Recensione: A Sense of Purpose

Di Davide Iori - 15 Maggio 2008 - 0:00
A Sense of Purpose
Band: In Flames
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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76

La musica del pensiero debole.
E’ il 1953 quando viene pubblicato postumo Ricerche Filosofiche, libro di Ludwig Wittgenstein nel quale il filosofo, tra le altre cose, sottolinea come l’area semantica di un termine identificata mediante l’esperienza spessissimo non sia racchiudibile all’interno di una definizione. Provate ad esempio a dire cos’è un gioco: sicuramente riuscirete a trovare una frase che al suo interno racchiuda la maggior parte delle attività che comunemente vengono identificate come “giochi” appunto ma, statene certi, ci sarà sempre una piccola percentuale di esse che sfuggirà ai vostri tentativi di imbrigliarla, di tenerla stretta ad una serie di condizioni. Scacchi, calcio, solitario di Windows, guardie e ladri, saltare la corda… come mai, pur non riuscendo a capire cos’è che accomuni tutte queste cose, noi le identifichiamo ugualmente mediante lo stesso termine? Per spiegare tutto ciò Wittgenstein conia il concetto di “somiglianze di famiglia”: mediante una definizione (esplicita o implicita) riusciamo ad identificare un corpo centrale di enti che cadono all’interno dell’area semantica del termine prescelto poi, mano a mano che veniamo a conoscenza di ulteriori enti che hanno la maggior parte delle caratteristiche in comune con quelli già racchiusi nella suddetta area semantica, siamo tentati di identificare anch’essi con il termine dato e così via. Mano a mano che il processo prosegue ci si ritrova ad usare la stessa parola per richiamare enti che non c’entrano praticamente più gli uni con gli altri.

Se accettiamo come legittima l’attività di inclusione in un concetto operata mediante l’utilizzo delle somiglianze di famiglia, cosa che è stata fatta dal pensiero debole, oggi particolarmente in voga nonché teorizzazione concettuale del politically correct, ci ritroviamo costretti ad applicarla anche all’interno dei generi musicali. Ed è qui che arriviamo agli In Flames.

Una vita spostando il confine.
Fin dalla loro origine gli In Flames si sono caratterizzati per comporre musica che andava di poco oltre quanto consentito dai limiti della definizione comune di death metal, ma che aveva così tante caratteristiche in comune con essa che non era proprio possibile negare la sua appartenenza al genere. Capolavori come Whoracle, Colony e The Jester Race contribuirono a definire quello che venne chiamato death metal melodico dunque, ma i nostri non si fermarono sugli allori raggiunti e sulla fama acquisita, continuarono invece a sfornare album ciascuno dei quali abbandonava qualche caratteristica del CD che lo aveva preceduto in favore di una maggiore melodicità, ma che manteneva così tante caratteristiche in comune con esso che non ci si sentiva proprio di dire che i nostri avessero abbandonato il sentiero che loro stessi avevano aperto per darsi ad un altro tipo di musica. Se in dischi come Clayman o Reroute to Remain si poteva ancora parlare di legittimi tentativi sperimentali, i successivi Soundtrack to your Escape e Come Clarity scatenarono lo scontento dei fan della vecchia guardia, tanto più che Jasper e company avevano pure smesso di suonare dal vivo i tanto amati capolavori del passato, forse per soddisfare una nuova audience abituata a ben altre sonorità. Sia ben chiaro, non si sta discutendo qui del valore artistico di opere che, escludendo rare cadute di stile, sono sempre rimaste su livelli qualitativi molto alti, le considerazioni fatte finora riguardano unicamente il loro stile musicale.

A Sense of Purpose.
AD 2008, esce a Sense of Purpose. Ancora una volta ci si ritrova di fronte ad un disco che suona In Flames in ogni sua parte e che eppure fin dal primo ascolto mostra come i nostri si siano ulteriormente ammorbiditi. Fossimo fautori del pensiero debole daremmo un’alzata di spalle e ci metteremmo a recensire l’album senza ulteriori considerazioni, ma, siccome siamo vecchi, antiquati e ancora non riusciamo a staccarci del tutto da una desueta mentalità da defender, non possiamo proprio esimerci dal prendere il martello in mano, alzarlo al cielo e, inneggiando ad Odino e compagnia, affermare: “E’ ora di inchiodarli alle loro responsabilità”. E allora via al track by track… ma non inteso come pezzi, inteso come tracce strumentali sulla vostra DAW preferita.

Le chitarre. Ecco a cosa si attaccano gli In Flames per rimanere fedeli a se stessi: al riffing di chitarra che loro stessi hanno inventato e che viene qui riproposto fedelmente, con ritmiche accattivanti e melodie armonizzate cantabilissime ad accompagnare la voce in un tripudio di facile ascoltabilità. Nonostante oramai i nostri siano un prodotto per il mainstream non rinunciano ancora agli assoli e, bisogna dirlo, Bjorn Gelotte e Jesper Stromblad fanno un lavoro egregio, sfoderando un gusto non indifferente e facendo sì che le loro parti risultino le migliori dell’album ed anche le più fedeli all’antico spirito del Giullare.

Il basso. Nonostante sia alquanto bistrattato e nelle produzioni odierne, soprattutto metal, conti come il due di picche (è l’unico strumento che ancora oggi viene registrato a traccia unica) il basso è lo strumento che più di ogni altro indica la filosofia della produzione di un disco, anche perché è quello che più spesso viene lasciato alla mercé del direttore artistico in quanto a scelta di suoni. Basta dare un’ascoltata sommaria per capire come le differenze rispetto anche solo al precedente Come Clarity siano evidenti: se nell’album del 2006 infatti esso era splettrato, distorto e si ritagliava il suo spazio anche sulle frequenze medie, aggiungendo un’aggressività non indifferente al tutto, in A Sense of Purpose lo ritroviamo decisamente spostato sulle basse, probabilmente suonato con le dita e caratterizzato da un attacco tanto morbido da ricordare il suono d’accompagnamento di un disco pop. Lo sferragliamento c’è ancora, e rimane percepibile ad ascoltare con attenzione (magari in cuffia), ma è davvero poca cosa in confronto al passato.

La batteria. E’ un fatto che In Flames non abbiano mai stupito il proprio pubblico con sfuriate di batteria assurde o blastbeats al fulmicotone, ma è anche vero che fino a Come Clarity qualche momento di aggressività pura era rimasto, ad esempio l’inizio di Take This Life con il cassa/rullante con cassa e ride raddoppiati, c’erano per la gioia dei vecchi affezionati. Naturalmente Daniel Svensson non si è messo a suonare in shuffle per questo album, il suo lavoro rimane di stampo rock-metal, tuttavia si può notare come le tecniche tipiche di questo ambito (cassa-rullo e doppio pedale solo per citare le più comuni) siano dosate col contagocce e vengano inserite unicamente quando la canzone proprio non è in grado di farne a meno. Aggiungiamo a tutto ciò un suono di rullante molto asciutto e rimane a ricordarci che quello che stiamo ascoltando dovrebbe essere un disco Death soltanto il suono della cassa, davvero ben registrato, ma su questo non avevamo dubbi.

La voce. Anders Frieden ha abbandonato lo screaming. Ok, prima che coloro che hanno già ascoltato il disco si mettano a postare insulti sotto questa recensione specifichiamo cosa si intende con questo termine. Lo screaming (come il growl, lo shrieking, le pig vocals…) è una tecnica mediante la quale il cantante smette di esprimere note e fa diventare la propria voce uno strumento a suono indeterminato, esattamente come lo è il piatto di una batteria. Sugli spartiti dati alle agenzie per la tutela dei diritti d’autore (es SIAE) le linee vocali fatte a questa maniera vengono rese mediante note crocettate che indicano unicamente la durata del suono espresso, ma non la sua altezza sul pentagramma. Bene, il signor Frieden in A Sense of Purpose canta in maniera sicuramente sporca, usando un graffiato che potremmo definire estremo, ma è un fatto che ciò che fa con la sua voce rimanga identificabile a livello di note, tanto più che spesso alla traccia per così dire cattiva egli ne affianca una o più d’una che, tenuta in secondo piano, doppia la linea principale esplicitando in pieno le note. Qualche urlaccio rimane, ma viene usato in senso potremmo dire “cosmetico”, un intervento ben calcolato all’interno di un ambiente che oramai si aggira su ben altre sonorità. Naturalmente i cori melodici si sprecano e rimangono in pieno stile In Flames, facendo sì che la prova del cantante sia davvero pregevole oltre che ottimamente prodotta ed arrangiata, ma, ancora una volta, su questo non avevamo dubbi.

Addio alle armi.
Gli In Flames suonano ancora death metal? Forse è giunto il momento di ammettere che no, non lo fanno più. Cosa suonano oggi? Un heavy metal abbastanza aggressivo che ogni tanto strizza l’occhio a quanto fanno gruppi come Rage, Iced Earth oppure a quanto fecero i Sentenced a loro tempo da Down in avanti. Naturalmente i nostri mantengono la personalità propria di una band che ha fatto storia e tendenza all’interno del metallo in senso lato, quindi non scadono ad imitare, andando avanti per la loro strada anche quando escono dal percorso nel quale erano stati seguiti da miriadi di followers. Niente breakdown, niente riff a pivot nel tentativo di diventare metalcore, solo buona musica in un disco abbastanza vario che, ne siamo sicuri, farà la loro fortuna presso il grande pubblico, se ce ne fosse ancora bisogno. Pur non avendo canzoni capaci di trapanare le orecchie ed entrare in testa alla gente ergendosi prepotentemente sopra la media A Sense of purpose è capace di regalare numerosi momenti emozionanti, come ad esempio Sleepless Again, Drenched in Fear oppure l’accattivante Move Through me, a parere di chi scrive la miglior traccia del platter. Delusioni sentimentalistiche a parte dunque questo è un album godibilissimo, che tuttavia manca dello sperimentalismo di Reroute to Remain, della introspettiva solennità di The Jester Race e dell’aggressività di Come Clarity. Essendo che a queste caratteristiche nulla si è sostituito, se non un’ancor più spiccata vena melodica (cosa comunque presente in tutti gli album del giullare) non si può far altro che dire che questo disco, sebbene sia bello, è inferiore ai suoi predecessori.

Tracklist
1- The Mirror’s Truth
2- Disconnected
3- Sleepless Again
4- Alias
5- I’m the Highway
6- Delight and Angers
7- Move Through Me
8- The Chosen Pessimist
9- Sober and Irrelevant
10- Condamned
11- Drenched in Fear
12- March to the Shore

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