Summer Breeze Festival 2004: il report
Parole di: Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli, Paola Bonizzato, Matteo Lavazza, Davide ‘Darkesteclipse’ Bono
Foto di: Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli, Paola Bonizzato
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Il festival:
Summer Breeze 2004: uno dei più grandi festival d’Europa arriva alla sua sesta edizione, e lo fa con un bill spettacolare, pur se scevro di nomi enormi. Tralasciando frecciate ed eventuali confronti con la situazione italiana (ognuno è capace di giudicare da sè), non si può non notare come l’organizzazione in quel di Abtsgmünd, tra le colline ad una settantina di chilometri da Stoccarda, sia stata in 3 giorni pressochè perfetta, nonostante un tempo non certo clemente: in un’area del piccolo paese del tutto isolata appositamente per lo svolgimento della kermesse sono state collocate tutte le strutture necessarie a garantirne la perfetta riuscita, ed i meccanismi che le regolavano hanno dato l’impressione di funzionare egregiamente.
Non è facile gestire una folla (stimata in 15.000/20.000 persone) provenienti non solo dalla Germania stessa ma dall’Europa intera, e centinaia di addetti stampa: ma gli orari sono stati (quasi, come vedremo) del tutto rispettati, del meteo non è importato molto a nessuno, ed il livello di divertimento è salito a mille.
Come ogni festival che si rispetti, anche questo possedeva la sua cornice di stand musicali e non, e quelli gastronomici (ma soprattutto quelli dell’unico produttore di birra ufficialmente presente) sono stati i più assaltati; come poi il bus, adibito a stand, di una nota rivista metal germanica che offriva signing sessions distribuite in tutte le 3 giornate da parte dei più importanti artisti presenti.
Last but not least: il pubblico. Una massa di persone folli, divertite, spesso ubriache, ma sempre composte: si sa, l’attitudine tedesca ai concerti comprende un pogo estremamente limitato, spesso inesistente, sostituito da uno slam-dancing generalizzato, e così è stato anche stavolta. Uno spettacolo nello spettacolo, anche se a volte vedersi arrivare un tedescone di 100 chili sul cranio a tradimento non è la cosa migliore da auspicare, specie se si sta ascoltando un gruppo assolutamente tranquillo… da notare poi la grande presenza di bambini (alcuni poco più che neonati!), spessissimo coi rispettivi genitori, una cosa che in Italia sinora è impossibile vedere.
Le bands:
Era ovviamente impossibile seguire tutte le bands presenti alla tre giorni, per naturali necessità di sopravvivenza: ma il bill presentava gruppi talmente interessanti che era anche fastidioso assentarsi troppo dall’arena. Ecco il resoconto degli shows.
– GIOVEDI’ 19 AGOSTO
• Rawhead Rexx
I Rawhead Rexx sono un gruppo che più tedesco non si può, a partire dalla loro proposta musicale, un power metal roccioso e cattivo ma con sempre un occhio di riguardo alle melodie vocali. Sinceramente da loro mi aspettavo qualcosa di più in sede live, nei circa 40 minuti a loro disposizione i simpatici ragazzi del gruppo non sono riusciti ad esprimere quella potenza che ha contraddistinto i loro due album in studio, di sicuro la loro prova è stata più che discreta, ma forse anche a causa dei suoni non propriamente perfetti non incisiva come mi sarei aspettato.
Anche sotto il profilo della presenza scenica mi sono sembrati molto poco a loro agio sull’enorme main stage, credo che l’abitudine ai club non abbia permesso loro di esprimersi al meglio, e probabilmente la dimensione dei club è quella che più si addice ai Rawhead Rexx.
M. L.
• Gorerotted
La prima band degna di nota a calcare le assi del “Pain Stage”, il palco secondario del festival: gli anglo-scozzesi, dediti ad un grind-gore molto catchy e d’impatto, servito in salsa punk/hardcore, si presentano al top della forma, pur mancando lo storico cantante Mr. Gore. Sono gli altri due cantanti Goreskin e Phil Wilson (quest’ultimo, anche bassista, si è presentato in kilt, dimostrando a tutti i presenti come lo portano i veri scozzesi: senza biancheria) a prendersi l’onere di svolgere il ruolo di frontmen, e lo fanno alla grande: pezzi immediati, bella risposta del pubblico anche se di primo pomeriggio, ed una prestazione convincente da parte di tutti i musicisti. Davvero bravi e coinvolgenti, specie sui pezzi dell’ultimo album Only tools and corpses.
A. F.
• Mörk Gryning
Black metallers dalla Svezia, i Mörk Gryning non mi hanno mai dato l’impressione di avere le idee molto chiare sulla propria musica: ed anche qui si presentano in versione ambigua, con un look che non li contraddistingue di certo, e con pezzi che non riescono ad impressionare; la band stessa non appare eccessivamente motivata, ed ovviamente in condizioni simili non ci si può aspettare un grande responso da parte del pubblico… sono stati suonati soprattutto pezzi degli ultimi 2 albums, Maelstrom Chaos e Pieces Of Primal Expressionism, che come non colpiscono da studio lasciano il tempo che trovano dal vivo. Peccato, aspettavo una smentita ai miei giudizi negativi.
A. F.
• Vomitory
Altro death metal, altro spettacolo! Di nuovo dalla Svezia, ma con ben altre motivazioni, la band che sale sul Pain Stage intorno alle 4 del pomeriggio vuole colpire il pubblico frontalmente col proprio death semplice e quadrato, potentissimo ed estremamente d’impatto: molti i pezzi dell’ultimo Primal Massacre, su tutte una devastante Stray Bullet Kill, suonati dalla band dei fratelli Gustafsson; ed inizia con loro lo slam-dancing dei tedeschi, destinato a trovare riposo solo sui gruppi in cui è materialmente impossibile farlo. Probabilmente con un concerto lungo il doppio avrebbero mostrato un po’ la corda, ma nei 40 minuti a loro disposizione spaccano tutto lo spaccabile.
A. F.
• Sonata Arctica
Giro di riscaldamento estivo per i finlandesi Sonata Arctica che a breve saranno anche in Italia per supportare i loro connazionali Nightwish in occasione del tour europeo. Tony Kakko e compagni travolgono il pubblico con una setlist di tutto rispetto: si toccano tutte le tappe discografiche, da “Silence” a “Winterheart’s Guilt”, compreso un assaggio dal prossimo “Reckoning Night”. La band riscuote un buon successo, nonostante suoni in pieno pomeriggio. L’esibizione è più che discreta, qualche imprecisione del vocalist, ma il risultato rimane indubbiamente di alto livello.
P. B.
• Fleshcrawl
Purtroppo non ho potuto seguire a fondo lo show dei death metallers tedeschi, già apprezzati su disco, a causa del maltempo incipiente: ma l’impressione ricavata dai primi pezzi è che il gruppo sappia riprodurre fedelmente il materiale presente sui dischi, con un death metal di chiara impostazione svedese che coinvolge il pubblico loro connazionale. Ottima sicuramente la prova come frontman del cantante Sven Gross, che dimostra grande carica anche nella presentazione dei pezzi. Da rivedere con più calma.
A. F.
• Crematory
Sono ormai le 18 passate quando sul Main Stage salgono i tedeschi Crematory, gothic band storica e notoriamente attenta a pianificare e raggiungere il maggior successo possibile: riformatisi dopo un breve split (alla cui durata non aveva creduto nessuno, probabilmente), la band dimostra però di avere tutte le carte in regola per stupire. I pezzi classici del combo, su tutte la bella Tears of Time, hanno sempre un grande potere suggestivo, e quelli nuovi (come l’hit da dark club Tick Tack), grazie anche alle doppie vocals di Felix (growl) e del chitarrista Matthias Hechler (dalla timbrica pulitissima) fanno saltare gli spettatori, letteralmente, come se ci si trovasse davanti agli headliners. Vero che giocano in casa, ma non mi aspettavo certo una performance così riuscita. Probabilmente la sorpresa del giorno.
A. F.
• Saltatio Mortis
Protagonisti dell’esibizione sicuramente tra le più allegre e folkloristiche (e se vogliamo dirla tutta, anche molto “tamarra”) di tutto il festival, esordiscono sul palco secondario i Saltatio Mortis accompagnati da effetti pirotecnici di tutto rispetto. La band trasforma il Summer Breeze in una discoteca all’aperto, e i metallari non si risparmiano minimamente dal lasciarsi andare saltando tutto il tempo. Ottima la presenza scenica della line-up, che offre pezzi di stampo medievale infarciti di elettronica e molta carica. E’ la classica band da festival tedesco che getta in pasto ai metallari d’oltralpe pezzi tradizionali opportunamente rimaneggiati. Grande successo: promossi a pieni voti.
P. B.
• Hypocrisy
Se i Crematory erano la sorpresa, gli Hypocrisy sono stati la conferma della giornata: forti di un album come The Arrival che torna alle origini del sound che li ha resi tanto famosi nel mondo metal, gli svedesi hanno suonato al meglio, con un pubblico coinvolto e condizioni ideali (il buio su tutte). La band di Tägtgren, autore di una prova vocale come sempre strabiliante, ha provato di nuovo di essere un gruppo da palco, assolutamente: impossibile resistere ad accoppiate come l’arcinota Roswell 47 e, di seguito, Fractured Millennium; due pezzi che mostrano altrettanti volti di una band unica, nel bene come nel male. Grande show, ottima band, perfetta anche la prova del nuovo batterista Horgh (ex-Immortal), per quanto il suono del gruppo non richieda grandi doti tecniche.
A. F.
• Lake of Tears
Dopo 7 anni di assenza dal palco, dopo due dischi (The Neonai e Forever Autumn)poco compresi dalla critica e dai fan, e recentemente anche rinnegati dalla stessa band, i LOT ritornano dal vivo per supportare il nuovo lavoro, BLACK BRICK ROAD. Cosa attendersi? Per chi aveva già ascoltato il nuovo album, oltre che le dichiarazioni della band, molto, visto il ritorno alle sonorità dei due capolavori della band, Headstones e A Crimson Cosmos, che avevano sancito, forse, l’apice di un gothic rock più oscuro e cerebrale di quello odierno. Così la scaletta apre con l’opener di A Crimson Cosmos, ma l’apice si raggiunge con “Raven Land” e la conclusiva “Headstones”. Ottimo anche l’effetto live dei nuovi brani. Un’ottima prestazione per una band ritrovata e ritrovatasi, per cui 7 anni sembrano non essere passati.
D. B.
• Sentenced
Dopo la sorpresa e la conferma, non poteva mancare la delusione. E la cosa brucia maggiormente se a fornirla è nientemeno che la band headliners della prima giornata di festival, i finnici Sentenced: da tempo spostatisi su coordinate estremamente melodiche, vengono descritti da molti come una band dalla naturale attitudine live; devo averli quindi pescati in una serata no, visto che la loro prova è a dir poco piatta. Stando vicino alle prime file si scorge praticamente solo il frontman Ville Lahiala, mentre il resto del gruppo sembra quasi nascondersi intorno alla batteria; il suono è tutt’altro che potente, anche quando davvero dovrebbe (è il caso di una Nepenthe, dal loro passato più duro, quasi irriconoscibile nella sua lentezza) e troppe volte si ha la sensazione che la band stia solo timbrando il cartellino, anche se di fronte a migliaia di persone. Tra pezzi vecchi storpiati e brani nuovi (più la cover finale di The Trooper…) che non hanno l’effetto che dovrebbero, non posso che bocciare la loro esibizione, sfortunatamente.
A. F.
• Goddess of Desire
Goddess of Desire, la rock-metal-shock band olandese. Un’altra di quelle creature da noi sconosciute o quasi che all’estero riescono a suonare in posizione da headliner o quasi. Nascono nel 1995 più per gioco come band cover di classic heavy metal e glam anni ’80, ma visto l’enorme successo (!) per i loro show fatti di fiamme, teschi, donne nude (?), iniziano a produrre dischi propri e a girare l’Europa. Il loro show si conferma più che coinvolgente sia musicalmente, con un metal classico ma ruggente, che visivamente, ma al di là dell’ottima esecuzione, ci si interroga sui ben 50 minuti riservati loro (come i Finntroll) vista la comunque scarsa originalità della proposta.
D. B.
– VENERDI’ 20 AGOSTO
• Criminal
Sono i cileni Criminal la prima band che riescoa seguire nella giornata di venerdì, e ne vale decisamente la pena: la loro mistura di death e thrash, con una forte anima grindcore, impatta sull’ancora scarso pubblico come un macigno, tanto che lo stesso gruppo ne pare sorpreso. Pezzi tratti da tutta la loro carriera, ma ovviamente soprattutto dall’ultimo No gods no masters, colpiscono a dovere anche senza l’apporto delle tastiere, inesistenti nella resa sonora; splendida, in particolare, l’esecuzione di Violent change. Da rivedere la presenza sul palco, i 4 ragazzi si sono dimostrati un po’ troppo impacciati, mostrando l’inesperienza in situazioni di grossi festvals, anche se il complesso è stato più che soddisfacente.
A. F.
• Dark Fortress
Poco da dire sui tedeschi Dark Fortress, autori di un black metal sinfonico assolutamente anonimo: la band capitanata da Azathoth (dove ho già sentito questo nome?) è troppo zavorrata dalla propria banalità per poter colpire con trovate come la t-shirt bianca con scritta “Kill me” del cantante o con l’indubbia carica e presenza scenica. Un pezzo vale l’altro, e tutto lascia il tempo che trova.
A. F.
• Green Carnation
Non sono mai stato eccessivamente attratto da quelli che, insieme al mitico Tchort (Emperor, Blood Red Throne) sono praticamente gli ex-In The Woods: non che non ne stimassi l’importanza, ma il genere proposto non mi sembrava troppo avvincente. Vederli live sul Main Stage del Summer Breeze mi ha decisamente fatto cambiare opinione! La band, che come si sa offre un mix di prog metal e doom, pur nel pieno del pomeriggio (alle 15.45) ed in una situazione di sicuro non congeniale al feeling sprigionato, offre un’esibizione del tutto ammaliante, tanto da restare spesso a bocca aperta: canzoni affascinanti, ed un’attrazione inotica sprigionata dal combo ed a cui sembra soggetto l’intero pubblico, grazie anche al carisma dell’ottimo cantante. Una grande sorpresa, che mi spingerà a riscoprire i dischi del gruppo ed il DVD uscito in questi giorni.
A. F.
• Leaves’ Eyes
Dopo la separazione con i Theatre of Tragedy, vista l’evoluzione “easy-dance”, pareva logico attendersi da Liv un seguito a quel “Deus Ex Machina”, debut della sua carriera solista, datato 1999. Insieme ad Alexander Krull e al resto degli Atrocity, è così nato un album più gothic, etereo, a tratti sognante, a tratti malinconico. A parte apprezzamenti o meno sul disco, risulta chiaro come sia difficile da riprodurre in un open festival, per di più in pieno pomeriggio. Certo è che Liv di carisma ne ha, però, un po’ una band non coinvolgente ed un lotto di canzoni non entusiasmanti, fanno sì che l’interesse scemi in fretta: solo discreto l’apprezzamento del pubblico, anche rispetto agli oceanici consensi ottenuti gli scorsi anni da Nightwish, Within Temptation o The Gathering, o anche solo dagli Xandria quest’anno. Da rivedere al chiuso.
D. B.
• Vintersorg
Al musicista svedese spetta la palma di “shock del festival”: quando sale sul palco sono infatti convinto di un’improvvisa sostituzione, dato che il capellone delle foto promozionali viene rimpiazzato da un ragazzo esile, compito e dal look più adatto ad una discoteca che al metal tecnico ed iperstrutturato che propone: guardate le foto per credere. Per quanto riguarda il lato musicale si sa, le sue ultime composizioni (su cui è incentrata la quasi totalità dello show) sono difficili da rendere dal vivo,e stupisce quindi vedere come esse siano riproposte in maniera assolutamente fedele; ottimi tutti i musicisti, la mia ammirazione va al bassista, che con il suo 6 corde fa numeri da circo. Peccato che il tutto sia presentato in modo tanto freddo da lasciare l’amaro in bocca, con il leader che sciorina un pezzo dietro l’altro senza mostrare la minima voglia di interagire col pubblico. Un sei politico, quindi, alla sua esibizione.
A. F.
• Sodom
Cosa si può dire su una prestazione live dei Sodom che non sia già stato detto e ridetto mille volte? Il gruppo è una vera e propria macchina da guerra sul palco, solo tre musicisti ma una potenza sonora che la maggior parte dei gruppi odierni solo si sogna. Inutile dire che tutto il pubblico è dalla loro parte, il loro show è stato uno dei più massicciamente seguiti dell’intero festival, a vederli c’erano proprio tutti, comprese famigliole con bambini al seguito, e tutti si sono divertiti, grazie anche a delle battute, per me incomprensibili, che il buon Onkel tom Angelripper pare non aver lesinato, visto che ogni tanto, tra una canzone e l’altra, dall’audience si levavano sonore risate.
Il gruppo non ha lesinato sui classici, proponendo canzoni come “Remember the Fallen”, “Sodomized”, la divertentissima “Aber mitte mit sahne”, e dando parecchio spazio al materiale cantato in tedesco ovviamente, tra cui spicca di sicuro “Die Stumme Ursel”, in cui Tom ha ceduto il basso al suo roadie per dedicarsi solo al canto ed alla bambola gonfiabile che ha portato con lui sul palco.
Un solo consiglio a tutte le giovani band, andate ad un concerto dei Sodom e imparate cosa vuol dire veramente essere cattivi, potenti e coinvolgenti in sede live, loro sono sicuramente tra i migliori maestri che si possono avere.
M. L.
• Die Happy
Non ho ancora capito il motivo che ha spinto gli organizzatori del Summer Breeze a presentare una band come i Die Happy sul palco principale del festival nell’orario di punta. Il gruppo, capitanato da una frontwoman indubbiamente carica di energia e grinta, sembra purtroppo però la brutta copia dei Guano Apes dei tempi andati. A mio parere totalmente fuori luogo, anche se ha raccolto un folto pubblico di affezionati che si è incollato sotto il palco per seguire da vicino tutta la performance.
P. B.
• Sirenia
La band di Morten Veland, carismatico ex-leader dei Tristania, è un collage di luci ed ombre: la formula è, manco a dirlo, molto simile a quella della band originaria del cantante, e questo è noto; quello che colpisce però negativamente è vedere come dal vivo il gruppo sia costretto a ricorrere ad un uso di campionamenti talmente massiccio da avere l’impressione di un playback, molto spesso. Troppi cori lirici e liturgici sono irriproducibili live, e la presenza della vocalist Henriette Bordvik si riduce spesso ad essere puramente scenica. Peccato, l’ambiente ideale (il palco più piccolo e le luci sapientemente dosate) creavano il set ideale per uno spettacolo riuscito solo parzialmente.
A. F.
• Six Feet Under
Ci voleva una sorpresa anche per questa giornata: ed è arrivata questa volta con gli headliners Six Feet Under, che, anche se su disco vanno verso il declino totale, dal vivo hanno saputo caricare la folla come pochi. I pezzi hanno ricoperto tutti gli albums del gruppo, e la semplicità delle strutture, unite all’inconfondibile e per fortuna assolutamente integro growling di Chris Barnes, ha fatto il resto, facendo impazzire del tutto un pubblico che sembrava non aspettare altro. Di enorme impatto un pezzo come Hacked to Pieces, molto di meno (ma senza sfigurare) i pezzi dell’ultimo Bringer of Blood; ma è la chiusura con la cover di TNT degli AC/DC che rompe ogni resistenza, con la gente che canta all’unisono coprendo il frastuono proveniente dal palco. Davvero uno spettacolo.
A. F.
• Katatonia
Una delle mezze delusioni del festival. Ammetto di non avere mai troppo seguito i Katatonia, conoscendo Blackheim alias Anders Nystrom più per i suoi trascorsi nei Diabolical Masquerade (black) e nei Bloodbath (death), e di essermi avvicinato a loro con l’ultimo, splendido Viva Emptiness. Innanzitutto sia Jonas Renkse non sembra essere molto “presente”, anche se, a parte le prime canzoni, dove le vocals si sentono a malapena, svolge bene il suo compito, anche se su una canzone si dimentica (!) di cantare, e viene prontamente “salvato” da Blackheim, il quale, in quanto a presenza scenica non è certo un mostro. I nostri aprono con “Ghost of the sun” l’opener del nuovo album, che verrà notevolmente rappresentato, insieme al precedente Last Fair Deal Gone Down a scapito di tutta la precedente discografia, con solo la splendida For My Demons da Tonight’s music e Cold Ways da Discouraged ones. In conclusione la solita Murder a ricordare i tempi che furono con un Renkse a proprio agio con i growls. In definitiva uno show a metà, che con qualche canzone più tirata maggiormente adatte ad un festival e un pizzico in più di di alchimia (e meno alcool) tra i membri della band sarebbe stato migliore. Ma d’altronde all’una di notte, cosa pretendere di più?
D. B.
– SABATO 21 AGOSTO
• Hatesphere
Sul Pain Stage è la volta dei danesi Hatesphere, non sempre a pieno regime su disco, ma che on stage non possono proprio deludere: la thrash/death band si rende protagonista di uno show selvaggio, ma allo stesso tempo preicos, e spiace vederli collocati così in basso in scaletta. Il feedback del pubblico è energico, la gente inizia subito a buttarsi verso il palco ed a rotolare sulle teste delle persone… tutto mentre il gruppo snocciola pezzi tratti dall’ultimo Ballet of the Brute, ripercorrendo poi un po’ tutta la sua discografia. Piccola aggiunta scenica col cantate, che si mette a sanguinare dal naso senza nemmeno accorgersene!
A. F.
• Mnemic
Tocca ad un altro gruppo danese proseguire le danze, stavolta sul palco principale: e lo fa sulla stessa linea degli Hatesphere, pur se con uno stile ben diverso: gli Mnemic dimostrano infatti che i pezzi del debut album Mechanical Spin Phenomena, dal vivo, sono ancora più potenti che su disco! Ottima la performance di tuttua la band, che pesca abbondantemente anche dal nuovo album (appena uscito) The Audio Injected Soul: Deathbox su tutte, ma con pezzi come Blood Stained a svettare, grazie anche alla splendida prova offerta dal cantante Michael.
A. F.
• Disillusion
Sono stati (e non solo) per me, una delle vere sorprese del festival. In effetti anche per questa band tedesca al debutto discografico, col complesso e originale “Back to times of splendor” che unisce suggestioni opeth-iane, death, musica classica e sinfonica, e un bel po’ di moderno, 50 minuti potevano sembrare troppi, ma non sarà così alla fine. Presentandosi con la line-up “espansa” a 8 elementi, comprensiva di due coristi e un chitarrista acustico, la band capitanata dal geniale e talentuoso chitarrista/cantante Vurtox, alias Natalie Plicher si esibisce in uno show virtualmente perfetto, a parte il basso volume per la vocalist, riproducendo buona parte del debut. L’apice è con la suite omonima, dalle notevoli evoluzioni sonore e dalle contorte linee vocali, riprodotte egregiamente e con la conclusiva opethiana “The rest of sleepless hours”, entrambe abbondantemente tagliate per motivi di tempo.
Da supportare assolutamente, acquisto consigliatissimo.
D. B.
• Schandmaul
Ho aspettato con viva curiosità l’esibizione degli Schandmaul sul main stage. La band canta in tedesco, per cui l’unico modo per poterseli godere dal vivo non poteva esser altro che cogliere quest’occasione in Germania. Cugini alla lontana degli In Extremo, tanto per intendersi, gli Schandmaul richiamano parecchi fans e non deludono le mie aspettative. La loro esibizione live è pressochè impeccabile: la differenza tra quanto sentito al Summer Breeze e il live registrato sull’album “Hexenkessel” (che vi consiglio caldamente di ascoltare) è praticamente impercettibile. Suoni ottimi e grande affiatamento tra i membri della band che accompagnati da violini, percussioni, cornamusa e flauti ci regalano un’ottima performance, forte anche di pezzi come “Gebt8” o “Die Letzte Tröte” che strappano al pubblico cori e, naturalmente, tanti applausi.
P. B.
• Ensiferum
Impossibile non considerare una sorpresa anche i finnici Ensiferum, che si presentavano ai miei occhi come buona band dedita ad uno stile abbastanza vicino a quello dei connazionali Children Of Bodom: ma la loro esibizione ha lasciato la convinzione di trovarci di fronte a qualcosa di più, ed a ragazzi giovani ma già rodatissimi. Il cantante per l’occasione è Petri Lindroos dei Norther, dopo l’abbandono del vecchio singer, e vi assicuro che se non l’avessi saputo non mi sarei accorto che si trattava di un sessionist! Grande presenza scenica, ottimo impatto a partire dall’intro Ferrum Aeternum, unita alla title-track dell’ultimo disco Iron, sino agli inni Lai Lai Hei e Battle Song. Divertenti e divertiti, e ci sarà occasione di rivedere alcuni di loro più tardi lungo la giornata…
A. F.
• Brainstorm
Sulla resa dei Brainstorm in un contesto così grande avevo sinceramente dei dubbi, che sono stati però immediatamente fugati fin dall’iniziale “Highs without Lows”, opener dell’ultimo lavoro in studio. La band macina riff su riff rimanendo compatta e pesante come un macigno, con la voce dell’ottimo Andy B. Franck impegnata a disegnare linee melodiche che si incastrano alla perfezione con le ritmiche serrata della coppia di chitarristi.
Purtroppo anche in questa occasione la band mostra qualche limite dal vivo, dopo qualche canzone la loro monolicità a livello ritmico inizia ad annoiarmi un po’, comunque mi sento di dire che il loro è stato decisamente un concerto di buon livello.
M. L.
• Primordial
In una giornata funestata dalla pioggia e dal freddo (10°C), dopo il colonnello Udo, mi accingo a vedere i Primordial, ancora da solo, visto che i “poser” sono a riscaldarsi in attesa dei ‘troll. E ancora mi meraviglio del seguito che hanno all’estero, tanto da rendere forse(?) giustificabile un posto così avanti nella bill (più di Vintersorg?). Gli irlandesi, autori di un black/folk, intriso di rabbia (A Journey’s end) e tristezza repressa (Spirit The Earth Aflame) con riferimenti sia geopolitici (l’odio verso l’Inghilterra e la religione cristiana) che letterari (JP Sartre in “The Soul Must Sleep”), si presentano sul palco carichi, anche se un poco offuscati dalla figura carismatica ma forse a tratti eccessiva, del cantante A. Nemtheanga, coperto di sangue (finto) e ora coi capelli rasati. La bill è notevole, con tutti brani lunghissimi, quali l’opener di STEA. Avrei preferito più brani soprattutto dal loro capolavoro, STEA, magari di più breve durata, ma dovendo già recuperare del tempo, ci si accontenta della classica chiusura con “To Enter Pagan”, una delle loro prime canzoni (1992).
Nessuna anticipazione né dal nuovo disco, ancora in pre-produzione, né dal debut, Imrama (1995).
D. B.
• Finntroll
A notte inoltrata tocca a un manipolo di troll l’arduo compito di chiudere in bellezza quest’edizione del Summer Breeze. Purtroppo mai come in questo caso il detto “facile a dirsi, difficile a farsi” si adatta in pieno alla situazione. I Finntroll, infatti, sono costretti a iniziare in ritardo rispetto alla time-table per colpa di Danzig, che aveva concluso il suo concerto in ritardo a sua volta scatenando il disappunto dei finlandesi. L’esibizione è comunque seguita da un sacco di fans, che non si risparmiano poderosi headbanging e stage diving. Ecco quindi che il pubblico viene investito da pezzi immancabili, quali “Trollhammaren”, “Jaktens Tid” e “Ursvamp”. Ad un certo punto salgono sul palco i “soci” Ensiferum per improvvisare una distorta (ed irriconoscibile) “Rivfader”. Nonostante il risultato dell’accoppiata Ensitroll (come si sono autodefiniti) non sia tecnicamente dei migliori, l’entusiasmo del pubblico non ne risente. Purtroppo il tempo è tiranno, e se poi a invadere gli spazi altrui ci pensa Danzig… Ecco che all’una in punto, nel bel mezzo di “Grottans Barn”, sale sul palco un losco individuo dell’organizzazione del festival che senza tante polemiche stacca la spina della tastiera di Trollhorn. Così si conclude amaramente l’esibizione di una delle bands sicuramente più acclamate della manifestazione. Wilska si scusa col pubblico per l’accaduto e dopo un sano invito all’ubriacatura collettiva il Summer Breeze chiude definitivamente il sipario.
P. B.