Hard Rock

Live report: Frontiers Festival III – 23/24 Aprile 2016

Di Teresa Lastella - 8 Maggio 2016 - 0:23
Live report: Frontiers Festival III – 23/24 Aprile 2016

Frontiers Festival III – 23/24 Aprile 2016

Live Music Club@ Trezzo sull’Adda (MI)

 

frontiers rock festival 2016 loc

 

Terza edizione, terzo anno di soddisfazioni e grande musica per tutti gli amanti di Hard Rock e Aor, due generi musicali che da ormai un decennio hanno ritrovato una nuova e dignitosa “casa” in Frontiers Records, label partenopea responsabile del rilancio di uno stile di far musica che all’alba del nuovo millennio appariva invece appannato e riservato a pochi nostalgici.

Ancora una volta presentato nell’ottima cornice del Live Music Club di Trezzo sull’Adda, il Frontiers Festival 2016 ha rinnovato anche in questa occasione tutti i motivi d’interesse racimolati negli anni scorsi.
Nomi di grande fascino internazionale mescolati a giovani (o meno) promesse, band spesso mai viste impegnate in esibizioni sul territorio italiano (quando non addirittura europeo), qualche reunion “evento” di assoluto impatto nei confronti di un’audience sempre ricettiva seppure mai, nemmeno in questo caso, destinata a raggiungere grandissime quantità in termini di presenza.

Come già accaduto in precedenza, infatti, il Frontiers Festival non è stata una manifestazione “presa d’assalto” nel vero senso della parola: un buon numero di presenti, ispessiti da una foltissima partecipazione straniera (in maggioranza rispetto agli italici appassionati, purtroppo) hanno contribuito alla riuscita della due giorni di concerti, senza tuttavia mai far registrare il proverbiale “sold out” in nessuna delle due date previste.
Un vero peccato, giacché l’occasione di gustare le performance di Treat, Last in Line, Drive She Said, Terry Brock, Trixter e soprattutto Talisman, non capiterà di certo molto presto, in particolare proprio dalle nostre parti.

Tant’è: incuriositi ed un po’ emozionati dalla possibilità di rivedere e risentire alcuni eroi di gioventù, non ci siamo lasciati sfuggire l’opportunità di presenziare almeno alle esibizioni programmate per il 24 aprile, data in cui la reunion-tributo dei grandi Talisman di Jeff Scott Soto ha fatto pendere l’ago della bilancia su quale dei due giorni preferire, pur nutrendo un vivo rammarico nel perdere lo show degli adorabili Treat, altra band – a nostro parere – meritevole di supporto assoluto.

Riferito di alcune notizie ricevute di prima mano, che parlavano di una performance dei Drive She Said piuttosto imbarazzante per via di un Al Fritsch del tutto privo di voce, di una prestazione interessante da parte di Shiraz Lane, Treatment e No Hot Ashes, di grandi spettacoli messi in pista da Find Me e Last in Line, e di qualche contraddizione proprio a carico dei Treat (accusati di aver inscenato uno show decisamente artefatto) eccoci quindi al commento dettagliato relativo a quanto accaduto il il 24 aprile scorso, giorno memorabile per tutti gli amanti del rock melodico di stampo ultra classico.

 

Blood Red Saints

Prima band a salire sul palco del Live Music Club è stata, come da programma, quella dei Blood red Saints.

Il gruppo britannico, da qualche tempo in circolazione con un buon disco d’esordio intitolato “Speedway”, è protagonista di una miscela di sonorità AOR che richiama spesso a quanto realizzato negli anni dagli Harem Scarem (non per nulla Harry Hess ha collaborato proprio al cd di debutto), rendendosi già per questa ragione fascinoso e meritevole di attenzione.
Non certo “novellini” della scena, gli ex In Faith, Pete Godfrey e Pete Newdeck insieme al resto del combo, offrono una prestazione dignitosa al netto di qualche inconveniente iniziale (strumenti presi in prestito per qualche disguido nella consegna) che manda subito “sul liscio” il festival, inaugurandone così la seconda giornata in modo impeccabile.
“Best Of Me”, la cover di “Wanted Dead Or Alive” di Bon Jovi e la conclusiva “Better Days”, gli highlights di un’esibizione senz’altro gradevole e di buon auspicio per il resto della giornata.

Setlist:

01. Kicking Up Dust
02. Mercy
03. Best of Me
04. Dangerous
05. Wanted Dead or Alive (Bon Jovi cover)
06. Unbreakable
07. Staring At The Sun
08. Better Days

 

Inglorious

Ancora terra d’albione e nuovamente una band esordiente a prendere possesso della scena.
Dopo un breve e gradito momento dai toni AOR, è l’hard rock ruvido e potente ad entrare in azione con gli Inglorious, gruppo ammantato di grandi aspettative che, non a caso, è da più parti considerato quale astro nascente con prospettive di sicuro successo.

Solo due anni di attività, un disco d’esordio uscito a febbraio e 45 minuti a disposizione. Tutto più che sufficiente nel mettere in chiaro come le speranze siano ben riposte.
Protagonista di una performance a tratti entusiasmante, il corpulento singer e fondatore Nathan James si rivela essere l’arma definitiva di un gruppo di musicisti che non inventa nulla di nuovo, ma butta in campo smisurata convinzione ed energia massiccia.
Impreziosita da una coppia di cover (“I Surrender” di Russ Ballard e “Girl Goodbye” dei Toto), la prima uscita italiana degli Inglorious è un vero successo, tanto quanto lo è stato il fulminate disco di debutto.
Futuro antico, futuro di grande fascino!

Setlist:

01.Until I Die
02. Breakaway
03. I Surrender (Russ Ballard cover)
04. High Flying Gypsy
05. Warning
06. Holy Water
07. Girl Goodbye (Toto cover)
08. Girl Got a Gun
09. Unaware

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Terry Brock

Per chi lo ha sempre seguito in ogni progetto ed uscita musicale sin dagli esordi, il vedere Terry Brock dal vivo può assumere i connotati di una sorta di visione mistica, di quelle da stropicciarsi gli occhi.
Voce in qualche passaggio non più tonica come un tempo, band di supporto valida (Ale Del Vecchio alle tastiere, Anna Portalupi al Basso, Francesco Marras alla chitarra e Edo Sala alla batteria sono solide garanzie) ma tutto sommato ferma sulle proprie posizioni ed alcuni momenti un po’ statici. Non importa, Terry Brock è un asso incommensurabile che con la sola presenza sul proscenio si rivela capace di scatenare entusiasmo.
Una partenza di concerto non proprio arrembante, concede invece grandi momenti d’esaltazione nel finale: “Where Are They Now” (e le nostre corde vocali se ne sono andate!), “Only a Fool” (qui non proprio perfetta la voce di Terry, purtroppo), “Where Do We Go From Here”, “Love Lies Dying” – pezzi recuperati dalla grandezza degli enormi Strangeways – insieme alla bellissima “Jaded”, i passaggi clou di una performance che ad alcuni sarà potuta apparire magari non brillantissima, ma che ci ha comunicato emozioni assortite come poche altre volte nell’arco della giornata.
Da segnalare la cover di “Promised Land” dei Giant, eseguita con la collaborazione di Mark Mangold alle tastiere ed il brevissimo saluto al compianto Prince, omaggiato con qualche nota della celebre “Purple Rain”, a suggellare uno show probabilmente più per inguaribili sognatori che per amanti dell’elettricità a tutta adrenalina.

Terry Brock: per noi un maestro davanti al quale, sempre, inchinarsi con grande rispetto.

Setlist:

01. Face in the Crowd
02. Another Chance
03. The Rain
04. No More Mr. Nice Guy
05. Promised Land  
06. Jaded  
07. Where Are They Now  
08. Only a Fool (With “Purple Rain”)
09. Where Do We Go From Here
10. Love Lies Dying

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The Defiants

Per chi invece, quell’adrenalina la bramava con forza, ecco manifestarsi per soddisfare ogni desiderio i gioviali e frizzanti The Defiants.
Side project che ha nei Danger Danger 2.0 (quelli dal ’92 in poi) la propria radice, il gruppo composto da Paul Laine, Bruno Ravel e Rob Marcello ha dimostrato con i fatti esibiti tramite un’esibizione esaltante, d’essere dotato di un impensato affiatamento sul palco, fuso ad eccellenti ed indiscutibili doti artistiche.
Freschi autori di un brillante disco di debutto, i The Defiants in poco più di un’ora di concerto inanellano una serie di brani che trasportano l’uditorio in un crescendo di emozioni e momenti memorabili.
“Beat the Bullet”, “Grind” e “Dead Drunk and Wasted” alcuni degli highlights estratti dal passato, di fronte alle quali non sfigurano le nuovissime “Love And Bullets”, “Take me Back” e “Underneath The Stars” replicate dall’album appena uscito.
Non mancano nemmeno gli episodi recuperati dalla carriera solista di Paul Laine: “Dorianna” e “We Are the Young” (provenienti da “Stick Into Your Ears” del 1990) hanno rappresentato alcuni dei momenti più nostalgici dell’intero concerto.
Inattesa, infine, la furiosa cover di “Paradise City” dei Guns n’Roses a chiusura di show.

Ironici e divertenti (numerosi i siparietti scherzosi tra un pezzo e l’altro) ma al contempo carichi d’energia e pieni di vitalità, i The Defiants si sono rivelati tra le cose migliori dell’intero festival.
Quando l’esperienza è ancora esaltata dallo spirito genuino, può a volte succedere qualche piccolo miracolo.
Speriamo, davvero, che questo divertissement di tre vecchi compari possa in realtà riservare sviluppi futuri.
Eccellenti su disco, spettacolari dal vivo: una band pressoché perfetta!

Setlist:

01. Love and Bullets
02. Grind
03. We Are The Young
04. Take Me Back
05. Dead Drunk and Wasted
06. Waiting on a Heartbreak
07. Dorianna
08. Goin’ Goin’ Gone
09. Underneath the Stars
10. God Of Thunder
11. Beat the Bullet
12. Paradise City

 

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Graham Bonnet Band

Giù il cappello di fronte alla storia dell’heavy rock.
Rispetto e ancora tantissimo rispetto.

Anche se…
Diciamolo senza paura di urtare nessuno: la carriera di un maestro come Graham Bonnet è qualcosa di intoccabile che merita ogni possibile plauso e riconoscimento. Eppure, lo scorso 24 aprile qualcosa, forse, non è andato proprio per il verso giusto.
L’impressione complessiva maturata dalla performance del glorioso singer britannico e dei suoi compari di palcoscenico, infatti, si è rivelata a due facce.
Un impegno senza dubbio encomiabile, con un grande interprete che – per quanto attempato – ancora becca delle note stratosferiche. Di contro, una certa staticità di chi offre l’impressione di essere sul palco più per contratto che per reale voglia di esserci. Con lo stesso frontman che, di tanto in tanto, pure si concede qualche stecca clamorosa, specie verso la fine del concerto.

Intendiamoci, una carriera che si permette di piazzare sul piatto brani come “All Night Long”, “Night Games”, “Desert Song”, “Lost In Hollywood” ed il tormentone generazionale “Since You Been Gone” assume i contorni della leggenda. Ed una band che mette insieme alla bella e brava bassista Beth-Ami Heavenstone ed al guitar hero Conrado Pesinato, un animale tentacolare quale Mark Zonder (Fates Warning) alla batteria, non può che garantire totale e maiuscola affidabilità.
Pur tuttavia, l’idea di un concerto formalmente freddo, poco comunicativo, statico e talora non organico si è fatta largo sino a divenire, sul finale, una matematica certezza.
Forse pure un po’ penalizzata dalla posizione “ibrida” in scaletta (ne all’inizio, quando le forze sono ancora fresche, ne tra gli headliner, quando ci si attendono i fuochi d’artificio), alla Graham Bonnet Band purtroppo, quest’oggi, abbiamo preferito altri.

Sia chiaro in ogni caso: rispetto e ancora tantissimo rispetto.

Setlist:

01. Eyes of the World
02. All Night Long
03. S.O.S.
04. Stand in Line
05. God Blessed Video
06. Will You Be Home Tonight
07. Jet to Jet
08. Night Games
09. Suffer Me
10. Dancer
11. Love’s No Friend
12. Desert Song
13. Island in the Sun
14. Since You Been Gone
15. Assault Attack
16. Lost in Hollywood

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Trixter

Un evento nell’evento.
Trent’anni di attività (con una produzione, invero, parecchio esigua) e mai nemmeno una comparsata in Europa.
Ci ha pensato ovviamente la nostra Frontiers Records a risarcire il “danno”, portando la band del New Jersey su di un palco del vecchio continente per la prima volta in carriera.

Il quartetto guidato dal carismatico singer Peter Loran si fregia di un grande merito, quello di aver sempre mantenuto invariata la medesima line up sin dagli esordi. Un punto di forza assoluto che si evidenzia in particolar modo dal vivo, luogo in cui l’affiatamento tra i componenti può essere un fattore determinante per la buona riuscita di uno show.
E così è, a tutti gli effetti: sin dall’iniziale “Rockin To The Edge of The Night”, estratta dall’ultimo album “Human Era” edito nel 2015, l’hair metal di ottantiana memoria si fa largo a grandi passi, coinvolgendo in un sogno fuori dal tempo i presenti in sala.
Nel 1990 erano pezzi grossi, oggi mantengono un fascino inviolato che si riserva ai soli appassionati: poco importa, il divertimento che i quattro guasconi statunitensi riversano dal palco è davvero notevole e ribadisce, se mai fosse necessario, l’immortalità di un tipo di musica capace, sempre e comunque, di veicolare sensazioni positive e gioiose. Supportate, per altro, da una resa sul palco che non lascia spazio ad incertezze.
L’eccellente chitarrista Steve Brown, un vero giullare della sei corde, contribuisce a rendere ancora più spettacolare un evento che è tutto sorrisi e voglia di stare insieme. Una ricetta contagiosa che ammanta pezzi storici e nuovi tra i quali è impossibile non citare le anticamente straordinarie “Surrender”, “Heart of Steel”, “Line of fire” e “One In a Million” (un tuffo al cuore per i fan della prima ora), mescolate alle più recenti “Tattoos And misery”, “Machine” e “Not Like All The Rest”.

Una gioia per le orecchie, un balsamo per il morale, un nettare per il cuore.
Lieti ed orgogliosi di aver presenziato ed essere stati testimoni della prima uscita “continentale” di un gruppo che, con ogni probabilità, non rivedremo mai più da queste parti.

Setlist:

01. Rockin’ to the Edge of the Night
02. Heart of Steel
03. Tattoos & Misery
04. Play Rough
05. Road of a Thousand Dreams
06. One in a Million
07. Not Like All the Rest
08. Machine
09. Surrender
10. Rockin’ Horse
11. Human Era
12. Line of Fire
13. Give it to Me Good

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Talisman

Ci siamo emozionati, dobbiamo ammetterlo.
L’intro della titanica “Break Your Chains” ha smosso anche le membra di chi, pur stanco da una giornata intensa ad ascoltare hard rock, non ha potuto esimersi dal ruzzolare letteralmente sotto al palco per acclamare la grandezza di una band storica, guidata da un frontman, carismatico, assoluto ed inarrivabile come l’immenso Jeff Scott Soto.
Quanto lo abbiamo atteso questo momento, e finalmente, eccolo qua! Talisman!

“Due anni fa abbiamo tenuto un concerto dedicato alla memoria del nostro amico Marcel Jacob. Questa sera invece, è tutto solo per voi”.

Parole affettuose che incorniciano il momento clou di questo Frontiers Festival edizione 2016, destinato a rimanere nella memoria forse proprio per l’esibizione di un gruppo ormai sciolto da tempo ma richiamato per l’occasione ad onorare quello che è ormai l’evento più rappresentativo del settore.
Tirati a lucido e perfetti in ogni singolo frangente, Soto e compagni hanno dimostrato con i fatti d’essere una delle migliori live band ancora in circolazione. Merito certamente di un singer, come già detto, dalla caratura artistica stratosferica, dotato di ogni elemento utile nel renderlo unico: voce da Dio dell’Olimpo, capacità di stare sul palco da vero “animale”, carisma, feeling, simpatia ed estro interpretativo ai massimi livelli. Qualcosa di sovrannaturale.
Ma pure merito di un chitarrista fenomenale quale Pontus Norgren, di un batterista immarcescibile come Jamie Borger e della abilità ritmica di Johan Niemann, bassista degli Evergrey con il difficile compito di ricalcare con il dovuto rispetto proprio le orme del compianto Marcel Jacob, fondatore, sul finire degli eighties, del marchio Talisman.

Infarcita di tutto ciò che un vecchio fan potesse desiderare, l’esibizione di Soto e compagni passa in rassegna praticamente tutti gli highlights della carriera, passando dal funky rock di “Color My XTC” alle tinte melodiche di “Mysterious”, per poi addolcirsi con la stupenda “Just Between Us” e concedere un extra mai proposto dal vivo con “I’ll Be There For You”, in un saliscendi di emozioni sempre orchestrate con maestria e sicurezza.

Non mancano quindi un entusiasmante assolo di Norgren (una vibrante versione dell’Adagio di Albinoni) e le cover di “Frozen” di Madonna e “Crazy” di Seal, prima dei botti finali.
“Sorry”, “Dangerous” ed il grande hit “I’ll Be Waiting” (richiesta per tutto il tempo dalla platea ed urlata a squarciagola dall’intero parterre), chiudono la parte “lunga” del concerto.
Vulcanico come al solito Soto, prima impegnato a scorrazzare, microfono in mano, in mezzo al pubblico e poi intento a trascinare in scena Mario De Riso, uno dei principali artefici del Festival e dell’ascesa di Frontiers Records, per un improbabile duetto vocale.

Il tradizionale encore è infine riservato alla potente e melodica “Standin’ on Fire”, ennesimo estratto dal seminale disco d’esordio datato 1990. Sopresa finale, una fedelissima e sentita cover della celebre “Purple Rain” di Prince, questa volta eseguita per intero, con la voce di Soto a fare il bello ed il cattivo tempo.
Forse l’omaggio migliore tributato al folletto di Minneapolis nei giorni successivi alla sua triste dipartita.

Setlist:

01. Break Your Chains
02. Colour My XTC
03. Fabricated War
04. Mysterious (This Time It’s Serious)
05. Tears in the Sky
06. Just Between Us
07. I’ll B There 4 U
08. Tainted Pages
09. Guitar Solo
10. If u Would Only Be My Friend
11. Frozen
12. Crazy
13. Sorry
14. Dangerous
15. I’ll Be Waiting
 
Encore:

16. Standin’ on Fire
17. Purple Rain

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Si chiude così il terzo anno di Frontiers Festival, evento ormai consolidato che, purtroppo, riesce a sopravvivere per lo più grazie alla presenza di fan provenienti da paesi stranieri, riservando ai padroni di casa una risicata minoranza di pubblico.
Una quarta edizione è già in programma. Non sappiamo se si tratterà proprio del recentemente annunciato “Frontiers Metal Festival”, con una sterzata verso suoni più massicciamente heavy, o ancora di una tradizionale kermesse dedicata alla melodia. Quello che importa e poter comunque attendere con trepidazione un altro Festival targato Frontiers: la passione e lo spirito con cui la label partenopea porta avanti da anni il proprio credo musicale non può che meritare profondi consensi ed ampie congratulazioni.