Live Report: Worst Fest III a Milano

Di Giacomo Cerutti - 26 Giugno 2013 - 16:05
Live Report: Worst Fest III a Milano

WORST FEST III
25/05/2013 @ Factory, Milano
 

 

Stasera il Factory ha l’onore di ospitare la terza edizione del WORST FEST, evento grazie al quale si possono conoscere band emergenti nostrane ed acclamarne di già famose. Nelle edizioni precedenti hanno suonato notevoli band come Elvenking, Spellbalst, Nanowar of Steel e altre, ma quest’anno c’è stato un salto di qualità dato che gli headliner sono i grandiosi Stormlord accompagnati da altre band di tutto rispetto in un concentrato di folk, viking, death e thrash metal. La serata purtroppo non inizia nel migliore dei modi, bensì in ritardo di quasi due ore per problemi di soundcheck, ma almeno all’apertura cancelli c’è più gente che può godersi le prime band, cosa che nei festival succede sempre di meno.

 

Hell Shall Rise

Ad aprire la serata sono gli Hell Shall Rise, sui quali va subito aperta una parentesi positiva: questi giovani ragazzi, oltre a suonare, sono gli organizzatori del festival; hanno voluto esibirsi per primi per lasciare più spazio alle altre band, quindi sono da premiare due volte: per l’iniziativa con tutto il fardello che essa comporta e per l’umiltà. Gli Hell Shall Rise nascono a Trezzo sull’Adda nel 2006; la loro evoluzione è stata toccata sia da cambi di formazione che di scelte musicali, passando dal punk al blues al metal estremo. Nel 2010 decidono di comporre e rimanere sull’heavy-thrash metal e attualmente stanno lavorando sulle nuove canzoni che verranno registrate a breve per il debut album. Entrando in scena vengono accolti da un discreto numero di persone; Marco Boldorini le incita con un growl che si contrappone al suo look elegante. Aprendo con Raised Hell danno subito prova della loro voglia di sperimentare: innanzitutto abbiamo due voci, il growl di Marco e il pulito di Riccardo Crippa che oltre a cantare suona la tastiera conferendo melodia in contrapposizione alle chitarre pesanti di Manuel La Licata e la new entry Alberto Vismara, oltre alle dure linee di basso di Stefano Presezzi e ai forti battiti di Giorgio Cortina. I due vocalist sono sempre in primo piano, Marco è energico e coinvolgente e la sua figura s’impone come la sua voce, mentre Riccardo rimane composto sembrando un po’ timido. La combinazione di melodia e pesantezza funziona, tuttavia a causa dei problemi d’audio la tastiera si sente bene solo nei dolci intermezzi e le voci sono sovrastate dalla musica. Nonostante tutto gli Hell Shall Rise hanno eseguito una performance breve ma intensa, composta da quattro soli brani che però hanno ricevuto calorosi applausi riuscendo ad innescare un primo pogo di riscaldamento. Speriamo di rivederli presto con i pezzi nuovi e suoni migliori.

Setlist:
Rised Hell
1572 (in name of god)
Blackjack
Porta Piam

 

E’ il momento degli Ulvedharr, band viking-thrash-death metal bergamasca nata nel 2011 dalle ceneri dei Bloodspell, prima band del cantante/chitarrista Ark. Cercando una formazione stabile, hanno preso vita le loro canzoni. Infine, contattati dall’agenzia di management Alpha Omega, nel 2012 hanno inciso il primo EP Viking Tid e il freschissimo full length Swords of Midgard da cui è tratto il repertorio di stasera. Preceduti dall’intro, entrano in scena attaccando con Lindisfarne e colpendo i presenti con un notevole impatto sonoro: i potenti riff di Ark e Fredreyk sono fortificati da Klod al basso, si sentono chiaramente le influenze del death metal scandinavo e band quali Unleashed, Obituary e Dismember. Mike fa davvero tremare la batteria, Ark oltre che un buon chitarrista risalta come vocalist: il suo timbro sporco e gutturale rimane impresso, così come il suo modo “ondulatorio” di tenere il palco. Forte l’interazione col pubblico, che risponde entusiasta, in particolare, quando Ark invita a cantare il ritornello di Onward To Walhalla. Infine, ad Harald Harfagri prende parte anche il cantante dei Furor Gallico. È stata sicuramente una performance di grande impatto, sia tecnicamente che scenicamente: i ragazzi si sono dimostrati molto coesi e dinamici e, anche se purtroppo penalizzati dai suoni impastati, hanno riscosso un buon successo con tutti coloro che li hanno conosciuti.

Setlist:
Intro
Lindisfarne
Was Is In The Eyes Of Berserker
Battle For Asgard
Onward To Walhalla
Harald Harfagri

 

Il concerto prosegue con i Vinterblot. Nati a Bari nel 2008, hanno all’attivo l’EP For Asgard, inciso due anni dopo, ed il primo full-length, Nether Collapse (2012), che hanno riscosso buone recensioni. Hanno già un buon numero di presenze live, tra le quali al Fosch Fest, MetalCamp Sicily e Rockcult Extreme Fest; inoltre hanno condiviso il palco con band del calibro di Obituary, Entombed, Moonsorrow, Trollfest, Abinchova e altre. Ora l’atmosfera si appesantisce, prendono posizione sul palco attorniati dal fumo, il frontman Phanaeus esordisce con un macabro rigurgito di liquido nero, mentre irrompono con Triumph Recally My Name sfoggiando un micidiale pagan-death metal. Vandres e la new entry Auros (Twilight Gate) suonano riff granitici, Eruner al basso conferisce una solida base risaltando anche per la tecnica, Wolf viaggia sul doppio pedale senza sosta e pestando su piatti e pelli. Si notano influenze derivanti dall’ambient black. Phanaeus tiene in pugno il pubblico, visibilmente aumentato, con un growl cavernoso e viscerale, sporgendosi a bordo palco incitando i presenti, mantenendo un atteggiamento tetro e mostrando lingua nera e occhi rovesciati. La band ha una buona tenuta di palco ed il pubblico risponde animatamente a tutti i brani pogando. Tralasciando i suoni, che non erano dei migliori, gli spettatori hanno riconosciuto la bravura dei Vinterblot ripagandoli con copiose urla ed applausi.

Setlist:
Triumph Recally My Name
Upon A Reign Of Ashes
Blood Furnace
For Asgard
Whispers To The Headless
Council Of Trees Beholder

 

 

 

Dalla Puglia si passa all’Abruzzo con i Draugr. Nati come band black metal, nel 2002 hanno inciso quattro demo e nel 2006 l’album Nocturnal Pagan Supremacy. In seguito i cambi di formazione e l’intensa attività live li hanno portati ad inserire nel sound elementi folk, thrash e epici e a definirsi “Italic Hordish Metal”. De Ferro Italico (2011) ne è stato il risultato, molto apprezzato dalla critica tanto da portarli a suonare, oltre che in Italia, in Germania, Francia e Austria e in vari festival assieme a Immortal, Taake, Moonsorrow, Ensiferum e molti altri. La band fa capolino sul palco bardata con costumi tipici e face-painting rosso. Gli animi si scaldano e i Draugr vengono accolti in modo trionfale, partendo senza indugi con Legio Linteata e dando così prova del connubio tra la furia black delle chitarre di Triumphator e Mors, le dure linee di basso di Stolas, la batteria martellante di Jonny e le melodie folk/epic sfornate da Ursus Arctos alla tastiera (che tuttavia è poco udibile). Fortissima la presenza scenica, dominata dal rosso Nemesis alla voce, molto versatile in quanto in alcune canzoni alterna uno spaventoso growl/scream a parti epiche narrate in italiano, latino e osco. Ogni canzone è una conquista, il pubblico è scalmanato nel pogo e canta a squarciagola la doppietta finale De Ferro Italico e Furore Pagano. Unico momento tranquillo si ha durante la pausa per cambiare un cavo: Triumphator coglie l’occasione per omaggiare il compianto Jeff Hanneman accennando l’inizio di Raining Blood. Dopo dieci anni sulle scene, i Draugr sanno senza dubbio come tenere il palco: la loro prestazione è stata grandiosa, una miscela di sudore, ferro e sangue, notevole dal punto di vista tecnico e coinvolgente in particolare grazie al frontman, che durante i saluti è anche sceso direttamente tra i fans.

Setlist:
Legio Linteata
L’augure e il Lupo
Nocturnal Pagan Supremacy
Roma Ferro Ignique
De Ferro Italico
Furore Pagano

 

La serata cambia tono con l’allegria portata dai tedeschi Grailknights. Nati nel 2002 e forti di un EP, tre album e un DVD, hanno supportato in tour i Sabaton, suonato da headliner negli Stati Uniti e, stasera, si esibiscono in Italia per la prima volta. Parte l’intro, sul palco si aggira un mostro scheletrico che simpaticamente ci mostra il dito, o meglio la “falange media”. Appena la band entra in scena si dimostra vincente a livello di impatto visivo: i membri, che sembrano usciti da un cosplay, vestiti da supereroi con mantello e face painting ognuno di colore diverso, iniziano a mettersi in pose plastiche, tanto da poter essere considerati i cugini dei nostri cari Atroci. Sembra doveroso presentarli: Sir Optimus Prime alla voce, Conte Cranium al basso, Earl Quake (blu) e Tempesta Sovereign (viola) alle chitarre e Baron Van Der Blast alla batteria. Partono con Morning Dew, tipica canzone dal coro epico iniziale per dare la giusta carica, attaccando con riff tipicamente folk, con la comparsa di un grottesco elfo che suona la fisarmonica. Il vocalist ha una buona interazione col pubblico e per il secondo pezzo lo incita a cantare in coro. Ormai convinto che tutte le canzoni siano di quello stampo, il pubblico viene stupito e travolto da un inaspettato death metal e la voce pulita di Sir Optimus Prime si trasforma in un feroce growl. Ma le sorprese non sono finite: la band chiama infatti sul palco un fantomatico cavallo bianco, la cui funzione è il rifornimento di birra e, per la felicità del pubblico, porta un barilotto che il cantante gentilmente regala. Bevendo avidamente la band prosegue con The White Raven e Sea Song: con quest’ultima, improntata sui cori, si ritorna all’allegria folk e il cantante si diletta con la fisarmonica. Ormai i Grailknights si sono guadagnati l’appoggio del pubblico: applausi a tempo e cori sono spontanei. Con Grailquest Gladiator terminano lo show brandendo un estremamente tamarro “sacro Graal” rosa brillantato. Cosa dire dei quattro cavalieri? Sicuramente hanno vinto per originalità, scenografia e simpatia; riguardo alla parte musicale e vocale si sono dimostrati molto preparati e versatili, bilanciando la pesantezza del death metal con la melodia apportata dal folk, soprattutto negli assoli e le parti corali. Anche loro sono stati penalizzati dai suoni, ma indubbiamente hanno adesso una buona schiera di fans italiani, che li hanno poi aspettati allo stand del merchandise per foto e autografi a volontà.

Setlist:
Intro
Morning Dew
Nameless Grave
The White Raven
Sea Song
Moonlight Masquerade
Grailquest Gladiator

 

Siamo giunti alla penultima band che ormai non ha più bisogno di presentazioni, i grandi Furor Gallico che presenziano sulla scena folk metal italiana dal 2007. Attualmente sono al lavoro sul secondo full-length ma nel frattempo il primo omonimo Furor Gallico riscuote sempre più successo e la loro attività live si è intensificata sia in Italia che all’estero. Purtroppo proprio con loro aumentano i problemi tecnici, prolungando molto il cambio palco per il soundcheck dei vari strumenti. Finalmente, dopo tanta pazienza e battibecchi tra il fonico e il chitarrista Stefano, iniziano con grande classe proponendo l’inedita The Song of the Earth, che si dimostra una mossa vincente: il pubblico gremito di fans si risveglia all’istante mostrando tutto il suo entusiasmo. La tenuta di palco è molto forte e la combinazione di folclore pagano e metal è sempre più consolidata. La buona riuscita dello show dipende solo ed esclusivamente dalla band stessa, perché dal punto di vista fonico è disastroso. Le chitarre di Stefano e Oldhan sono impastate, il basso di Fabio si sente a sprazzi, la voce di Daniele “Pagan” (per quanto si sgoli in growl e scream) è sovrastata dalla batteria di Mirko (quest’ultimo entrato ufficialmente quest’anno nella lineup, sicuramente un buon acquisto). I gallici non si scoraggiano e suonano ancora più vigorosi soprattutto divertendosi. Il pubblico sembra non far caso alle varie problematiche e si scatena pogando e cantando, ma come se non bastasse dopo pochi pezzi anche l’arpa di Becky, il violino di Laura con i whistles e il bouzouki di Paolo si sentono poco o niente. Dopo tante peripezie la band termina con la celebre La Caccia Morta, cantata all’unisono dalla folla che ricopre la band di applausi e cori ampiamente meritati. Speriamo di rivederli in situazioni migliori rimanendo in attesa del nuovo album.

Setlist:
The Song of the Earth
Venti di Imbolc
Medhelan
To the End
The Gods Have Returned
Curmisagios
Miracolous Child
Cathubodva
La Caccia Morta

 

Sembra incredibile ma, tra il tempo delle esibizioni, i cambi palco e la risoluzione dei problemi tecnici, sono passate le 2 di notte. Visto l’orario improponibile molta gente se n’è andata e sono rimasti solo i fans fedelissimi per assistere ai tanto attesi headliner, i mitici Stormlord. Nati a Roma nel 1991 come trio death metal, si sono poi evoluti attraverso molteplici cambi di formazione e scelte stilistiche in un genere definito da loro stessi “extreme epic metal”. Nella loro carriera hanno inciso tre EP, tre demo e quattro dischi, l’ultimo dei quali è Mare Nostrum del 2008. Hanno centinaia di concerti alle spalle in Europa e soprattutto in Italia, dove hanno preso parte anche al A Summer Day In Hell nel 2003 e alle edizioni 2004, 2006 e 2008 del Gods of Metal, riuscendo ad entrare nella cerchia delle band del panorama estremo. Stasera, dopo due anni di assenza dalle scene, sono tornati più carichi che mai e i fans sono in febbricitante attesa. L’attesa viene rotta dall’intro mentre un’aggraziata ancella sfoggia uno scudo dorato raffigurante la testa di Medusa. La band entra in scena, saluta rapidamente e sui battiti di David Folchitto dà inizio a Winds Of Death, seguita da Neon Karma. Nonostante l’ora tarda gli Stormlord non sentono affatto la stanchezza e travolgono i fan con un muro di suono: Gianpaolo Caprino e Andrea Angelini sfornano riff massicci ed assoli tipici del melodic death metal, Francesco Bucci al basso li fortifica conferendo una solida base al sound, dalla testiera di Riccardo Studer dilagano melodie che creano atmosfere epiche e dall’oscurità di fondo palco emerge David Folchitto, che viaggia a mille sul doppio pedale tormentando piatti e pelli; il frontman Cristiano Borchi con estrema scioltezza emette poderosi growl e terrificanti scream di stampo black metal. Il tutto è ben strutturato, pesantezza e melodia sono ben calibrate, il pubblico risponde con entusiasmo soprattutto con la potente I Am Legend; ancora meglio con l’inedita Onward To Roma, che sarà presente sul prossimo lavoro Hesperia. L’audio tutto sommato è migliore, anche se i fischi sono ancora frequenti e la tastiera va scemando; tuttavia l’energia scaturita dalla band fa oltrepassare anche questa lacuna: gli anni di esperienza sono evidenti nell’ottima tenuta di palco, la coesione e soprattutto l’interazione con i presenti che Francesco ringrazia spesso e volentieri per il caloroso supporto, durato fino alla fine con l’omonima Stormlord. All’alba delle 03:30 il concerto finisce e gli Stormlord si ritirano, caricati di infiniti applausi. Attendiamo con ansia il nuovo disco che dovrebbe uscire a settembre.

Setlist:
intro
Dance Of Hecate
Neon Karma
Legacy Of The Snake
Onward To Roma
(Inedito)
I Am Legend
Mare Nostrum
And The Wind Shall Scream My Name
The Curse Of Medusa
Stormlord

 

 

Tirando le somme, dal punto di vista tecnico/audio e delle tempistiche il Worst Fest di quest’anno è stato molto scadente. Nonostante gli organizzatori abbiano dato anima e corpo per la riuscita dell’evento, i vari inconvenienti erano dovuti all’impianto malfunzionante messo a disposizione dal Factory e alla poca esperienza di un fonico non professionale. Possiamo affermare che sono state le band stesse a salvare il concerto, grazie alla loro professionalità, voglia di suonare e divertirsi con passione ed energia da vendere. Facciamo i migliori auguri agli organizzatori per la quarta edizione del festival.

Giacomo Cerutti