Heavy

Live Report Play it Loud Festival 2015 @ Circolo Colony Brescia

Di Stefano Ricetti - 28 Ottobre 2015 - 10:18
Live Report Play it Loud Festival 2015 @ Circolo Colony Brescia

Pil 2015

 

 

Play It Loud Festival: un’istituzione per gli amanti dell’Acciaio più verace consolidata ormai da anni, a partire dalla prima uscita svoltasi al Buddha di Orzinuovi il 17 febbraio del 2007, con headliner i Raven (Qui il live report dell’epoca). L’edizione 2015 propone una vera e propria maratona HM, composta da un bill comprendente ben dodici band, al solito tutte con i controcolleoni e l’attitudine giusta. Già, proprio il credo e la fede fanno la differenza in casi come questi rispetto ad altre kermesse. L’atteggiamento dei gruppi e del pubblico è infatti quanto di più distante possa esserci da qualsivoglia velleità commerciale “vera“. Peccato che, quantomeno nel nostro Paese, i numeri siano “quelli”, a livello di audience. Avendo personalmente partecipato a tutte le edizioni del Play It Loud quella che poteva essere solamente una convinzione è oggi suffragata dai fatti: in Italia la gente per questo tipo di happening, mi ripeto, più o meno è “quella”, bisogna prenderne atto. I numeri sono impietosi e solo lo stoicismo di Giuliano Mazzardi della My Graveyard Productions ha permesso sinora di poter vedere dalle nostre parti gruppi che altrimenti mai e poi mai sarebbero stati infilati all’interno del bill di qualsiasi altra manifestazione sul suolo italico.

Tornando all’edizione 2015, ben sette ensemble storici hanno calcato un palco tricolore per la prima volta in carriera: Razor, Heir Apparent, Iron Angel, Adx, Tysondog, Desolation Angels e Sin Starlett. Apparentemente, quindi, un’occasione da non mancare per nulla al mondo da parte dei defender ultras, considerando anche la possanza del resto del bill, composto da Hocculta, Crying Steel, Ironsword, Rosae Crucis e Stonewall. Solo apparentemente, però, visto la conferma del “solito” trend in termini di affollamento.                  

Alle ore undici e trenta spaccate, come da locandina, prende il via il Festival, grazie all’entusiasmo metallico dei foggiani Stonewall facenti capo ai Guerrieri Bros, già autori dell’interessante Victims of Evil del 2011, griffato My Graveyard Productions. Onore al merito a tutto il pubblico presente che, incurante dell’ora, ha presenziato sin dall’inizio incitando il combo pugliese che, ovviamente, non s’è lasciato scappare l’opportunità di aprire il Play It Loud, nonostante la notevole distanza dalle proprie dimore. Credo e attitudine, quindi, senza menate di sorta… Alla fine del concerto, un concentrato di robusto HM, il singer Dionigi Neri ha esortato a invitare la band per altre kermesse del Nord, visto che dalle Loro parti non si muove nulla da tempo, a livello concertistico.         

Professionalità a tonnellate quella messa in campo dai romani Rosae Crucis, presentatisi in perfetto orario e tenuta d’ordinanza nonostante non abitassero proprio fuori dal portone del Colony Club di Brescia. Come per gli opener Stonewall anche il combo di Ciape, Kiraya, Piero, Tiziano e Daniele gode di suoni eccellenti, altra particolarità di un festival come il Play It Loud, che non fa mancare nulla in termini di supporto tecnico anche alle prime band, cosa che invece volutamente non accade in altri casi. Sancta Sactorum, Fede Potere Vendetta, Massoneria e Crociata fan già parte dell’epopea dell’Acciaio Italico e i Rosae Crucis non deludono le attese, mantenendo alta la bandiera, per l’ennesima volta.           

Curiosità per gli svizzeri Sin Starlett, alla loro prima sul suolo tricolore. Volutamente demodé nel look, i cinque metaller di Lucerna riescono a conquistare i favori del pubblico grazie alla simpatia contagiosa che riescono a trasmettere dalle assi del Colony. La loro musica di certo non cambierà le sorti dell’heavy metal mondiale, vista la fortissima componente derivativa che ne delimita i tratti, ma quello che conta per davvero è crederci fino in fondo, cosa che i rossocrociati denotano senza ma e senza se. L’alcool trangugiato successivamente alla performance mina le doti di stabilità di alcuni dei componenti la band che si aggirano per il locale, ma fa parte assolutamente del gioco, confermando l’affabilità degli ‘Starlett.       

Graditissimo ritorno da parte dei portoghesi Ironsword, forti di un album fottutamente epico come l’ultimo None But the Brave, che tornano al Play It Loud dopo l’esordio risalente alla prima edizione del 2007. Come otto anni fa Tann e soci spaccano di brutto, confermando che la “voglia” di Ironsword da parte del pubblico sia motivata e sacrosanta. E’ altrettanto vero che una band con un livello qualitativo album/canzoni contenute della portata degli Ironsword non si trova proprio appena girato l’angolo e infatti l’Epic trio non delude le attese, sparando una scaletta che non fa prigionieri, raccogliendo gli Osanna, meritatissimi, del pubblico. Kings of The Night, Eye for an Eye, Forging the Sword sono solo tre delle cannonate HEAVY METAL riversate sull’audience… per lo scriba il migliore show della giornata, bestemmia gratuita “tirata” da Tann esclusa.   

Altra certezza siderurgica è impersonificata dai bolognesi Crying Steel, composti per tre quinti da membri della prima ora (Luca Ferri, Franco Nipoti e Angelo Franchini), vecchie triglie dell’HM tricolore, garanzie viventi di integrità. Ad accompagnarli l’Axel Rudi Pell di casa nostra, ossia JJ Frati alla chitarra e il singer “Ramon” Sonato, anagraficamente più giovane del resto della truppa ma ben calato nella parte. Setlist improntato all’immediatezza, il Loro: Defender, Shut Down, Raptor, l’immortale No One’s Crying, Heaven’s, Beverly Kills, Rockin’ Train e l’inno Thundergods a chiudere uno show che meritava più attenzione da parte del pubblico, non particolarmente folto durante il gig dei felsinei.

E’ poi la volta di un’altra gloria dell’Italian Way of Heavy Metal, i milanesi Hocculta. Accanto al Klaus Meine tricolore Massimo Lodini vi sono i fidi Marco Bona alla chitarra e Daniele Pobbiati dietro i tamburi, mentre il resto della formazione viene completato da altri due personaggi dal passato importante: Gianmaria Scattolin (Chitarra) e Siro Burchiani (Basso), entrambi ex Brightlights, quelli di Higher’N’Higher del 1985. Al solito piuttosto statici, gli Hocculta sanno domare i problemi tecnici e bypassare abilmente qualche fuorigiri grazie all’esperienza di una vita. Certo è che Warning Games e Dream of Death rimangono “pezzoni” oggi come ieri e quello che la gente si aspetta è una sana dose di heavy rock a la Hocculta, cosa che puntualmente i milanesi forniscono a piene mani.        

Vedere sul palco un inglese per antonomasia come Paul Taylor ha l’effetto di un tuffo al cuore: il Nostro, singer dal glorioso passato (Elixir), nonostante le primavere sfoggia una capigliatura e un piglio d’altri tempi, riportando idealmente ai magici momenti della Nwobhm, come se l’orologio si fosse fermato per un incantesimo. I Desolation Angels, britannici al 100% come rimarcato dalle bandiere della Union Jack sul palco, giocano facile partendo a cento all’ora sulle note dell’irresistibile Sweeter the Meat, apripista dell’Ep del 2014. Gli altri highlight della loro performance portano i nomi di Valhalla ed Evil Possessor, poste entrambe in chiusura.

L’ubriacatura di British Steel della giornata si conclude con i Tysondog da Newcastle, all’esordio italiano della carriera. Il cantante Clutch Carruthers è un’anima dannata che sta più tempo a girare per il palco che non a fronteggiare il pubblico, visivamente assetato di suoni appartenenti a quel periodo incredibile che fu la Nwobhm. Seppur meno penetranti dei Desolation Angels i Tysondog la loro fottuta dose di Acciaio inglese la licenziano senza economia, sulla base di una storia importante che non accenna a chiudersi, come esplicitato nell’ultimo Cry Havoc. Hammerhead, tratto da Beware of the Dog del 1984 probabilmente incarna al meglio lo spirito siderurgico dei Tysondog, che si accomiatano sulle note dell’altrettanto imponente Taste the Hate, da Crimes of Insanity dell’86.       

Incredibile lo spiegamento di forze ostentato dai transalpini Adx, a partire dai “quintali” di merchandising trasportato qui in Italia per finire con lo staff di aiuto/appoggio alla band. Onestamente non posseggo notizie del tiro “commerciale” – obbligatorio il virgolettato…  – dell’ensemble parigino, ben per  gli Adx, ci mancherebbe, anche se la situazione era in netta antitesi con l’essenzialità minimalista del resto dei gruppi. “Prima” anche per Loro nel nostro paese e notevole il responso ottenuto dal pubblico del Colony. Phil Grelaud e soci puntano al massacro sonoro sin dall’opener Tourmente et Passion e non mollano di un millimetro per tutta la durata del concerto, sciorinando velocità e potenza a suon di legnate, sino alle conclusive Division Blindee e Caligula.             

Il massacro si completa con la band successiva, gli Iron Angel da Amburgo, chiamati da tempo a sostituire i defezionari Stormwitch. L’impatto dei tedesconi è devastante: sulla scia della lezione di potenza espressa on stage dagli Exciter i Nostri martellano senza redenzione alcuna secondo un setlist allestito appositamente per la macellazione sonora: Sinner 666, The Metallian, Heavy Metal Soldier sono solo tre delle bordate regalate da un visibilmente su di giri Dirk Schröder e dai sui pard al pubblico italiano, che risponde per le rime a suon di pogo ed headbanging furioso. Apprezzata dai più, la prova degli Iron Angel va a inserirsi fra le migliori della giornata, nonostante un cantante non al 100% delle proprie possibilità.

Unico gruppo dalle fattezze “gentili” – quantomeno sulla carta – della giornata, gli Heir Apparent, per la prima volta alle prese con il pubblico italiano, sanno conquistare l’audience grazie a dei pezzi immortali eseguiti in maniera appropriata, esattamente come il pubblico se li aspettava. Tanta era l’attesa per il combo di Seattle che già con il secondo pezzo, Dragons Liar, l’atmosfera profumava di Metallo di Classe suonato con i controcolleoni, impresa non così facile come poteva sembrava dopo la devastazione musicale prodotta dallo speed killer degli Iron Angel. Will Shaw, il cantante, si dimostra all’altezza del repertorio Heir Apparent tanto che pezzi da brivido quali Tear Down the Walls e Keeper of the Reign riescono ad arrivare direttamente al cuore di ciascun appassionato. Senza dubbio l’esibizione più “toccante” del Play It Loud nonché una delle più agognate, da decenni.

GL Perotti degli Extrema era uso urlare: “Siete pronti per il massacro collettivo?”. Ebbene, in quel di Via Romolo Gessi a Brescia, civico 14, ci hanno pensato quattro “giovanotti” dell’Ontario a radere al suolo quanto rimaneva ancora in piedi all’interno del Colony. Con un po’ di ritardo sulla tabella di marcia, dopo Nowhere Fast (ancora senza Rob Reid sul palco), mazzate quali Iron Hammer, Stabbed in the Back e la conclusiva Evil Invaders – solo per citarne alcune, della mattanza perpetrata – vengono accompagnate da un pogo incontrollato e da un body surfing pressoché ininterrotto. Carichi il giusto, i Razor convincono per potenza e attitudine espressa, conquistandosi il meritato posticino nel gotha degli speed killer act passati negli anni all’interno delle nostre lande mediterranee.

 

Per i presenti le immagini e i suoni della magnifica Celebrazione dell’Acciaio svoltasi presso il Colony nella giornata del 24 ottobre 2015 resteranno per sempre nel cuore e nella memoria.  

Godiamocele finché esistono, queste manifestazioni…

 

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti   

               

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