Sepultura: la fine della line-up classica, la versione di Max Cavalera
In una nuova intervista su Heavy1/Hard Force, Max Cavalera è tornato sulla fine della line-up classica dei Sepultura. Nel 1996, infatti, Max lasciò la band in seguito alla cacciata, da parte degli altri tre membri, della moglie Gloria dal ruolo di manager. Suo fratello Igor invece rimase ancora una decina di anni nei Sepultura prima di ricongiungersi con lui nei Cavalera Conspiracy. Questo il punto di vista di Max:
Tutto quello che riguarda “Roots” è un periodo molto confuso della mia vita, perché probabilmente non sapevo bene come gestire la fama che raggiungemmo. Specie in Brasile. Quando andammo in Brasile l’album stava andando fortissimo. Un qualcosa di veramente grosso. Come potrebbero esserlo i Beatles. Ricordo che un giorno provai ad andare al centro commerciale con mia moglie e venimmo assaliti. Sapevo bene che il 70% di loro non aveva neanche un disco dei Sepultura; probabilmente era solo la curiosità derivante dalla celebrità a spingerli. E la cosa mi infastidì molto. Della serie: “Hey, guarda tutta quella gente, in realtà non gliene frega un cazzo, eppure eccola lì”. Ho sofferto un po’ per questa cosa. Al tempo bevevo pesantemente e assumevo droghe. Ero selvaggio. Quel periodo fu segnata da gloria e tragedia. Eravamo combattuti tra la gioia di commemorare quel gran disco e la tragedia che ci piombò addosso. Parlo della morte di Dana (Wells, il figliastro di Max, ndr). Una cosa troppo amara da mandare giù. Tanto da non permettermi di godere appieno tutto quello che “Roots” aveva portato. Ero diviso a metà. Ma così è la vita, amico.
Nella band le cose non andavano già bene da prima. Non fu quell’episodio l’inizio di tutto, si aggiunse a una situazione esistente. Una delle ragioni principale che sono andate ad aggiungersi – molti non conoscono questa storia – fu questa. Eravamo in Inghilterra, pronti per il Monsters of Rock a Donington con Ozzy, quando ricevemmo la notizia che Dana era morto. Mia moglie era nella disperazione più totale. Essendo il suo marito dovevo cercare di confortarla. Per cui volai in America per rimanere con lei. E scoprii poi che la moglie di Andreas aveva provato a spostare il suo cadavere, a rubare il corpo di Dana, per provare a farlo seppellire più velocemente così che potessimo tornare in tour. Andiamo, amico. Chi farebbe una cosa del genere? Quell’episodio mi fece ragionare seriamente sulle persone con cui componevo la musica. Erano dei veri amici? La cosa mi confuse parecchio. Poi le cose precipitarono quando gli altri si coalizzarono contro di me. Incluso mio fratello. Non posso escluderlo, lui ne fu coinvolto direttamente. Fu come un’ammutinamento. Loro tre contro me e contro Gloria ovviamente. Con lei non avrebbero più parlato. L’ultimo tour europeo fu pura tristezza. Davvero miserevole. La cosa non si rifletté sulla musica. La musica e gli show furono straordinari. Ma le restanti 23 ore del giorno furono una cosa fottutamente triste, con cui fare i conti. E alla fine il suo contratto si concluse. Hanno sempre detto alla stampa di averla licenziata, ma non è vero. Il suo contratto si era concluso, fu lei a decidere di non rinnovarlo. Poi mi disse: “Stai con loro, se è quello che vuoi. La scelta spetta a te. Non costringermi a trattenerti”. Ma era una cosa che non potevo fare, per tutto quello che era successo. Roba pesante.
Oltretutto avevano idee differenti dalle mie. Una delle idee principali era quella di sostituire Gloria e buona parte della crew con dei professionisti. Persone importanti. Per me sarebbe stata una cazzata, farlo. Tutte quelle persone ci avevano aiutato ad arrivare dove eravamo. E una volta diventati grandi e di successo, che puoi assumere chiunque, volti loro le spalle dicendo “Fanculo, hai chiuso. La tua merda è finita. Ci rivolgiamo a queste persone di successo”. Non ero d’accordo. E comunque non si può dire che le cose non andassero bene: suonavamo a tutti i principali festival, dovevamo suonare headliner al Big Day Out in Australia. Per cui lei non poteva essere così cattiva come manager, come loro la dipingevano. Onestamente credo che la cosa migliore che avremmo potuto fare era staccare per un anno intero. Ognuno se ne sarebbe andato per conto suo e avrebbe così potuto schiarirsi la mente. Un anno dopo ci saremmo ritrovati e ne avremmo discusso. Ma forse non ci sarebbe stato comunque rimedio. Ormai il giocattolo era rotto. Era marcio, amico, dall’interno. C’era bisogno di qualcosa e quel qualcosa era probabilmente proprio la separazione.