Recensione: ב: The Black Bile

Di Alessandro Marrone - 23 Aprile 2020 - 3:33

Provenienti dalla sempre più prolifica Polonia, per la precisione dal centro di Cracovia, i Medico Peste entrano nelle file della sezione underground della Season of Mist con il coincidere del loro secondo full-length, giunto a noi a ben 8 anni di distanza rispetto all’esordio discografico che ha permesso loro di attirare le attenzioni di chi cerca sfumature più profonde in un black metal violento, ma per nulla scontato. Un’attesa che ha concesso una compattazione del gruppo di Lazarus (voce ex live performer dei connazionali Mgla), Nefar (chitarra, anche per gli Ashes, altro gruppo interessante che ha debuttato lo scorso anno con l’omonimo EP) e The Fall (basso, tuttora live performer con i Mgla) adesso accompagnati alle percussioni da Desolator e dediti nella creazione di un sound personale, che attinge con accuratezza da quegli schemi scandinavi che dettano le regole principali del genere, aggiungendo però un notevole carico personale riscontrabile sin dalla opener God Knows Why, brano che mette sul tavolo gli ingredienti pronti a caratterizzare l’album intitolato ב: The Black Bile.

Parti più veloci si intersecano con altre più ritmate, passando per digressioni atmosferiche che piuttosto che evocare il lato selvaggio delle terre disabitate del nord, si incentrano maggiormente in quel continuo tormento interiore che rende le tematiche trattate nei testi e l’incessante altalenarsi ritmico, uno tra i tanti e validi motivi per cui il disco risulta essere molto coinvolgente. Le contaminazioni si sprecano e dove per la maggior parte dei casi pizzicano il confine con ciò che viene più comunemente considerato metal – estremo e non – non temono nel dilagare anche nel grottesco, pescando in ambiti stilisticamente agli antipodi con la cella nera di oblio interiore nel quale siamo rinchiusi in pezzi quasi claustrofobici come la bellissima All Too Human. Numinous Catastrophy è un grande esempio di quanto le capacità compositive dei Medico Peste possano inserire la malinconia e misteriosa delicatezza di un pianoforte che si insegue con i dialoghi di basso e chitarra. La batteria non è cieca adepta della massima velocità, ma in ogni brano dona quel tocco che consente di far convivere un elevato tasso di bpm con l’avanzare strascicante di ritmiche legate al lato atmosferico della band. Resta il fatto che ogni passaggio è tinto di quella insita tristezza che rappresenta a tutti gli effetti la bile nera del titolo, ovvero uno dei quattro umori della fisiologia ippocratica.

Il minutaggio di ogni canzone si attesta attorno ad una media che supera i 6 minuti, ma l’abilità di rendere ogni brano diverso da quello precedente consente di addentrarsi nel disco come attraverso un corridoio buio che ci mostra soltanto ciò che un attimo prima veniva celato dall’oscurità a pochi passi da noi. L’incedere aumenta il proprio interrogativo antropologico con l’evocativa Were Saviours Believers? e soddisfa la più bieca fame di velocità e ruvidità con l’ipnotica Skin. The Black Bile è un lavoro molto articolato e nonostante abbracci uno spettro estremamente ampio di sonorità risulta essere accessibile anche da parte di chi è interessato ad un ascolto straight-forward. La produzione mette in risalto i rispettivi strumenti e la voce di Lazarus è tra le migliori che possiate trovare in ambito metal estremo, anche per via dell’incredibile espressività percepibile in brani come Holy Opium nel quale la sua quasi teatralità viene accompagnata da un ritmo incessante e che sembra voglia stordirti (magari proprio con l’oppio) e trascinarti in un onirico viaggio del quale i confini non possono essere celati. La title-track chiude un disco che non merita assolutamente di passare inosservato e non soltanto per la capacità di tenerti sull’attenti per ognuno dei 50 minuti di durata, ma perché riesce a regalare un continuo altalenare di emozioni e sensazioni, che dimostra ancora una volta come in Polonia ci debba davvero essere una fonte inesauribile di ispirazione.

Non stento a credere che sino a poco fa i Medico Peste non avessero ancora fatto capolino nella vostra playlist, ma continuare a trascurarli adesso sarebbe un grave errore. Ciò che portano con The Black Bile non stravolge il genere, ma è uno dei lavori più freschi e ispirati che siano usciti nel corso degli ultimi anni. Uno dei suoi punti di forza è proprio la libertà nel suonare e comunicare all’ascoltatore senza porsi alcun limite, ma attenzione non si tratta di avantgarde, pertanto la matrice black resta marcata e predominante sulle molteplici sfumature che rendono questo lavoro interessante e coinvolgente a tal punto da portarvi ad approfondire i suoi meandri un ascolto dopo l’altro, apprezzano in questa maniera l’eccezionale songwriting che riguarda ogni singolo brano. Un lavoro compatto con innumerevoli punti di forza e apparentemente nessun punto negativo. Da sentire e risentire.

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