Live Report: Hellfest – 21/22/23 Giugno 2013 – DAY 1

Di Orso Comellini - 28 Giugno 2013 - 7:00
Live Report: Hellfest – 21/22/23 Giugno 2013 – DAY 1

LIVE REPORT – HELLFEST – CLISSON (FRANCIA) – 21/22/23 GIUGNO 2013

Dopo l’esaltante edizione dello scorso anno (nonché quella altrettanto affascinante dell’anno precedente) tornare ancora una volta in terra francese era diventata quasi una promessa fatta ormai un anno orsono. Vuoi per la mole indescrivibile di band (più di 150) di ogni genere e provenienza scelte accuratamente, vuoi per un’organizzazione in grado di far impallidire qualsiasi alternativa in ambito nazionale, anche quest’anno abbiamo fatto armi e bagagli e ci siamo diretti alla volta di Clisson certi che la lunga e faticosa trasferta verrà ampiamente ripagata.

Report a cura di Orso Comellini

 

Come è consigliabile fare, siamo partiti due giorni prima per arrivare nel primo pomeriggio di giovedì, così da acclimatarsi, piantare la tenda in posizione favorevole nell’immenso campeggio diviso in zone, andare al vicino supermercato per fare scorte di cibo e bevande a prezzi contenutissimi e recuperare le forze in vista dello start-up. In un’area adiacente al campeggio sono stati allestiti stand di vario tipo e il Metal Corner, dove si esibiranno promettenti band locali, oltre a dj-set fino a tarda notte, come riscaldamento.

 

 

VENERDI 21 GIUGNO

La giornata di venerdì è caratterizzata da una presenza massiccia di band thrash metal sul secondo mainstage (e date le inclinazioni del sottoscritto non potevo chiedere di meglio), ma pure gli altri palchi presentano diverse esibizioni d’eccellenza per accontentare i gusti di tutti. La prima esibizione alla quale assistiamo è quella dei 7 WEEKS, promettente band stoner francese fresca di debutto, “Carnivora”, sotto il tendone del Valley (stage dedicato principalmente a doom, stoner e affini). Pur non brillando per originalità, dato che la loro musica spesso rimanda a gruppi come Monster Magnet e Kyuss, tra gli altri, sfoggiano una discreta freschezza compositiva. Interessante l’apporto del tastierista che dona alle canzoni quel pizzico di psichedelica nei passaggi chiave e durante l’esecuzione della conclusiva “Four Again” imbraccia il basso fino a quel momento appannaggio del cantante, per permettere a quest’ultimo di sfoderare la seconda chitarra. Archiviato questo piacevole, anche se un po’ acerbo, antipasto, ci dirigiamo verso il Mainstage 1 dove si esibiranno i rocker britannici BLACK SPIDERS. Il combo d’oltremanica propone un energetico rock/hard rock a metà strada tra le classiche sonorità inglesi e le melodie catchty e sleazy a stelle e strisce, facendosi notare per l’uso di ben tre chitarre che rendono molto robuste le loro ritmiche. Bella poi la voce del cantante Pete “Spider” Spiby, perfettamente a suo agio sulle assi di un palco. Grazie anche a una valida sezione ritmica l’esecuzione dei loro brani più rappresentativi come “Just Like A Woman” e “KISS Tried To Kill Me” risultano piuttosto coinvolgenti. Attesa in maniera spasmodica poi l’esibizione dei VEKTOR, provenienti da Tempe (Arizona), dato che, come ricorda il cantante/chitarrista DiSanto, questa è la loro prima esibizione europea essendo saltata la partecipazione al Keep It True del 2011. La giovane band statunitense, di recente entrata nel roster della Earache, ha saputo affermarsi come una delle più promettenti e innovative band nel panorama (progressive) thrash mondiale, grazie a due eccellenti album come “Black Future” e “Outer Isolation”, diventati in breve tempo oggetti di culto tra gli appassionati. La loro scaletta non a caso è perfettamente bilanciata alternando brani dai due lavori. La partenza è di quelle che non lasciano scampo, tanto che senza praticamente proferire parola snocciolano “Cosmic Cortex” e “Black Future” unite tra loro, per un quarto d’ora circa di headbanging furioso, con un occhio sempre rivolto alla complessità dei passaggi e degli innumerevoli cambi di tempo tale da lasciar sbalorditi, qui eseguiti senza la minima sbavatura. Lo show poi prosegue con brani molto eterogenei che mettono in mostra l’enorme potenziale di un gruppo che richiama sì alla mente il suggestivo moniker dei Voivod, ma che ha saputo distinguersi nettamente per personalità. Da incorniciare, in particolare, l’esecuzione della progressiva “Tetrastructural Minds”, evidente dimostrazione che i Nostri se la cavano egregiamente anche quando non spingono sull’acceleratore, e le contaminazioni lisergiche di “Deoxyribonucleic Acid”. La loro è stata senz’altro una delle più emozionanti e avvincenti esibizioni di questa edizione dell’Hellfest, inutile girarci intorno, in grado di raccogliere consensi anche al di fuori di un’audience composta dai più feroci thrasher, data l’ampiezza della loro proposta, tra sfuriate al fulmicotone e costruzioni dissonanti o barocche che catapultano l’ascoltatore nelle più remote profondità siderali. Colpisce soprattutto il costante sorriso stampato sui loro volti, segno che prima di tutto si divertono a suonare e credono molto nella bontà della loro proposta, tanto da ostentare una certa sicurezza, pur mantenendo sempre la dovuta umiltà.

Dato il tour de force che ci attende nel pomeriggio, decidiamo di concederci una pausa per rifocillarci mentre sul palco principale si esibiscono gli HARDCORE SUPERSTAR, band hard rock/glam svedese che fa valere tutta la propria esperienza in uno show breve ma intenso che si chiude con il loro singolo di successo “We Don’t Celebrate Sundays”, cantato a squarciagola dai presenti. Interessante constatare come tendano a sembrare sempre di più, specie dal vivo, la versione europea di band come Tesla e Mötley Crüe. È il turno poi dei thrasher californiani HEATHEN, una band che dal vivo ormai è una certezza e che è stata in grado di ritornare dopo lo scioglimento con un album dannatamente convincente come “The Evolution Of Chaos”, dal quale estraggono i primi tre brani, come invero siamo piuttosto abituati, che dal vivo in ogni caso garantiscono adrenalina e partecipazione. Hanno pensato bene poi di inframmezzare due dei loro principali classici come “Hypnotized” e “Death By Hanging” che producono più di un focolaio di pogo e l’assoluta partecipazione del pubblico ai cori. Maiuscola, al solito, la prova del frontman David White nel coinvolgere i presenti e soprattutto della consolidata coppia di asce Kragen Lum e Lee Altus, il quale riesce magistralmente a dividersi tra Heathen ed Exodus senza il minimo calo di tensione. Neanche il tempo di prendere fiato che sul palco principale salgono gli storici SAXON per presentare il loro ultimo lavoro “Sacrifice”. La loro è un’esibizione irreprensibile che testimonia senza ombra di dubbio lo stato di forma attuale e la bontà delle loro più recenti composizioni. Non mancano ovviamente brani immortali come “Motorcycle Man”, “Heavy Metal Thunder”, “Power And The Glory”, “Denim And Leather” e “Princess Of The Night”, per la gioia sia dei più giovani che magari non hanno avuto alter occasioni di vederli live, sia dei più fedelissimi sostenitori. La chiusura poi è affidata all’immancabile “Wheels Of Steel” cantata all’unisono dai presenti incitati continuamente dall’instancabile Biff Byford. Decisamente evitabile, invece, l’esibizione degli HELLYEAH dell’ex-Pantera Vinnie Paul, che scorre via monotona e noiosa senza particolari picchi o momenti da ricordare. Non particolarmente avvincente, purtroppo, anche l’esibizione degli EUROPE, gruppo che pare fin da principio un po’ scarico rispetto ad altre recenti esibizioni nelle quali invece si erano messi in luce per brillantezza, nonostante l’età cominci a farsi sentire. Non del tutto convincente, perciò, l’esecuzione di cavalli di battaglia come “Superstitious” e “Rock The Night”, tra le altre, che un tempo avrebbero fatto venire giù stadi interi. Piacevole invece il ripescaggio di brani come “Scream Of Anger” e “Girl From Lebanon” dai loro album di maggior successo. Non poteva mancare poi in chiusura “The Final Countdown”, brano che riesce sempre a fare la sua figura, anche perché l’esecuzione è davvero impeccabile (impressionante come John Norum non sbagli mai una nota del bel solo).

Si può dire divisa in due tronconi la successiva esibizione dei TESTAMENT, con una prima parte caratterizzata dal materiale degli ultimi due album della reunion, con brani come “More Than Meets The Eye” e la battagliera “True American Hate”, e la seconda incentrata sui classici dei primi tre album, in particolare. Convincano o meno le loro ultime produzioni, dal vivo il combo di Berkeley si conferma una macchina da guerra con una potenza che sembra davvero schiacciare l’ascoltatore a terra con la loro pesantezza, merito anche di un Gene Hoglan forse un po’ impreciso, ma pur sempre devastante ed animalesco. Rivedibile forse la chiusura affidata a “3 Days in Darkness” che personalmente ritengo uno dei brani meno riusciti di “The Gathering” o perlomeno poco adatta a chiudere lo show togliendo il posto a canzoni ben più importanti che hanno fatto la storia del gruppo. Quella che si prospetta dopo i Testament è forse la scelta più ardua della giornata, dato che avevo deciso di saltare i WHITESNAKE già visti dal vivo e anche per le recenti prestazioni non proprio esaltanti di Coverdale (che spesso deve ricorrere all’aiuto dei cori degli altri musicisti), per recarmi allo stage Altar per assistere allo show degli ASPHYX, quando mi accorgo che i TWISTED SISTER avevano scambiato il posto proprio con la band di Coverdale. Con un certo rammarico per dovermi perdere lo show dei deathster olandesi, decido di non perdere l’esibizione (per la mia prima volta) di Dee Snider e soci. A posteriori posso affermare che lo storico combo newyorkese è riuscito a non farmi rimpiangere la scelta, grazie ad uno spettacolo dinamitardo ed estremamente coinvolgente. Scaletta semplicemente spettacolare la loro, che non ha fatto mancare nessuno dei loro classici come “You Can’t Stop Rock ‘n’ Roll”, “Stay Hungry”, “We’re Not Gonna Take It”, “Burn In Hell”, “The Fire Still Burns” e “I Wanna Rock”. Per non parlare di uno Snider particolarmente determinato a mettere a segno uno show memorabile, con ettolitri di sudore versato e la sua proverbiale ironica sfacciataggine nel presentare i pezzi e coinvolgere il pubblico, anche a costo di rischiare una storica gaffe. In chiusura offrono una versione suonata alla loro maniera di “It’s Only Rock ‘n’ Roll (But I Like It)” dei Rolling Stone che si rivelerà vincente. Decido finalmente di concedermi una pausa per cenare, mentre in lontananza si alternano KREATOR e WHITESNAKE e tornare riposato verso il Valley per vedere il concerto degli SLEEP. In tutta onestà mi aspettavo davvero qualcosa di più dal combo californiano, nonostante una setlist improntata principalmente sull’ottimo “Sleep’s Holy Mountain”, disco comprato all’epoca della sua uscita e ascoltato fino allo sfinimento. Innanzitutto potevano scegliere dei brani più eterogenei, in secondo luogo è mancato quel fondamentale contatto con il pubblico nel presentare i brani o incitandolo nel corso del concerto, tanto che i tre non hanno in pratica mai spiccicato parola e ridotto all’osso (anche come volume) le parti cantate, causando più di uno sbadiglio tra i presenti giusto con qualche eccezione (come la validissima “Dragonaut”).

La giornata poi raggiunge il clou quando salgono sul palco i DEF LEPPARD in uno show celebrativo di “Hysteria”, album che nel lontano 1987 ha segnato in maniera indelebile la mia infanzia ed ha lanciato il gruppo inglese nel firmamento della musica hard&heavy vendendo svariati milioni di copie. Emozionato proprio come un bambino mi sono avvicinato al palco sull’estratto di “Won’t Get Fooled Again” dei The Who, reso ancora più celebre dal noto telefilm C.S.I., prima che il concerto vero e proprio iniziasse sulle note di “Good Morning Freedom”, b-side del singolo “Hello America”, e “Wasted” tratta dal loro debutto “On Through The Night” (1980). Dopodiché è tutto un susseguirsi di classiconi come “Let’s Get Rocked”, “Foolin’”, l’ormai consueta cover di “Action” (Sweet), “Bringin’ On The Heartbreak” e lo strumentale “Switch 625”, prima del fatidico momento di riproporre per intero “Hysteria”, anticipato da una collezione di clip introduttivi dell’epoca. Ebbene, è un lavoro che ancora toglie letteralmente il fiato dall’emozione, mantenendo inalterato tutto il proprio fascino dopo tanti anni. Brani come “Women”, “Love Bites”, “Pour Some Sugar On Me” e “Gods Of War” farebbero ancora oggi la fortuna di qualsiasi band e la classe con cui i Nostri li ripropongono non può lasciare indifferenti. Colpisce soprattutto la grinta di Vivian Campbell nonostante gli sia stato diagnosticato un cancro solo poche settimane fa, ma lo stesso si può dire di tutti gli altri. Chiuso il capitolo “Hysteria” i Def Leppard scendono dal palco avendo terminato il tempo a loro disposizione, ma inaspettatamente tornano nuovamente on stage mentre le persone che se ne stavano andando tornano indietro correndo per assistere ad un encore che ci regala l’ultimo colpo di coda con l’esecuzione di “Rock Of Ages” e la celebrativa “Photograph”. Più di due ore di show al cardiopalma che certamente resterà per anni impresso nella mente di tutti i presenti, spedendoci a letto con la consapevolezza che se anche il festival si fosse concluso con due giorni di anticipo probabilmente sarebbe valsa lo stesso la pena di partecipare facendosi quella lunga trasferta. Ovviamente, però, le emozioni non si concludono qua e i giorni successivi continueranno a regalare ancora tante sorprese ed emozioni.

 

…Continua!