Vario

Live Report: Firenze Rocks – 16/17 giugno 2018

Di Marco Turco - 19 Giugno 2018 - 20:30
Live Report: Firenze Rocks – 16/17 giugno 2018

LIVE REPORT FIRENZE ROCKS
IPPODROMO DEL VISARNO

Sabato 16 giugno a cura di Marco “Dreki” Turco
Domenica 17 giugno a cura di Orso Comellini

 

Firenze Rocks Locandina

 

IRON MAIDEN + HELLOWEEN – sabato 16 giugno 2018 – Marco “Dreki” Turco

Il sabato va in scena il Metallo più puro. L’Heavy Metal con la “H” e la “M” maiuscole, che guarda caso sono pure la “H” degli Helloween e la “M” dei Maiden. Servono due premesse, una oggettiva e una personale.

Premessa 1: credo che tutti, ma proprio tutti, quando abbiamo visto quel manifesto con la scritta “IRON MAIDEN + HELLOWEEN”, abbiamo faticato a credere ai nostri occhi. Irons e Zucche assieme. Roba da Monsters of Rock anni ’90 – beato chi c’era. Insomma, questo evento aveva delle basi davvero grosse, che alimentavano aspettative altrettanto grosse.
Premessa 2: chi scrive resterà legato per sempre a questo concerto, per tutta la vita, e non solo per merito dei Maiden. Il merito è di Diana. Diana non è una ragazza, non ancora almeno: Diana ha 7 mesi, un paio di cuffie antirumore e una maglietta di The Trooper. E quando Diana sarà più grande, le spiegherò (ci proverò) cosa hanno provato mamma e papà a cantare come dei matti “The Evil that Men Do” tenendola in braccio.

Giungo al Parco della Piscina nel tardo pomeriggio, senza assistere allo show di Shinedown e di Davis. La location è eccezionale, ben servita, gli accessi sono funzionali e per nulla caotici, l’area stand è eccellente con docce e perfino un servizio di ricarica cellulare. I prezzi… sono da festival, e cioè alti (ma bastava avere 2 panini in zaino, portati da casa, e si risolveva). E adesso basta, parliamo di musica.

HELLOWEEN (Pumpkin United line-up)
È ancora piena luce, quando parte “quella musichetta”. Tutti la conoscono, tutti la cantano. Il megaschermo sullo sfondo proietta il logo e la zucca, e poi parte la cannonata: “Halloween”!
Sabato 16 giugno le Zucche di Amburgo hanno ri-tirato fuori la magia dal cilindro e nel tempo riservato a una band di apertura, ricordano a tutti – ma proprio a tutti – che la storia del Power Metal è nata con le loro chitarre e i loro refrain. E poi sul palco c’era la line-up del Pumpkin United Tour, con Kai e Michael.
La scaletta è tutta presa dai primi 3 dischi, Jericho e i Keepers, con sole 2 eccezioni (“Power” da Time of the Oath e “If I could Fly” da The Dark Ride). Nulla da Master of the Rings, nulla da Better than Raw e nulla, assolutamente nulla, dagli ultimi 6 dischi: va bene così? Sì che va bene così, perché questo era il senso di questo palco. E allora, vai di macchina del tempo!
Le voci di Kiske e Deris irradiano potenza e, se il primo vince la gara di acuti, il secondo ha un carisma inarrivabile. Poi tocca a Kai: si impossessa del microfono per il medley della prima era: “Starlight”, “Ride the Sky”, “Judas”, “Heavy Metal is the Law”. La sua voce è stanca, tanto distante dai due veri frontman, ma Kai resta Kai, ed è una delle icone del genere.
Il live delle Zucche è rovinato da suoni un po’ impastati delle 3 chitarre, ma l’energia della seconda metà del concerto è anche superiore alla perché è qua che arrivano “How Many Tears” (cantata da tutti e 3) e “Eagle Fly Free”. Il finale, dopo l’intro di Hall of the Mountain King (hey, quella di Grieg! non dei Savatage!), porta “Future World” e “I Want Out” – coi palloni giganti a forma di zucca lanciati dal palco a rimbalzare sulle mani delle prime file. Sulla reunion, sul senso di questa line up, si è detto tutto e il contrario di tutto. Ma questo è il Power Metal, dalla A alla Z. Anzi, dalla H alla N, con nel mezzo quella O che ghigna beffarda.

 

Setlist:

Helloween
Dr. Stein
I’m Alive
If I could fly
Medley Starlight – Ride the Sky – Judas – Heavy Metal is the Law
The Power
How Many Tears
Eagle Fly Free
Keeper of the 7 Keys (refrain)

Future World
I Want Out

 

IRON MAIDEN
Signore e signori, la Storia. Il Metallo.
La domanda è: da dove cominciare?
Da dove cominci a descrivere uno show STRA-TOS-FE-RI-CO come quello dei Maiden a Firenze?? Dalla scaletta, che parte con una “Aces High” che sfracella tutto? Dall’aereo spitfire, che irrompe sopra il palco e dà il via a una delle scenografie più mirabolanti mai viste? Dalla forma della band, capitanata da un comandante che urla “Live to fly” facendo le capriole tra un monitor e l’altro, facendoti pensare che la sua anagrafe (1958, signori, CINQUANTOTTO: fan 60 anni) sia una palla colossale? Ditela come volte, ma questo concerto è stato davvero “tanta roba”.
I Maiden sono, erano e restano LA BAND da vedere dal vivo. E se dal 16 giugno volessimo tratte una lezione, questa è: il Trono di Ferro sta lì, ben saldo nelle mani della Vergine. Non si schioda, non arrugginisce, non molla il tiro nemmeno per un pelo.
Se il set up è monumentale, la scaletta è comunque grandiosa. Dopo “Aces” in partenza, arrivano “Where Eagles Dare” e “2 Minutes”. Bruce si cambia di abito praticamente a ogni brano: è l’aviatore, il combattente, il profeta.
In mezzo ai classici (“The Trooper”, “The Number of the Beast”, “2 Minutes to Midnight”) e a quelle più recenti ormai divenute classici (“The Clansman, The Wickerman”), spunta una “Flight of Icarus” che ci fa impazzire: un Icaro gigantesco appare sul palco, per poi crollare colpito dai raggi dei lanciafiamme. L’unica concessione alla discografia più recente è “For the Greater Good of God”. Immancabili “Fear of the Dark” e “Iron Maiden”, e poi il trittico finale: “The Evil that Men Do”, “Halloweed be thy Name” e “Run to the Hills”.
Posso dirlo? È quasi seccante fare un report di un concerto così. Vorresti cercare un difetto, ma non lo trovi… oddio, c’è sempre il solito Gers a cui sparare addosso, che sembra stare sul palco solo per fare il pagliaccio. Ma – qui sta il dubbio – forse è esattamente così, forse Steve Mastermind Harris lo sa benissimo e lo piazza lì apposta. I suoni sono eccellenti, la performance è da paura. Quale critica vuoi muovere a gente come Dave, Nicko e Adrian?
Non siamo solo davanti a una band storica, né solamente davanti a una band grandiosa: di band storiche ce sono tante, di grandiose anche (comprese quelle molto più recenti). Siamo davanti a una band che incarna un intero genere e che, pur avendo un professionismo senza pari, non ha mai smesso di farlo con la passione di chi adora la propria musica.
Il Trono resta lì, in mano loro.
E sconcerta il pensare, il realizzare, che stiamo parlando di una band con quattro decenni di carriera. C’è chi dice che questa potrebbe essere stata una delle “ultime occasioni”. Se così fosse, sarà un ricordo bellissimo. Buon concerto a chi se li vedrà a Milano.

 

Setlist:

Aces High
Where Eagles Dare
2 Minutes to Midnight
The Clansman
The Trooper
Revelations
For the Greater Good of God
The Wickerman
Sign of the Cross
Flight of Icarus
Fear of the Dark
The Number of the Beast
Iron Maiden
—-
The Evil that Men Do
Halloweed be thy name
Run to the Hills

 

 

TREMONTI + JUDAS PRIEST + AVENGED SEVENFOLD + OZZY OSBOURNE – Domenica 17 giugno 2018 – Orso Comellini

 

Quarto e ultimo giorno per Firenze Rocks, festival giunto alla seconda edizione all’insegna di un crescente successo andato ben oltre i confini nazionali. Complice la splendida cornice dell’Ippodromo del Visarno e inserito all’interno del Parco delle Cascine, situato a due passi dal centro storico della città culla del Rinascimento: Firenze. Città d’arte che, come titolato da La Nazione, è diventata per quattro giorni la capitale italiana della musica dura. Strategica e quindi da non sottovalutare per futuri eventi, la posizione centrale della città all’interno dello Stivale, cosa che ha permesso di presenziare anche a molti appassionati accorsi dal sud d’Italia, così come fan provenienti dalla parte settentrionale sempre dell’Italia, dalla Svizzera, Germania e Olanda, tra gli altri. Immancabile, dalle Alpi alle Ande, la delegazione sarda, che da sempre ha un feeling speciale con la Toscana tutta. 

La giornata offre un menù abbastanza variopinto, a cominciare dai quasi italiani Amphitrium, provenienti dal Canton Ticino e autori di un’aggressiva miscela di Black e Death melodico; dai Tremonti, band solista del noto chitarrista degli Alter Bridge, fresca di pubblicazione di “A Dying Machine”, tramite Napalm Records; dagli intramontabili veterani dell’Heavy Metal più ortodosso Judas Priest, giunti dopo l’uscita dello scoppiettante “Firepower”; dagli idoli dei giovanissimi Avenged Sevenfold e infine dal Madman itself Ozzy Osbourne, appena ricongiuntosi con Zakk Wylde, come headliner. 

Giungo nell’area del Visarno nel primissimo pomeriggio, dopo aver lavorato la mattina e un veloce pranzo domenicale, mentre stanno concludendo la propria setlist gli Amphitrium. Ammetto di non essere partito alla volta delle Cascine con chissà quali aspettative, del resto sebbene i Priest si presentino con un ottimo album, sono pur sempre orfani delle due colonne portanti K.K. Downing (ormai da qualche anno) e Glenn Tipton, fermato in parte dal Parkinson. Per non parlare di Ozzy, molto in difficoltà negli ultimi anni, con esibizioni nella quali arrancava ed aveva seri problemi a riproporre le proprie linee vocali. Per fortuna, come vedremo, buona parte delle mie perplessità verranno dissipate. Nel frattempo quello che mi colpisce subito è l’estrema cura nell’organizzazione dell’evento: molteplici ingressi per evitare affollamenti, funzionali i collegamenti tra parcheggi e area concerti, W.C. chimici in numero sufficiente e puliti (persino dotati di carta igienica!) e molteplici stand per rifocillarsi senza mai fare code interminabili, compresa un’area per godere di un po’ d’ombra e riprendersi dal sole battente. Qualche appunto va ai prezzi non proprio favorevoli, al sistema dei token che non prevedeva l’acquisto della singola tesserina e per non aver previsto un seppur minimo risparmio per chi ne acquistasse un quantitativo più consistente in un’unica soluzione (nello specifico, la tabella riportava 5 token = 15 euro, 10 = 30 euro, 15 = 45 e così via). Infine l’introduzione del pit (e del pit nel pit, per i pacchetti VIP) per accedere allo spazio immediatamente sotto al palco. Scelta che personalmente non condivido, perché la vedo legata esclusivamente a ragioni economiche e che non trova riscontro in altri festival europei. Da veterano della scena e inguaribile romantico ho sempre ritenuto giusto che le prime file fossero da “conquistare” e che quindi ci arrivassero solo i più affezionati ai gruppi e i più motivati, non che ciò dipenda dalla disponibilità economica, tanto più se poi per riempire il pit si deve regalare il pass in loco a spettatori scelti in maniera casuale dal pratone… In ogni caso, niente che abbia compromesso la buona riuscita del festival.

 

mappa interna firenze rocks 2018

 

TREMONTI
Giusto il tempo di ambientarsi che sul palco sale Mark Tremonti con la sua band. Il talentuoso chitarrista di origini italiane e membro fondatore di Creed e Alter Bridge, già autore di ben quattro dischi, si ripropone in versione solista (anche dietro al microfono) in una veste più dura, senza lasciarsi andare a sbrodolamenti virtuosistici e rimanendo fedele a quello che è il proprio stile e più in generale alla nuova ondata di Heavy Metal americano, fatta di strofe molto potenti e ritornelli perlopiù ammiccanti (con tutti i pro e i contro del caso). Dal vivo la band suona in maniera ineccepibile, presentando due brani dal nuovo album: la title-track e l’opener “Bringer Of War”, mentre grande spazio viene dedicato ai pezzi di “Cauterize”, andando a pescare ben quattro brani sui nove della scaletta. Con il senno di poi la loro esibizione è sembrata un po’ priva di anima, sebbene seria e professionale. Da un lato è vero che i Nostri badino più alla sostanza che all’apparenza, ma avrebbero potuto cercare di coinvolgere un po’ più il pubblico. Purtroppo l’orario e il gran caldo non hanno giocato a loro favore e il grosso dell’audience doveva ancora arrivare. Personalmente ho apprezzato il trittico “Flying Monkeys”, “Radical Change” e “A Dying Machine”, che sono un po’ la summa della sua proposta.

 

Setlist:

Bringer of War
Another Heart
Cauterize
My Last Mistake
Betray Me
Flying Monkeys
Radical Change
A Dying Machine
Wish You Well

 
 

JUDAS PRIEST
Ed eccoci alla pietra dello scandalo: ore 17:30 ed è il turno dei Judas Priest, PRIMA degli Avenged Sevenfold. Una scelta che ha fatto molto discutere e continuerà a farlo. C’è chi dice che dovessero prendere un volo di lì a poco, chi ricorda che comunque gli A7X allo stato attuale vendano molto di più dei Priest e via dicendo. Fatto sta che non tutti siano dei signori come i Dream Theater al Gods Of Metal del 2007, che si fecero da parte per lasciare il posto agli Heaven & Hell. Credo però che non sia giusto farne una colpa a chicchessia, del resto Halford & Co. hanno accettato le condizioni… Purtroppo però, così la scaletta ne è uscita fortemente ridotta e il combo di Birmingham si è trovata a suonare coperta di pelle e di borchie con il solleone in fronte. In ogni caso i Nostri sono dei signor Professionisti (maiuscolo d’obbligo) ed il loro show è stato da KO tecnico. Si parte con l’ottima “Firepower” e si prosegue con due classici come “Grinder” e “Sinner”. Faulkner e Sneap non sono dei semplici turnisti buttati lì tanto per mettere una pezza e, sebbene siano chiamati ad assolvere un compito ingrato, riescono a non far rimpiangere troppo la doppia, pesantissima assenza di Tipton e Downing. Travis pesta come un dannato e Halford si difende benissimo sulle sue linee “impossibili”. Considerata la scaletta ridotta, a mio modesto parere avrei sostituito “Turbo Lover” con uno dei grandi classici, ma si tratta di un peccato veniale. Finale da urlo, poi, con l’ingresso di Halford sul palco con la motocicletta prima di “Hell Bent For Leather”, come da tradizione. E chiusura affidata all’immancabile “Painkiller”, per il tripudio dei presenti. Nel frattempo l’arena si è praticamente riempita, del resto è impensabile per chi ha pagato il biglietto giornaliero perdersi il loro spettacolo. Solo un folle lo farebbe. 

 

Setlist:

Firepower
Grinder
Sinner
Lightning Strike
Bloodstone
Turbo Lover
Tyrant
Freewheel Burning
You’ve Got Another Thing Comin’
Hell Bent for Leather
Painkiller

 

 

AVENGED SEVENFOLD
Ancora un po’ stordito, per il mix di eccitazione e delusione per i motivi sopracitati, mi accingo a vedere l’esibizione più controversa della giornata: quella degli Avenged Sevenfold. È chiaro a tutti perché siano lì. Altra cosa è farsene una ragione per chi è almeno sopra la trentina, mentre evidentemente i più giovani sono accorsi proprio per loro. Mai come in questo caso si nota lo stacco generazionale: si possono vedere molte famiglie composte dai genitori con magliette dei Priest, di Ozzy o di altri gruppi storici e i figli tutti o quasi con quella degli A7X. Appare evidente anche nell’abbigliamento e nell’attitudine di loro stessi, tra capelli corti e laccati, aspetto curatissimo/finto cattivo e camicia di flanella rossa a scacchi. Diciamo che, se con chi li ha preceduti non avrebbe molto senso fare un raffronto per poca pertinenza, con i Tremonti lo si può fare tranquillamente. Ecco, a differenza di questi ultimi gli A7X sembrano molto più badare all’apparenza che alla sostanza. Non fatico a capire come mai facciano tanta presa nei giovani e vengano liquidati tanto facilmente da gran parte della vecchia guardia. Per quanto mi riguarda, pur non essendo mai stato intransigente verso le nuove frontiere, se così le vogliamo chiamare, trovo puerili e fuori contesto diversi dei loro ritornelli. Prendiamo, per esempio, il secondo brano in scaletta, “Afterlife”, caratterizzato da un riffing debitore senz’altro ai Metallica e quel refrain banale che rovina tutto, così come per l’inutile “Welcome To The Family”. Si sente che sanno suonare bene (anche se inspiegabilmente M. Shadows fa già fatica a cantare i suoi pezzi) e mettono tante soluzioni interessanti all’interno dei brani, ma poi tutto si schianta contro la voglia di mainstream e la faciloneria di certi passaggi. Non a caso, dopo la buona “Hail To The King” e “God Damn” decido di dirigermi verso il tendone per concedermi finalmente la cena e un po’ di riposo, mentre dal palco partono fiammate a tutto spiano prima del gran finale (e mi accorgo subito di non essere il solo…). D’altra parte quella che è probabilmente la loro cartuccia migliore, “The Stage”, l’avevano sparata in apertura.

 

Setlist:

The Stage
Afterlife
Hail to the King
Welcome to the Family
God Damn
Buried Alive
So Far Away
Nightmare
Bat Country

Shepherd of Fire
Unholy Confessions

 

OZZY OSBOURNE
Calano le tenebre ed è già tempo del più oscuro dei signori dell’HM tutto: Mr. Ozzy Osbourne. Come scritto in apertura le aspettative sono piuttosto basse, ma c’è anche curiosità per il ritorno di Zakk Wylde e la possibilità di ascoltare qualche brano in più dal validissimo “No More Tears”. Dopo il classico intro autocelebrativo affidato alle note di Orff, il Madman parte subito a bomba con “Bark At The Moon”, “Mr. Crowley” e “I Don’t Know”, tre brani che valgono da soli il prezzo del biglietto. La band suona da Dio e Ozzy da parte sua offre una prestazione come non la si sentiva da anni e anni. Siamo in molti a renderci conto che questa non sarà una serata come le altre e in molti, moltissimi (troppi!) non resistono alla tentazione di sfoderare il cellulare per registrare un segmento video del concerto. La partecipazione è totale e raggiunge i massimi livelli quando Ozzy tira fuori dal cilindro due classici dei Sabs come “Fairies Wear Boots” e “War Pigs”. Probabile che in molti non abbiano mai avuto occasione di vederle suonate dal vivo con Ozzy alla voce. Per quanto mi riguarda il climax l’ho raggiunto con “No More Tears”, brano che lo stesso Ozzy ricorda di non suonare così di frequente, anzi. A meno che non lo si sia visto in quel tour, ultimamente proponeva solo la parte dell’assolo inserita in un medley o attaccato a un altro brano. Qui Ozzy becca la prima vera stecca, ma gli è ampiamente concesso. La parte centrale del concerto offre giusto un momento di stanca con gli assoli di chitarra (il lupo perde il pelo, ma non il vizio, vero Zakk?) e di batteria che si dilungano anche troppo. Ottimo il finale con “I Don’t Want To Change The World”, “Shot In The Dark” e “Crazy Train”, prima della suggestiva “Mama I’m Coming Home”, congedo perfetto per chiudere il concerto e la quattro giorni di festival. Non prima di aver proposto una versione ultra heavy di “Paranoid”, che scatena anche qualche focolaio di pogo. Grande Ozzy, gran concerto. 

 

Setlist:

Bark at the Moon
Mr. Crowley
I Don’t Know
Fairies Wear Boots
Suicide Solution
No More Tears
Road to Nowhere
War Pigs
Miracle Man/Crazy Babies/Desire/Perry Mason (Instrumental medley + Zakk Wylde guitar solo)
I Don’t Want to Change the World
Shot in the Dark
Crazy Train

Mama, I’m Coming Home
Paranoid

 

 

CONCLUSIONI
In chiusura, un plauso va obbligatoriamente agli organizzatori per aver dato vita ancora una volta all’unica alternativa credibile ai grandi festival europei e gestendo il tutto in maniera praticamente impeccabile. Mi auguro ancora anni di grandi successi. Per quanto riguarda la querelle Judas Priest/Avenged Sevenfold e vecchia guardia/nuova guardia, il mio unico augurio è che festival di questo genere possano fare da cerniera tra le varie scuole di pensiero e che non finiscano per radicalizzare le posizioni. Che i giovani di oggi abbiano colto l’occasione per ascoltare tanta buona musica e che gli altri siano un po’ più pazienti e tolleranti verso chi ancora deve crescere musicalmente. Del resto, da padre, so bene quanto i giovanissimi vadano indirizzati e tenuti per mano. Poi un domani prenderanno la propria strada, ma intanto hanno bisogno di qualcuno che li guidi. Anche perché, quando i mostri sacri non ci saranno più, chi potrà raccoglierne il testimone?
Ad maiora!