Recensione: Acheron

Di Roberto Gelmi - 24 Agosto 2019 - 6:34
Acheron
Band: OverKind
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2018
Nazione:
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75

Si presenta in modo invitante l’opera prima degli italiani OverKind… a partire dall’artwork suggestivo e dalla tracklist, composta da dodici composizioni divise in nove gironi danteschi.  Il fatto di volersi cimentare con la Commedia, del resto, mostra subito il carattere e la personalità messe in campo dal combo veneto. Ma facciamo un passo indietro.
Gli OverKind nascono nel luglio del 2016 a Verona dalle ceneri della prog metal band Fatal Destiny (con all’attivo l’album Palindromia) e dalla sinergia tra il chitarrista Riccardo Castelletti, il bassista Filippo Zamboni e il cantante Andrea Zamboni; in un secondo tempo si unisce alla band il batterista Nicolò Fraccaroli. A loro dire «l’obiettivo del nuovo progetto, come suggerisce il nome stesso, è quello di portare avanti un concetto ed una visione totalmente privi di vincoli e limitazioni dettate dalla definizione di un linguaggio musicale statico. Niente etichette, solo musica.» Acheron, uscito a fine 2018, vuole riassumere tale dichiarazione d’intenti e per certi versi raggiunge l’obiettivo prestabilito. Il disco è liberamente tratto dalla prima cantica della Divina Commedia, ma attualizza il suo contenuto calandolo in vicende presenti: i testi, infatti, parlano di sentimenti eterni e nei gironi dei dannati è facile ritrovare i tormenti dell’uomo d’oggi.

Fatta questa premessa, le aspettative sono abbastanza alte, passiamo allora all’ascolto. La title-track è un opener con un certo potenziale, nonché brano più lungo in scaletta. L’inizio è da manuale: potente e scenografico, riesce a proiettarci immediatamente nel contesto del concept. Il ritmo è sostenuto, ma non sincopato, la padronanza tecnica strumentale discreta; non ci sono tastiere e le chitarre si divertono su ritmiche quadrate e bending vari. La voce di Andrea Zamboni, infine, non è di facile accostamento, nei primi minuti potrebbe risultare a tratti sgradevole, ma basta abituarsi al suo stile canoro. “Love Lies” mette in musica la vicenda tormentata dell’amore passionale per antonomasia, quello tra Paolo Malatesta e Francesca da Rimini. Ci riesce solo in parte, proponendo un sound groovy e liriche a tratti ben concepite (e.g. «if you look into inside yourself / nothing shines and all is bleeding.») “Cerberus” gioca sulla dissociazione tra testi e musica: il sound rifugge lidi metal, mentre Andrea Zamboni canta di greediness (ingordigia) e s’immedesima in un dannato felice di vedersi lacerato dalla “fiera crudele e diversa (che) caninamente latra”. Una scelta rischiosa ma tutto sommato riuscita. Dopo un breve intermezzo strumentale fatato (che richiama alla mente i Metamorfosi, artefici di una trilogia ispirata a Dante), “Anger Fades” attacca con un unisono debitore dei Dream Theater. Il pezzo a firma dei fratelli Zamboni regala un buon assolo di chitarra e le parti vocali finalmente funzionano alla grande. Le canzoni che seguono parlano di violenza, guerra e ipocrisie; i cerchi di riferimento sono il sesto e il settimo. Si tratta, anzitutto, di due ballad, entrambe con un approccio vocale ambizioso (che a tratti cita l’ugola d’oro del compianto Andre Matos). “Flames” convince leggermente meno di “Hollow Man’s Secret”, ma i testi dei pezzi sono ugualmente validi (con alcuni versi notevoli, e.g. «she’s a shell of nowhere»). La successiva “My Violent Side” presenta alcuni minuti magici di voce-pianoforte (il miglior momento lento del disco), mentre “All Is Gray” è un pezzo tirato senza infamia e senza lode. Da segnalare, invece, la parte finale di “End Of A Soulless Thief” (ottavo cerchio), con un guitarwork raffinato e d’atmosfera. Nel finale d’album c’è spazio ancora per della buona musica. I due minuti di pianoforte (alla Savatage) di “Traitor’s Letter” introducono infatti l’ultimo brano pensato nel nono cerchio, “The Fiend (Tales Of Ordinary Madness)”. Non parla di Lucifero ma di un’anima in cui il male ha messo ormai radici profonde; divenuto quasi bestia, l’uomo in questione si dedica all’alcool e vive nello squallore. Il sound è vicino a quello dei Fates Warning e il platter si chiude senza sbavature.

In conclusione Acheron è un album più che discreto, presenta alcuni momenti pregevoli ed emerge chiaramente la voglia degli OverKind di proporre musica composta con determinazione e chiarezza d’intenti. Per crescere la band veronese dovrà puntare su una maggiore diversificazione del suo ventaglio sonoro e affinare alcune soluzioni compositive, per il resto questi quattro ragazzi hanno un roseo futuro davanti a loro.

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

 

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