Recensione: All Occupied By Sole Death

Di Alessandro Marrone - 17 Giugno 2021 - 3:33

Formatosi attorno all’anno 2017 in quel di Minsk – Bielorussia – il quartetto dei Khandra è uno dei numerosi nomi che intendono proferire il verbo oscuro nella già affollata risma di eccezionali proposte di cui godiamo in questo fertile lustro. Se inizialmente era tutto come una gradita festa a sorpresa, ci stiamo quasi abituando alla scorpacciata di malignità che trasuda dagli scaffali digitali, con aspettative sempre più alte ed esigenze sempre più severe. Ecco perché tra le innumerevoli autoproduzioni, demo e debutti vari, è utile prestare attenzione dove chi sa fare il proprio lavoro abbia già avuto modo di valutare un paio di demo e consentire alla band di turno di arrivare al debutto discografico. Si tratta della Season of Mist e della sua divisione Underground Activists: per loro non c’erano dubbi, i Khandra erano pronti per il grande passo e affiancarsi così ai big del black metal dell’est Europa, un calderone sempre più ricco di band e di un sound ben definito, che ormai non ha più nulla da invidiare ai precursori scandinavi.

Con un sinistro e incessante gocciolio che rompe il vuoto silenzio del buio, Mute Moleben introduce la prima vera e propria canzone del disco. Irrigating Lethal Acres With Blood non va molto per il sottile e lascia che l’attesa servita da un preambolo ritualistico ceda spazio ai canonici schemi del black metal. Come per molte produzioni provenienti dall’est Europa, a farla da padrona non sono soltanto tratti melodici marcati da dissonanze e da un certo gusto nel diminuire il tasso di bpm in favore di ritmiche più serrate e che consentano una maggiore elevazione della violenza sonora nel preciso istante in cui i blast beats giungono a dettare le file di un’armata di corpi ormai privi di ogni minimo brandello di pelle. Ogni canzone dell’album si attesta su un minutaggio che prende il proprio tempo, delineando costruzioni atmosferiche pervase da un senso di irrequietezza esaltato dai numerosi cambi di tempo. I Khandra non si muovono però senza una bussola, anzi sembrano trovarsi perfettamente a proprio agio nel tetro ventre di una foresta di cadaveri, recuperando attimi che denotano una maturità compositiva di tutto rispetto e quel gusto che non potrà che appagare chi per esempio tiene gli ucraini Drudkh tra le proprie preferenze, il tutto senza necessariamente avere il supporto di sezioni acustiche.

Nothing But Immortality For Aye prosegue il discorso intrapreso, con una bella profondità garantita dall’ottima sezione ritmica e dalla voce di Uladzimir, abile nel gestire i tempi e l’intensità delle sfumature offerte da un altro brano solido e che dopo già un paio di ascolti consente di realizzare quanto non si tratti di canzoni semplici, scritte di getto, ma piuttosto articolate e in grado di offrire luce – o tenebra – ad ogni singolo strumentista. A questo punto un altro combo che viene alla mente è quello dei polacchi Mgla, ma è importante sottolineare come i Khandra riescano costantemente a rendere personale il proprio sound. In Harvest Against The Sun è uno dei due brani più lunghi dell’album, superando di poco i 7 minuti di durata. Lo schema di utilizzare un segmento introduttivo per poi stravolgere il tutto sembra a questo punto divenire un pattern caro al quartetto, ma è il concitamento e la frenesia del brano in questione che riesce a mostrare un lato – tecnico e non solo – che mostra una band che ha davvero molto da dire e che forte di un’identità estremamente sfaccettata non ha problemi nel mietere adepti anche all’interno di quella fascia più estrema del death metal.

With The Blessing Of Starless Night è il fatidico giro di boa ed ha il difficile compito di mantenere alta la concentrazione. Decide di farlo con una velocissima corsa sui binari di una notte nera come la pece, illuminata soltanto dalle fervide fiamme di un cavaliere in dorso a un oscuro destriero. Tutto attorno, la distruzione e la desolazione più totale, pronta a far ripiombare il mondo nell’abisso di silenzio dal quale è stato improvvisamente svegliato. Costui è Thanatos – come recita il brano successivo – che nella mitologia greca personifica proprio la morte. Una “piccola suite” da circa 8 minuti, atmosferica, evocativa, onirica, esoterica e pregna di quei tratti che descrivono in musica la fine di ogni cosa, ciò che porta il mondo ad essere la rappresentazione della traccia di chiusura, prontamente intitolata All Occupied By Sole Death (nonché title-track). Probabilmente il brano più diretto e che nonostante si sviluppi oltre i 6 minuti trasferisce una violenza costruita nel corso degli episodi che l’hanno preceduta. Funziona, eccome se funziona.

L’esordio dei bielorussi mette in mostra una band matura ed a proprio agio con i rispettivi strumenti. Nonostante il disco sia parecchio piacevole e ricco di spunti interessanti, soprattutto con una serie di ascolti più concentrati si può percepire uno schema ripetuto più volte e che alla resa dei conti penalizza il giudizio finale di una manciata di punti. L’ottima produzione e la capacità di coinvolgere nelle parti più lente come in quelle più sostenute sono però un punto a favore e altro non fanno che suscitare grande rispetto per i Khandra, dai quali ci aspettiamo un prossimo lavoro ancora più maturo e in grado di eccellere sotto tutti i punti, obbligatori per rendere un buon disco, un ottimo lavoro. Ancora una volta la Season of Mist è riuscita a portarsi a casa un altro valido nome che sarebbe stato un peccato lasciare disperso nelle desolate terre della discografia indipendente.

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