Recensione: A work of art

Di Beppe Diana - 10 Marzo 2002 - 0:00
A work of art
Band: Mind’s Eye
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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85

Veramente audace il sentiero sonoro intrapreso dagli svedesi Mind’s Eye, quartetto con base operativa in quel di Stoccolma, che partito come band di prog metal con Dream Theater e Fates Warning come numi tutelari, è riuscito album dopo album a smussare tutte le piccole imperfezzioni tanto da rendere la propria proposta musicale quanto più di particolare e personale possibile creando un riuscito melange sonoro che che spazzia fra riminiscenze di Rush, Kansas e un pizzico di AOR Journey style, con qualche incursione in territori prog soprattutto per quanto riguarda la struttura e gli arrangiamenti alquanto complicati dei brani.

Una caratura tecnica ben al di sopra della media di molti altri acts magari più quotati, ma in possesso neanche della metà dell’inventiva dei nostri, fanno di “A work of art” un disco degno di nota. Soprattutto la sezione ritmica mi sembra molto coesa e in grado di strabiliare, infatti sia Johan Niemann che Daniel Flores, rispettivamente basso e batteria, ci offrono una prestazione di altissimo livello, cadiuvati alla grande dal talento creativo di Fredrick Grunberger un guitar player molto duttile in possesso di un gusto chitarristico più vicino a un certo tipo di melodic rock che al metal vero e proiprio, e un cantato particolare e coinvolgente che di certo rappresenta il perno su cui ruota la riuscita dell’intero lavoro.

Una serie di brani intricati e per certi versi spiazzanti, dove a farla da padrona sono la perizia esecutiva e la sperimentazione così che “Courage within“, il brano che apre le danze, è una vera e propria dichiarazione di intenti, dove linee di chitarra impressionanti e lievi divagazioni tastieristiche degne dei Rush più melodici e catchy (periodo “Power windows” tanto per intenderci) cesellano una cascata di note d’inaudita bellezza. La seguente “Moment of honor” poi è uno dei pezzi più interessanti del paltter in esame, una sorta di prog rock proiettato verso nuove dimensioni difficilmente focalizzabili, mentre la ballads “Roll the dice” è una di quelle song calde e coinvolgenti che vi accarezzerà l’anima travolgendovi in un turbinio di molteplici sensazioni che hanno il culmine sulle note della tellurica “The shape of salvation” di sicuro il brano più heavy del lotto.

Le coordinate in cui si muovono i brani restanti sono più o meno le stesse, con la band che si diverte a mescolare le carte creando affreschi dai contorni sognanti e pacati. In definitiva un lavoro decisamente importante, che potrebbe dare una scossa al modo di intendere oggi il metal progressivo, quindi se siete in cerca di un disco intelligente e stimolante, cercate di essere un tantino open mind ed uscite dai soliti ghetti formati da coordinate prestabilite e trame sonore tutte simili poichè per quanto questo disco possa apparire inizialmente lontano da certi canoni tipici del genere, potrà di certo farvi cambiare la concezzione della parola musica, fidatevi.

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