Live Report – Frontiers Rock festival a Trezzo Sull’Adda (MI) – Terza Giornata

Di Marcello Catozzi - 11 Maggio 2014 - 12:00
Live Report – Frontiers Rock festival a Trezzo Sull’Adda (MI) – Terza Giornata

FRONTIERS ROCK FESTIVAL – DAY III

03/05/2014 @Live Club, Trezzo sull’Adda (MI)
 

 

Fin dal primo giorno del “Frontiers Festival” si sapeva che la vendita dei biglietti per il terzo atto di questa rassegna stava andando a gonfie vele. E infatti, dal numero delle auto presenti nei parcheggi intorno al Live fin dal primo pomeriggio si può desumere che le previsioni della vigilia saranno ampiamente confermate. La versione italica del più famoso e rodato “Fire Fest” che si tiene in terra britannica volge al termine e noi non vediamo l’ora di partecipare all’evento!

 

Siamo purtroppo giunti all’ultima giornata del Frontiers Rock Festival, ma la voglia di festa non accenna a diminuire; ed il modo migliore per dare fuoco alle polveri è chiamare sul palco i Crazy Lixx.
Gli svedesi, molto intelligentemente, decidono di occupare il tempo a loro disposizione sfoderando le loro hit più trascinanti e conosciute: dall’iniziale “Rock And A Hard Place”, alle altrettanto famose “Blame It On Love” e “21 ‘Til I Die”.
I Crazy Lixx, attualmente al lavoro sul nuovo album, dopo la delusione dell’ultimo “Riot Avenue”, hanno promesso di tornare alle sonorità che li hanno resi celebri.
Nell’attesa, di sicuro possiamo affermare che dal punto di vista live, i ragazzi di Malmo godono ancora di ottima salute, e sul palco di Trezzo l’hanno ampiamente dimostrato.

Setlist:

01. Rock and a Hard Place
02. Sympathy
03. Whiskey Tango Foxtrot
04. Lock Up Your Daughter
05. Riot Avenue
06. Blame It on Love
07. 21 Til I Die
08. Heroes Are Forever

Tutto è pronto per l’entrata in scena di Issa: la band è già schierata al completo, capitanata dal sempre presente Alessandro “Stakanov” Del Vecchio alle tastiere, con Stefano Scola al basso, Mario Percudani alla chitarra e Alessandro Mori alla batteria. Presenza scenica notevole, lunga chioma bionda, stivaloni neri e look “aggressive” che bilancia un viso dai tratti gentili, la star norvegese esordisce con la pomposa e ricca “Dream On”, un pezzo tipicamente “AOR”, palesando un’ottima forma vocale oltre a un ragguardevole appeal. Il menù prosegue con la più ritmata “Looking For Love”, dal secondo album “The Storm”, in cui Percudani ha modo di farsi apprezzare per le sue doti tecniche e per il gusto con il quale condisce sempre i suoi interventi chitarristici. Segue l’appetitosa “Angels Crying” (dal primo album) e la più sostenuta “Invincible”, tratta dal secondo disco dell’avvenente singer. Si continua con l’orecchiabile “I’m Alive”, con cui la prorompente nordica coinvolge una platea piuttosto carica. Per finire, come dessert viene servita la frizzante “Can’t Stop” (dall’omonimo album), che chiude una performance impeccabile assecondata dalla partecipazione totale dei presenti.

Setlist:

01. Dream On
02. Looking For Love
03. Angels Crying
04. Invincible
05. I’m Alive
06. Can’t Stop

L’avvicendamento dei vari protagonisti della serata avviene in modo fluido e in tempi brevi, segno di un’ottima organizzazione del personale tecnico che si adopera al fine di garantire il regolare svolgimento della manifestazione nel puntuale rispetto del programma.

Scocca l’ora di Jeff Scott Soto, che si fa precedere da un’intro suggestiva e penetrante, mentre i componenti della sua nuova band prendono posto. Il nostro eroe (ex Malmsteen, Talisman, Journey, ecc.), che il primo giorno si era esibito con i W.E.T., presenta una line-up di estrazione latino-americana: Jorge Salan alla chitarra e David Z al basso (dalla Spagna), BJ alla chitarra e alle tastiere e Edu Cominato alla batteria (dal Brasile). A termine dell’intro, il gruppo attacca con una botta di energia dirompente, mentre Jeff appare in scena scatenando il delirio dei fans. Con “Take You Down” Jorge Salan dà subito un saggio delle sue capacità tecniche, esibendosi in scale vertiginose che richiamano voli di calabroni e altre gradevoli acrobazie della mano sinistra, comunque sempre perfettamente incasellate, musicalmente parlando, nel gioco d’insieme della band. “21st Century” dà ulteriore conferma di questa compattezza di suono, tirata e robusta come piace a Jeff, che riesce immancabilmente ad amalgamare musicisti diversi confezionando prodotti di livello eccelso. Lo show prosegue con alcune perle del passato quali “Believe In Me” (non proposta in contesto “live” dal 2005), l’intensa “Holding On”, la celebre “Eyes Of Love”. Da sottolineare la presenza di uno “special guest” quale Joel Hoekstra, durante “Look Inside Your Heart”, seguita da una tiratissima “Soul Divine” in cui Jeff sfodera una performance di grande pathos. Il coinvolgimento del pubblico è molto forte e sentito, proprio per il carisma di cui è dotato il frontman, sempre capace di appassionare e trascinare come pochi. Il Medley che segue ne è la prova più lampante: “Break Your Chains”, “Day By Day”, “Give Me A Sign”, “Colour My XTC”, “Dangerous”, “Just Between Us”, “Mysterious”, “Frozen”, “Crazy”, per finire con “I’lle Be Waiting”, regalano emozioni a grappolo. Al termine di questo avvincente flash-back, un sudatissimo Jeff rivela che gli piacerebbe suonare per un’ora e 50 minuti anziché limitarsi ai 50 previsti e, grazie al rumoroso sostegno dei fans, ottiene un imprevisto quanto gradito “extra-time” dagli organizzatori (visto che siamo in tempi di proroghe), con gran felicità di tutti i presenti. E allora, di nuovo fuoco alle polveri con “Stand Up And Shout”, che ci riporta ai tempi di “Rock Star” (famoso “cult movie” del 2001), con Jorge Salan straordinario nel ricalcare alla perfezione il suono del riff terremotante che era stato della chitarra di Zakk Wylde.

Una degna, scoppiettante chiusura per un grande concerto.

Setlist:

01. Take You Down
02. 21st Century
03. Believe In Me
04. Holding On
05. Eyes Of Love
06. Look Inside Your Heart
07. Soul Divine
08. Medley (Break Your Chains, Day By Day, Give Me A Sign, Colour My XTC, Dangerous, Just Between Us, Mysterious, Frozen, Crazy)
09. I’ll Be Waiting
10. Stand Up And Shout

Nel giro di una quindicina di minuti il palco è pronto ad accogliere John Waite, classe 1952, assurto agli onori delle cronache prima come cantante e bassista di The Babys (anni 70) e, poi, come singer dei Bad English (fino agli inizi degli anni 90), in compagnia di un chitarrista che risponde al nome di Neal Schoen. Stavolta lo affianca un certo Keri Kelly (ex Alice Cooper), con look sbarazzino e mano veloce. Lo show si apre con “Change” (che risale al 1982), accolta da un’ovazione e col ritornello cantato a gran voce dai fans. A seguire, la tosta “Back On My Feet Again” e la sempreverde “Rough And Tumble”, in cui John palesa una grinta strabiliante, che fa da contrappunto al suo abbigliamento (un elegante completo nero da ricevimento matrimoniale). Ma si sa: l’abito non fa il monaco, e quindi godiamoci la celeberrima “When I See You Smile” (successone targato Bad English del 1989), in cui – incitato da un gasatissimo Waite – canta tutto il pubblico al quale, nella seconda parte della song, si unisce la band con un sostenuto apporto strumentale. Dopo questo splendido momento nostalgico, ecco un’accelerata improvvisa con la tiratissima “Saturday Night” seguita da “Everytime I Think Of You” (The Babys) e, ancora dalla produzione Bad English, la grintosa “The Best Of What I Got”, in cui Keri Kelly dà un saggio di tecnica ed espressività. Arriva anche il momento di uno dei maggiori successi del singer britannico, ovvero “Missing You” (invocato da molti), che ci riporta al 1984, all’album “No Brakes”. Poi l’inossidabile John ci propone un’altra song di The Babys (“Head First”) e, tanto per finire con il botto, una fantastica e sorprendente “Whole Lotta Love”, nella quale Waite – degnamente appoggiato dal suo gruppo – si diverte dando sfogo alla sua vena “Hard Rock” suggellando, con questo episodio celebrativo, uno show davvero speciale e, dal modesto punto di vista di chi scrive, migliore di ogni aspettativa.

Setlist:

01. Change
02. Back On My Feet Again
03. Rough And Tumbel
04. When I See You Smile
05. Saturday Night
06. Everythime I Think Of You
07. The Best Of What I Got
08. Missing You
09. Head First
10. Whole Lotta Love

E’ ora il turno dei gloriosi Danger Danger, sbarcati dagli anni 80 (epoca d’oro del cosiddetto “Pop Metal” o “Hair Metal” che dir si voglia) e determinati a spaccare fin dai primi momenti. Quasi trent’anni di carriera e mai nemmeno uno show in terra tricolore: grande attesa dunque, per quello che sin dagli annunci era considerato come uno dei pezzi forti dell’intera manifestazione.

Considerando che l’ultimo album prodotto dalla band è ormai vecchio di un lustro, la curiosità di poter apprezzare una band tanto atipica quanto dal futuro incerto è notevole. Per fortuna le delusioni non sembrano proprio essere plausibili in questo fiammegiante Frontiers Festival. Poley, Ravel e compari difatti calano immediatamente un tris vincente: “Rock America”, “Boys Will Be Boys” e “Hearts On The Highway” (dall’ultimo cd “Revolve”) mostrano una band in grande spolvero, con Rob Marcello sugli scudi, sempre pronto a impennarsi con gli acuti lanciati dalla sua chitarra imbizzarrita. C’è anche il tempo di un break, con un brindisi celebrativo on stage offerto da Frontiers. Si procede quindi nel segno del ritmo con un altro tris di assi: “Don’t Blame It On Love”, “Bang Bang” e “Beat The Bullet” accendono la platea, mentre la commovente “I Still Thinkin About You” trasmette good vibrations a tutti i rockettari che, dietro un aspetto truce, nascondono un cuore tenero. Durante la ballad Ted Poley scompare dalla scena, per riapparire cantando tra la folla, illuminato dai flash delle macchine fotografiche e, facendosi largo fra i numerosi fans nella sorpresa generale, guadagna a fatica il palco. Chiude la set-list la potente “Crazy Nites”, seguita dalle celebri “Monkey Business” e dall’immancabile anthem “Naughty Naughty”, il brano che da sempre più di ogni altro rappresenta i Danger Danger, eseguito con i cori che nella circostanza vengono ampliati e rafforzati dal pubblico.

Poley e soci hanno davvero offerto l’impressione di divertirsi e stare ancora molto bene insieme sul palco. La sorpresa poi, nel vedere così tanta gente in terra italiana, pronta ad intonare i loro brani inneggiandone il nome era ben visibile negli occhi a tratti stupiti di tutta la band. Certificata la fanbase così solida e vista l’accoglienza calorosa, i quattro Dangers si saranno convinti del fatto che il momento di abbandonare le scene non è ancora arrivato?

Setlist:

01. Rock America
02. Boys Will Be Boys
03. Hearts On The Highway
04. Don’t Blame It On Love
05. Bang Bang
06. Beat The Bullet
07. I Still Thinkin About You
08. Crazy Nites
09. Monkey Business
10. Naughty Naughty

Dopo qualche ora di musica e decibel a volontà, le povere colonne vertebrali di noi vecchi rocker cominciano a scricchiolare, lanciando i primi segnali di cedimento; intanto si avvicina il momento del penultimo concerto della serata, che pare proprio destinata a proseguire sull’onda di un entusiasmo sempre crescente, visto il livello di qualità finora espresso dagli artisti.

Il succulento programma della serata prevede ora la partecipazione di un’altra Superband, protagonista della scena mondiale fin dagli anni 80 e freschissima autrice del nuovo “Better Days Comin'”, uscito giusto qualche giorno prima. Kip Winger (che pure vanta dei trascorsi al cospetto di Alice Cooper, a inizio carriera) e i suoi sopraggiungono col buio e accendono subito la notte con una raffica di canzoni di notevole potenza e tiro, quali: “Midnight Driver Of A Love Machine”, “Madleine”, “Hungry”, “Pull Me Under”, “Blind Revolution Mad”, “Rat Race”. La resa esecutiva è impeccabile e di fortissimo impatto sonoro. Il leader, classe 1961, appare in gran forma: movenze da vecchio marpione e sguardo furbesco, con un accenno di sorriso complice si gode lo spettacolo del front row, dove alcune fans si sbracciano urlando a squarciagola. “Deal With The Devil” porta una ventata di vecchio sano “Hard Rock” e “Stone Cold Killer” scatena ulteriore entusiasmo. Dopo questo trionfo di ritmo, si rallenta un po’ l’andatura con un momento soft che riporta alla memoria gli antichi scenari AOR tipici del primo periodo di vita della band: Kip si siede alle tastiere e intona “Miles Away” (che risale al 1991) e, successivamente, “Headed For A Heartbreak”, tanto per addolcire un’atmosfera che si era fatta rovente. Si riparte con due song del 1990, tratte dall’imprescindibile “In The Heart Of The Young”: “Can’t Get Enuff” e “Easy Come, Easy Go”, timbrate a fuoco dalle schitarrate finali di marca Reb Beach, che si produce in un assolo dallo stile inconfondibile. E mentre i due compari (Kip e Reb) si concedono un “selfie” (istantanea con pubblico sullo sfondo, destinata a comparire su Facebook il giorno dopo), la band porta a termine una fiammante performance con altri due brani del passato, vale a dire “You Are The Saint, I’m The Sinner” e “Seventeen”. Conclusa la fatica, il quartetto si congeda, vistosamente felice di leggere negli occhi della gente tanta soddisfazione.

Setlist:

01. Midnight Driver Of A Love MAchine
02. Madleine
03. Hungry
04. Pull Me Under
05. Blind Revolution Mad
06. Rat Race
07. Deal With The Devil
08. Stone Cold Killer
09. Miles Away
10. Headed For A Heartbreak
11. Can’t Get Enuff
12. Easy Come Easy Go
13. You Are The Saint I’m The Sinner
14. Seventeen

In attesa dell’ultimo atto di questa straordinaria rassegna, che si fa sempre più avvincente col passare delle ore, si prepara l’allestimento per gli Headliner. Frontiers Records ci serve i Night Ranger sul suo ricco vassoio in esclusiva, trattandosi – in questa imperdibile occasione – dell’unico show europeo del 2014. La leggendaria pattuglia statunitense non si fa attendere e sale prepotentemente alla ribalta, con il drum kit di Kelly Keagy che troneggia sulla destra del palco e la bionda chioma di Joel Hoekstra che si agita incontenibile in lungo e in largo. Si attacca con “Touch Of Madness”, sparata a manetta e impreziosita dalle terribili sciabolate di Brad Gillis, impressionante sia nella tecnica sia nel suono, quanto mai penetrante ed esclusivo, per non parlare dello stile e del sapiente, personalissimo uso della leva. Dopo “Sing Me Away”, è la volta di “Lay It On Me”, il cui ritornello è cantato a gran voce dall’intera platea. In “Sentimental Street” il pittoresco Eric Levy accompagna alle tastiere il sorprendente drummer, che denota una voce egregiamente impostata. Si continua con un vecchio successo dei Damn Yankees: “Coming Of Age”, seguito da “The Secret Of My Success” e da “High Road” (seconda volta dal vivo nella storia). In “Eddie’s Coming Out Tonight” c’è un pirotecnico botta e risposta tra chitarre, che culmina con un assolo all’unisono. Poi il pubblico si eccita quando Jack Blades presenta “High Enough” (altra hit dei Damn Yankees), eseguita con il supporto delle chitarre acustiche. Kelly Keagy dà un’altra dimostrazione delle sue qualità vocali in “Goodbye”, seguita da “Four In The Morning (I Can’t Take Anymore)”. Poi il pubblico si entusiasma alle prime note di “When You Close Your Eyes”, guarnita dai nitriti della leva demoniaca di Brad Gillis e, per finire, un’esplosiva “Don’t Tell Me You Love Me”, inframmezzata da un accenno di “Highway Star”, con Jack che precisa: “Questo è il Rock che amiamo e che ci piace suonare”. A questo punto, lo stesso singer scherza sul rito del bis, dicendo che si eviterà la scena tipica del ritorno sul palco; si chiude, quindi, senza ulteriori indugi con una doppietta devastante: le indimenticabili “Sister Christian” e “(You Can Still) Rock In America” (tramutata nella parte finale dell’esecuzione, in un beneaugurante “You Can Still Rock in Italy!”) danno la botta finale alle orecchie, con l’incontenibile Brad Gillis che assesta le ultime distruttive mazzate e la band che raccoglie i plausi e le ovazioni stra-meritate di un pubblico in totale delirio.

Setlist:

01. Touch Of Madness
02. Sing Me Away
03. Lay It On Me
04. Sentimental Street
05. Coming Of Age
06. The Secret Of My Success
07. High Road
08. Eddie’s Coming Out Tonight
09. High Enough
10. Goodbye
11. Four In The Morning (I Can’t Take Anymore)
12. When You Close Your Eyes
13. Don’t Tell Me You Love Me / Highways Star
14. Sister Christian
15. (YOU Can Still) Rock In America

Le riflessioni conclusive…

Spente le luci e radunate le idee, quello che rimane dell’incredibile kermesse organizzata per la prima volta da Frontiers Records è, più di ogni altra cosa, la tanta soddisfazione.
Magnifico il poter vedere, per uno, due o tutti e tre i giorni, alcune delle più grandi realtà storiche degli scenari Hard Rock e AOR d’ogni tempo, tutte insieme. Straordinario poter constatare come il rock mantenga giovani e come gli “antichi” eroi siano ancora in ottima forma anche oggi.
Altrettanto bello, notare giovani leve, sul palco e nel pubblico, pronte a raccogliere il testimone dei vecchi leoni.

Nessuno forse, nemmeno la stessa label, poteva davvero sperare in un successo di tale portata sin dalla prima edizione del proprio festival di etichetta: un’organizzazione perfetta, una sala ideale, performance delle band costantemente livellate verso l’alto e grande risposta di pubblico, realmente oltre le aspettative.
Nei tre giorni di concerti, non abbiamo potuto classificare una performance fiacca o un momento sottotono, un gruppo che abbia tradito le attese presentandosi on stage meno che pronto a dare il meglio o atteggiamenti che non fossero in linea con il clima di festa insito nello spirito della manifestazione.
Uno spirito che è stato allegria, energia, passione, vitalità, simpatia e voglia di ascoltare grande musica.

Serafino Perugino, Elio Bordi ed i vertici di Frontiers hanno tutta la nostra riconoscenza, nella speranza che il Frontiers Festival diventi, anche nei prossimi anni, una piacevolissima consuetudine della primavera concertistica italiana.

Live Report a cura di Marcello Catozzi, Fabio Vellata e Alex Casiddu.

Foto a cura di Fabio Vellata