rock, sia che si tratti di suonare in un’arena, sia al cospetto di una platea ristretta. Una passione sprizzata da tutti i pori, che incanta l’ascoltatore e ne rapisce gli occhi lungo copiosi assoli. All’Estragon va in scena un tributo all’hard rock più verace, autentico, irresistibile, celebrato in dischi che hanno fatto epoca come Earthshaker, Black Tiger, Mean Streak. Meniketti, nella rodata line-up con Mike Vanderhule e l’inossidabile Phil Kennemore, riabbraccia in serata un vecchio amico: Stef Burns, con cui ha registrato quattro album tra il 1990 e il 1997. A John Nymann, richiamato in patria per un imprevisto in famiglia, un sentito in bocca al lupo. La cronaca del concerto racconta di una band che suona oltre venti canzoni, senza pause (i prolungati assoli di chitarra e batteria fanno parte della manualistica hard rock) e con classe innata. Dall’iniziale Hurricane alla conclusiva I Believe In You (due classici da Earthshaker) c’è musica per tutti i palati: Black Tiger, Dirty Girl, Rescue Me per i paladini del sound più ruvido e genuino, Contagious, Don’t Stop Runnin’ e Summertime Girls per gli amanti di melodie vincenti e cori a squarciagola. Da Down For The Count sono eseguite anche Anything For Money e Looks Like Trouble, mentre Eyes of A Stranger non manca di scuotere le prime file con i suoi ritmi sensuali. Kennemore è protagonista sulla dinamitarda Squeeze, che mostra il lato più heavy del gruppo; stesso discorso per Open Fire, che a oltre venticinque anni di distanza non ha perduto un briciolo della sua carica dirompente. A giudizio di chi scrive, l’highlight della serata va scelto tra la sognante Midnight In Tokyo e Forever (da molti additato quale brano definitivo della band), capolavori che non condividono solo la medesima struttura musicale ma anche quell’indescrivibile romanticismo che manda in estasi il pubblico. MenikettiBurns è una coppia che vorremmo rivedere più spesso, per calore profuso e feeling con lo strumento; un plauso al secondo, abituato con Vasco Rossi a folle oceaniche, che si è dimostrato cordiale con i fan e divertito più di tutti sul palco. Una lezione per tanti sedicenti rockstar.

Venerdì 16 maggio, a Bologna, si è celebrato l’hard rock. Ieri come oggi Dave Meniketti c’era, e voi?

Federico Mahmoud