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Live Report: Hellfest 2019 21-23/06/2019

Di Davide Sciaky - 22 Luglio 2019 - 10:00
Live Report: Hellfest 2019 21-23/06/2019

C’è poco da fare, l’Hellfest si conferma anno dopo anno un festival di altissimo livello, facilmente tra i 2-3 migliori d’Europa e forse del Mondo per quanto riguarda il Metal.
Organizzazione impeccabile, folle oceaniche gestite alla perfezione, sound quasi sempre ottimo e gestito benissimo evitando che da un palco si senta la musica di un altro.
Anche la scelta di cibo è molto varia e, avendo ormai da alcuni anni introdotto il sistema “cashless” che permette di caricare credito sul wristband che verrà poi usato per tutte le spese dentro all’area festival, le code scorrono sempre rapide.
Ovviamente questo è il contorno, ma la scelta delle band presenti ha bisogno di pochi commenti: cosa dire di un festival che porta Slayer e EmperorKiss ToolWhitesnake e Def Leppard, senza dimenticare nomi più piccoli ma di qualità come Conan Municipal Waste? Come ogni anno la lineup è il sogno di ogni amante del Metal e del Rock.
In mezzo a tante note positive purtroppo ce n’è anche una stonata: gli headliner del primo giorno, i Manowar, cancellano il loro show la mattina stessa senza spiegazioni se non dicendo che l’organizzazione del festival gli avrebbe impedito di mettere in piedi lo “show epico” che volevano suonare. Quale che siano le ragioni ed indipendentemente da di chi sia la colpa, rimane l’amaro in bocca per la defezione di uno dei gruppi più attesi del festival per molti spettatori.
Ad eccezione di questo incidente, comunque, il festival è impeccabile e avrà soddisfatto sicuramente le decine di migliaia di spettatori che vi hanno partecipato.

 

Report a cura di Davide Sciaky e Marino Tarabocchia
Foto a cura di Davide Sciaky

Conan:

I Conan riempiono il tendone del Valley stage, non solo di pubblico (nonostante sia abbastanza presto) ma anche con le note basse e tenebrose del loro doom di nuova generazione. Piuttosto recenti nella scena (fondati nel 2006), non hanno niente da invidiare a certi gruppi più vecchi: i loro pezzi sono solidi, la rendita live è buona e il pubblico apprezza. Suonano 40 minuti, presentando un repertorio basilare ma efficace, facendo sentire la potenza del suono del Valley ben oltre i confini del tendone. 

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Demons & Wizards:

Il ritorno dei Demons & Wizards probabilmente fa il paio con la recente reunion degli Helloween come evento più atteso degli ultimi anni da tutti gli amanti del Power Metal. La band di Hansi Kürsch (Blind Guardian) e Jon Schaffer (Iced Earth) era sparita dai radar dopo la pubblicazione del secondo disco, nel 2005, e aveva suonato dal vivo solo per un breve tour nel 2000. Per questo nuovo tour i due musicisti si sono circondati da una band che rende ancora più vero il soprannome Iced Guardian: alla chitarra Jake Dreyer (Iced Earth), al basso Marcus Siepen (Blind Guardian), alla batteria Frederik Ehmke (Blind Guardian) e alla tastiera Joost Van Den Broek (collaboratore di lunga data di Ayreon). Le aspettative erano alte e i Demons & Wizards le soddisfano ampiamente: la voce di Hansi è potente e tocca note altissime che forse non riusciva a toccare da tempo, la band è coesa ed il sound massiccio. Insieme alle canzoni dei Demons, nella setlist viene fatto spazio anche a due cover, ‘Burning Times’ degli Iced Earth e ‘Welcome to Dying’ dei Blind Guardian. L’esibizione si conclude con una ‘Fiddler in the Green’ strappalacrime, ciliegina sulla torta di un concerto ottimo anche se troppo corto.

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Graveyard:

Il tendone del Valley, creando un effetto fornace sotto il sole battente, funge da ottimo setting per le note basse e tonanti del Rock vecchia scuola dei Graveyard. Il suono tendente allo Stoner, anche se più semplice di molti altri gruppi degli ultimi tempi, crea un’atmosfera quasi rilassata, facendo passare in fretta il tempo. Il problema del palco, i bassi che sovrastano qualsiasi altro suono, rendono difficile stare nelle prime file. Ciò porta la folla a distribuirsi più omogeneamente nel tendone, rendendo più facile godersi il concerto. Una pausa rilassante prima di immergersi nel caos dei Main Stage, consigliabile nelle ore calde di un festival con queste line-up.

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Venom Inc.:

I Venom Inc. non sono altro che la reunion della formazione del 1989-1992 dei Venom (meno Abbadon, estromesso l’anno scorso), e dalla band non ereditano solo il nome ma anche la ferocia, e la maggior parte della setlist. Il palco del Temple è perfetto per la band inglese dato che le luci sono disposte a forma di croce rovesciata, una scenografia molto adatta per il gruppo che inizia suonando ‘Ave Satanas’. Da “Avé”, unico disco pubblicato finora, suonano una manciata di pezzi, ma il grosso della setlist si concentra su pezzi dei Venom, e d’altronde questo è quello che vuole sentire il pubblico. Canzoni come ‘Lady Lust’ e ‘Witching Hour’ scatenano sulla folla la grezza furia dei pionieri del Metal estremo, ma la reazione più grande da parte dei fan si vede con due classici immortali, ‘Countess Bathory’ e ‘Black Metal’. Il concerto è divertente e riporta tutti i presenti ai fasti dei Venom, e se c’è chi potrebbe bollare i Venom Inc. come un’operazione nostalgia la risposta non può che essere che se la nostalgia è così cattiva e suonata nel modo giusto, a noi va più che bene.

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Dropkick Murphys

Quando i Dropkick Murphys salgono sul palco, il pubblico balla: fin dalla prima nota, da un lato all’altro dell’arena gremita, il pubblico si muove per tutta l’ora e mezzo di concerto. La scaletta è serrata, 19 pezzi si susseguono uno dopo l’altro: per prime arrivano le cornamuse, subito seguite dai tamburi e dalla batteria, per poi fondersi alle chitarre. Con ‘Cadence To Arms’ e l’urlo di benvenuto della folla salgono sul palco gli 8 di Boston, per poi attaccare subito con ‘The boys are back’. Fin da subito Ken Casey, primo cantante, scende dal palco per cantare assieme alla folla dalle transenne, mentre gli altri membri corrono e saltano per il palco. Tra classici propri e classici del folklore irlandese passano per ‘Johnny I Hardly Knew Ya’, ‘The Irish Rover’, ‘State of Massachusetts’ e la cover di ‘I Fought the Law’. Per tutto il concerto, sia durante che tra una canzone e l’altra, i membri del gruppo si muovono sul palco, incitano la folla e non mancano di fare qualche accenno a politica e attualità. Quella che sembra la chiusura del concerto, con ‘Rose Tattoo’ e ‘Until the Next Time’, lascia più di qualcuno in lacrime sui volti del pubblico, prima che parta ‘I’m Shipping up to Boston’ a dare l’ultima botta di adrenalina, lasciando alla fine il pubblico elettrizzato e entusiasta. 

 

Hellhammer:

Ufficialmente etichettato “Hellhammer performed by Tom Warrior’s “Triumph of Death””, sul Temple vediamo salire Tom Warrior con il suo nuovo progetto che vuole tributare la sua prima band, i leggendari Hellhammer. Particolarità della band è che è per metà italiana, infatti troviamo al basso Mia Wallace (recentemente entrata nella band di Abbath) e Alessandro Comerio (Forgotten Tomb) alla batteria, insieme al tedesco Michael Zech (Secrets of the Moon) alla chitarra. La scaletta copre l’intera (breve) carriera della band svizzera, tra ‘Maniac’ e ‘Decapitator’, ‘Aggressor’ e ‘Messiah’, e tra queste si fa spazio anche ‘Visions of Mortality’, pezzo di un’altra leggendaria band di Warrior, i Celtic Frost. Dopo di questa canzone, i Triumph of Death suonano la canzone che dà il nome alla band, concludendo un’esibizione interessante: molto bello poter sentire Tom Warrior su questi pezzi, ed in generale la performance di tutti i musicisti è molto buona, ma il leggio da cui il cantante legge i testi spezza un po’ l’atmosfera malvagia della musica degli Hellhammer. Qualche rifinitura ed i Triumph of Death diventeranno un’ottima tribute band di lusso.

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Gojira:

L’ultimo concerto della serata (in contemporanea con quello di King Diamond) è uno spettacolo per gli occhi.Nel buio della notte, l’insieme di luci e immagini e i suoni a volte incalzanti a volte soffusi creano un atmosfera in cui è estremamente facile perdersi e lasciarsi trasportare verso lidi ignoti. Ovviamente il pubblico è numeroso nonostante l’ora tarda: essendo uno dei gruppi di punta della scena metal francese, per molti presenti si tratta dei veri headliner della serata (soprattutto vista la defezione dei Manowar).La scaletta, iniziando con ‘Oroborus’ e includendo ‘Flying Whales’, ‘L’Enfant Sauvage’ , ‘The Shooting Star’, comprende due intermezzi che anticipano i due encore, in cui suonano vari pezzi quali ‘Vacuity’ e concludono con ‘The Gift of Guilt’. Il concerto è complesso e articolato, i suoni ottimi e le immagini sugli schermi integrano e completano lo spettacolo. Il consiglio di vedere i Gojira in Francia, se c’è l’occasione, non viene dato a caso, evidentemente. 

 

King Diamond:

Il primo concerto del tour estivo del Re Diamante regala non poche perle.
Arrivando davanti al palco troviamo una nuova coreografia con lo stage arrangiato su tre piani: la band rimane al “piano terra”, sul piano superiore è posizionata la batteria, e sull’ultimo piano il Re sale spesso a dominare il pubblico dall’alto.
I musicisti sono impeccabili, Andy LaRoque su tutti, e King Diamond canta alla grande: nonostante sia la prima data da mesi la sua voce non perde un colpo e tutti i falsetti sono impeccabili. La setlist è piena di sorprese, su tutte ‘Masquerade of Madness’ primo nuovo pezzo in 12 anni che viene qui suonato per la prima volta. Troviamo poi canzoni come ‘The Invisible Guests’, suonata l’ultima volta nel 2006, e due grandi sorprese con ‘Behind These Walls’ suonata per la prima volta a 29 anni dalla sua pubblicazione, e ‘The Lake che era stata suonata l’ultima volta nel 1986.
Insomma, una grande esibizione con una setlist piena di sorprese, King Diamond ci ricorda che è il Re non per caso.

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