Live Report: Agglutination Metal Festival 2013

Di Daniele D'Adamo - 14 Agosto 2013 - 8:37
Live Report: Agglutination Metal Festival 2013

 

Una grande festa metal come in Italia se ne vedono poche e al Sud ancora meno. Una grande festa che si perpetua da diciannove edizioni. Si tratta dell’Agglutination Metal Festival, ideato e promosso con pazienza e passione da Gerardo Cafaro. Per l’edizione 2013, la 19-esima appunto, è stata cambiata la location. Da Campolungo a Senise, sempre in Basilicata. Sono arrivati in terra lucana ben nove band che hanno allietato fino a tarda notte l’uditorio accorso da ogni dove. Teste di serie gli storici thrasher Overkill seguiti dagli altrettanto storici blackster Marduk. A chiudere i big ci hanno pensato gli Stratovarius. Ma le vere sorprese sono arrivate dai nuovi nomi che popolano il panorama metal, nomi di gruppi nostrani. Uno su tutti ha primeggiato in quanto a coinvolgimento, tecnica e originalità, i laziali Blind Horizon, secondi in ordine di scaletta.
 

 

Ad alzare il sipario ci hanno pensato i Rebürn, band formatasi solo nel 2009, con il loro thrash aggressivo, potente e diretto. Pochi fronzoli e tanta passione. Encomiabile la voce e la presenza scenica di Marco Rapisarda. Venti minuti di pura furia sonora. Unica pecca è che l’inizio dello show è avvenuto con pochissimo pubblico a causa di disguidi organizzativi.
 

 

A seguire i Blind Horizon. Difficile catalogare la proposta musicale dei cinque. Hanno offerto al pubblico presente la più singolare originalità della giornata e la migliore perizia. I nostri, formatisi nel 2005, sono fautori di un mix ben amalgamato di thrash e death con dirette influenza derivanti da Carcass e Death su tutti. Ma non finisce qui. Al metal i nostri hanno saputo sapientemente e magistralmente affiancare elementi progressive, jazz e melodie. Tapping su tutti gli strumenti a corde, tempi dispari, le vocals che hanno alternato growl a parti pulite sono il marchio di fabbrica del combo. Nota di merito particolare a Dimitri Nicastri e Lorenzo Di Mattia, rispettivamente batteria e voce. Nicastri ha saputo fare da linea conduttrice negli intricati cambi dei brani dando un amalgama decisamente efficace e non certo semplice.
 

 

A inaugurare il main stage ci hanno pensato gli orobici Folkstone. I bergamaschi non hanno avuto bisogno di presentazioni e hanno offerto uno spettacolo più che degno di nota. «Siamo felicissimi di essere qui per la prima volta» ha esordito Lore, lo storico cantante. Ed è stato immediato tripudio di heavy rock e cornamuse, stornelli melodici quasi pirateschi e muri sonori di tutto rispetto. Sul palco hanno primeggiato gli strumenti tradizionali di epoca medievale affiancati alle cornamuse e strumenti elettrici. Nessuno dei nove si è risparmiato muovendosi in continuazione sul palco e incitando il pubblico alla partecipazione. Invocazione non vana. I giovani e meno giovani accorsi per ascoltarli non si sono certo fatti attendere. Quella dei Folkstone è stata la prima cavalcata sul limitare dell’ora di esibizione che ha aperto le porte alla seconda parte del Festival. Forse il cantato in italiano, forse i ritmi forsennati e coinvolgenti, forse i testi, ma quella dei bergamaschi ha vinto la palma d’oro come performance più coinvolgente e partecipata dell’Agglutination.
 

 

Subito dopo, per non affievolire l’urto sonoro, è stata la volta dei Natron, storicissimo gruppo death-grind. Pescando dal loro fornitissimo repertorio, otto dischi e una carriera nata nel 1992, hanno riversato sul pubblico furia cieca e insensata volta all’annichilimento dell’uditorio. Missione decisamente riuscita. Nicola Bavaro, alla voce, non si è minimamente risparmiato finendo con l’unico body surfing della giornata. Un impenetrabile muro del suono si è abbattuto sugli spettatori che hanno risposto di conseguenza con pogo e incitazioni a scena aperta.
 

 

Il ritorno al main stage è segnato da un’altra storica band italiana, gli Eldritch. Operativi fin dal 1991 hanno attraversato la storia del metal nostrano e non solo. Perizia tecnica innegabile e buona tenuta di palco. Pur tuttavia sono risultati la formazione meno convincente. I brani proposti hanno variato tra sonorità nu-metal, cadenzate e pesanti, e pezzi AOR con riff aperti. Il pubblico ha risentito della mancata amalgama stilistica rispondendo in maniera se non fredda, certamente discontinua.
 

 

Riapertura del secondo palco, affiancato sulla destra del principale per facilitare lo spostamento del pubblico e l’alternarsi delle band. Sono stati i campani Heavenshine ad accompagnare il tramonto. La scelta, se casuale, è stata decisamente azzeccata. Reduci dalla recente uscita di “Black Aurora”, loro primo full-length, i partenopei hanno proposto un synphonic-gothic metal caratterizzato dalla voce del soprano Miriam Cicotti. Un sound che ritmicamente deve qualcosa a gruppi prog quali SymphonyX con chitarre decise appoggiate sugli arrangiamenti orchestrali di Marco Signore. Notevole e trascinante la performance della Cicotti. Unico neo dello spettacolo l’audience probabilmente più avvezza a sonorità decisamente più ruvide rispetto a quelle proposte dagli Heavenshine. A coadiuvare la band negli ultimi brani è stato un cantante inglese, presentato come la «nascita della nostra Black Aurora».
 

 

Il crepuscolo ha segnato l’arrivo delle tenebre, lo scoperchiarsi delle tombe e il sopraggiungere di quelli che una volta erano tra i più temuti fautori di black metal, i Marduk. Immancabile face painting e furia cieca. Ripescando dalla loro ormai pluridecennale carriera i nostri hanno riproposto brani storici affiancati alle loro ultime produzioni. Il risultato è stato il medesimo ottenuto con i dischi. Pubblico diviso. Chi ne ha osannato la cattiveria e la bravura come decisivi riferimenti del genere e chi ha visto un gruppo stanco, sterile che non riesce a ritrovare ispirazione e dimensione. Asetticamente una buona performance, non certo all’altezza dei tempi d’oro, trascurando il passaggio Legion / Mortuus, come del resto non è all’altezza il materiale prodotto da diversi anni a questa parte.
 

 

Penultima band a saggiare le forze rimaste dei circa tremila presenti, sono stati gli Stratovarius, o quel che ne resta. Sì, perché, della band di power metal delle origini, poco è rimasto, in molti sensi. E il poco si è fatto sentire nella scelta della scaletta. Abbandonate quasi del tutto le ‘sfuriate’ monotoniche tipiche del genere i nostri hanno preferito accostare a queste il materiale più variegato. Una decisione che forse ha deluso qualcuno ma che sulla distanza della durata dell’esibizione ha pagato non annoiando. Plauso a Timo Kotipelto che ha tenuto fino all’ultimo brano. Per gli altri membri una buona performance comunque divertente e coinvolgente con qualche battuta scambiata anche in italiano con il pubblico.
 

 

È a mezzanotte circa che la serata, nonostante il tour de force, si accende definitivamente. Sono gli Overkill la band più attesa. I newyorkesi sono tra i gruppi con il pubblico più affezionato. Affetto del tutto ricambiato attraverso spettacoli che hanno da sempre reso celebri la band. Anche se gli anni sono ben esposti sulla faccia di Bobby “Blitz” Ellswort e D. D Verni, il gruppo non ha lesinato energia. “Come And Get It”, “Rotten To The Core”, “Wrecking Crew”, “Bring Me The Night” e il pubblico è immediatamente immerso negli anni d’oro del thrash, sonorità mai abbandonata dai nostri. Riff monolitici, cambi repentini di tempo, tutto come da copione, tutto come i presenti si aspettano che sia. Ellsworth corre senza tregua per il palco concedendosi di quando in quando qualche doverosa pausa dietro gli amplificatori. Le disavventure fisiche che hanno accompagnato il frontman negli ultimi anni non paiono averne deteriorato grinta e potenza. Si prosegue con “Electric Rattlesnake”, “Infectious”, “Ironbound”, “Hello From The Gutter”, “Save Yourself”, “Old School”, “Who Tends The Fire”, “In Union We Stand” fino all’esplosione di “Elimination”, accolta da un vero e proprio boato. I cinque abbandonano il palco, ma il pubblico non pago li richiama per i doverosi bis. A “Coma” e l’immancabile “Fuck You” il compito di porre il punto finale a una giornata che non ha lasciato nessuno insoddisfatto e nell’arco della quale sono stati consegnati anche diversi riconoscimenti. Tra questi uno agli Stratovarius, uno al sindaco di Senise e uno allo stesso Cafaro, già intento a preparare l’edizione 2014 nonché ventennale della manifestazione.

Report di Carmine Rubicco