Recensione: A Paranormal Evening with the Moonflower Society

Di Stefano Usardi - 20 Ottobre 2022 - 10:10
A Paranormal Evening with the Moonflower Society
Band: Avantasia
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Power 
Anno: 2022
Nazione:
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76

Tobias Sammet è, a detta di chi scrive, una di quelle persone che andrebbero preservate per il bene delle future generazioni, e questo nuovo capitolo della sua creatura Avantasia sembra fatto apposta per ricordarci che, quando si parla di power metal, non ci si deve mai dimenticare del simpatico alemanno. “A Paranormal Evening with the Moonflower Society”, in uscita domani, arriva a due anni dall’ottimo “Moonglow” e ne raccoglie l’eredità, riprendendo l’estetica di Tim Burton – e in alcuni casi anche certi temi del suo braccio destro Danny Elfman – e fornendo una sorta di motivazione paranormale alle sventure della società odierna. A questo giro la visibilità concessa agli ospiti dal lìder maximo (che ha anche trovato il modo di scherzarci sopra sui social) risulta piuttosto risicata, ma ciò non inficia minimamente la qualità complessiva del lavoro, né sminuisce il valore delle collaborazioni. In caso si potrebbe obiettare sul fatto che il profumo di deja vù si spanda in continuazione durante l’ascolto di “A Paranormal Evening with the Moonflower Society”, ma anche qui si tratta a mio avviso di un peccatuccio veniale, visto che il tiro dei pezzi – tutti studiati per essere accattivanti, diretti e melodicissimi – si mantiene piuttosto alto per tutta la durata del lavoro.

Si comincia con la melodia tenue ma velata di inquietudine di “Welcome to the Shadows”, che in breve si carica sempre più per esplodere nel classico ritornellone iper zuccheroso a cui il buon Tobias ci ha ormai abituati da tempo. La canzone mantiene questo dualismo attivo per tutta la sua durata, mescolando tensione e rapide esplosioni gioiose fino all’immancabile climax tutto cori che sfuma nel suono del carillon, che chiude il pezzo esattamente come l’aveva aperto. “The Wicked Rule the Night” mantiene l’ansia latente del pezzo precedente ma la sviluppa su binari assai più heavy. Il motivo si palesa appena dalle casse giungono gli strepiti al vetriolo di Ralf Scheepers: suo il compito di suonare la carica e donare al pezzo il suo tono rabbioso, prontamente stemperato dagli innesti trionfali e decisamente più melodici di Tobias. Un coro operistico apre “Kill the Pain Away”, pezzo propositivo ed accessibilissimo, dal retrogusto pop/rock, che permette a Floor Jansen di mostrare una volta in più il suo strapotere vocale. Il pezzo ha indubbiamente una bella botta, ma forse proprio per il suo piglio così ruffiano o per il retrogusto fin troppo intenso di già sentito mi ha lasciato soddisfatto ma non entusiasta: per fortuna l’apporto della Jansen risulta il vero quid in più che fa dimenticare ogni remora. È ora il momento di “The Inmost Light”, in cui Michael Kiske, ospite di turno, viene supportato da un pezzo cucitogli addosso: un power teutonico che strizza più di un occhio al classico stile Helloween. Anche qui niente da dire, pezzo prevedibilissimo nel suo dipanarsi attraverso melodie enfatiche sparate a velocità importanti, ma impeccabile per quanto riguarda messa in posa ed esecuzione. Si passa ora alla delicata “Misplaced among the Angels”, introdotta dalla voce di Tobias che si adagia su una melodia di piano. L’esplosione melodica che decreta l’inizio vero e proprio del pezzo introduce nuovamente la Jansen, che sfrutta qui un registro meno imperioso e, nonostante il poco spazio di manovra, contribuisce con la consueta classe alla creazione di una ballata efficace. “I Tame the Storm” suona la sveglia, rialzando i giri del motore col suo stile indomito fatto di melodie maschie, ritmi pulsanti e Jorn Lande. Il cantante norvegese, fidato compare di Tobias, riesce a sfruttare il tempo concessogli per dare la giusta grinta al trionfalismo del pezzo, rialzando il tasso d’interesse in vista della successiva “Paper Plane”. I ritmi si abbassano di nuovo, permettendo alle melodie di illanguidirsi e concedendo terreno fertile a Ronnie Atkins. La traccia si sviluppa sul sentiero fin troppo canonico della ballata enfatica e lacrimevole, ma ciò che le permette di smarcarsi in extremis dal pantano delle “tracce così così” è la triangolazione di fuoco data da melodie cariche di pathos, intrecci vocali suadenti e un piglio abbastanza fascinoso. Si arriva ora a “Moonflower Society”, ed è qui che Tobias cala il carico: ritmi pieni, ottimo tiro e melodie dosate con gusto basterebbero a farne uno dei punti più alti del disco, poi arriva Bob Catley e posa la classica ciliegina sulla torta. Una melodia frenetica e la voce di Eric Martin aprono “Rhyme and Reason”, pezzo che recupera un andamento rockeggiante languido e sornione durante la strofa e poi esplode in un ritornello ipersolare che non può non mettere di buon umore. Bello anche il solo cafoncello che apre alla rincorsa per il climax finale. Toni blandi e oscuri aprono “Scars”, bel pezzo dai profumi variegati in cui Tobias duetta con un Geoff Tate che distribuisce classe ad ampio spettro, destreggiandosi sia nei momenti più sottotraccia che durante la maestà del ritornello. Il sipario su “A Paranormal Evening with the Moonflower Society” si chiude sulle note della lunga “Arabesque”, che a una intro marziale ed epicheggiante fatta di tamburini e cornamuse contrappone uno sviluppo quadrato e arioso, screziato da pennellate vagamente mediorientali su cui Lande e Kiske ricamano linee vocali di volta in volta sognanti e propositive. La suite di dieci minuti si sviluppa su registri diversi, volteggiando – come ormai da tempo Tobias ha abituato il suo pubblico di fedeli – tra picchi epici e fraseggi languidi, passando per alleggerimenti più dimessi e melodie accattivanti fino ai classici botti del climax finale, che chiude degnamente un lavoro ben fatto e con un paio di pezzi capaci di svettare. Nonostante la sua ruffianeria a volte troppo marcata Tobias Sammet colpisce di nuovo il bersaglio: “A Paranormal Evening with the Moonflower Society” si conferma un bel disco, che fa dell’immediatezza e dell’estrema accessibilità i suoi punti forti. Certo: non c’è niente di nuovo sotto il sole, ma se la torta è buona perché cambiare la ricetta?

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