Recensione: Angel Down

Di Stefano Gardini - 19 Gennaio 2011 - 0:00
Angel Down
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Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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80

Quando in un disco suona gente del calibro di Steve DiGiorgio (Sadus, Death e Testament su tutti), Mike Chlasciak (Halford), Bobby Jarzombek (Riot, Halford, Juggernaut e Spastic Ink) e al microfono troviamo un certo Sebastian Bach, abbiamo già una certezza: non può essere suonato male. Ma questo, ovviamente, non basta per giudicare pienamente un lavoro discografico.

Personalmente ho sempre ritenuto che un album, di qualunque genere musicale esso sia, per poter essere esaminato appieno debba essere valutato sotto tre aspetti: il modo in cui è suonato (cioè il lato tecnico/esecutivo), la capacità o meno che ha di trasmettere energia e, infine, la qualità del songwriting.

Per quello che concerne il primo punto, abbiamo già visto la levatura degli artisti, e l’ascolto non delude le aspettative: la ritmica ha sempre il giusto “tiro”, sempre la giusta dinamica, il basso suona pieno e rotondo dimostrando come DiGiorgio (se mai ce ne fosse ancora bisogno) abbia non solo la tecnica ma anche il gusto musicale per poter eseguire qualunque genere, non rinunciando ad impreziosire i pezzi con il suo inconfondibile genio. Le due chitarre suonano genuinamente moderne, proponendo un lavoro sicuramente pregevole, incastrandosi alla perfezione in una simbiosi in cui riveste grande importanza la ritmica, il groove e il “riffing”: gli assolo, ove presenti, vengono limitati al minimo e non occupano mai una parte consistente della canzone. La sensazione che permea il disco è quella di un effettivo coinvolgimento emotivo da parte dei musicisti, aspetto che conferisce doti di grande fascino all’intero album.

Per quanto riguarda l’energia, in “Angel Down” ne troviamo in abbondanza: in questo, gioca un ruolo chiave proprio il cantato, più maturo, espressivo e carismatico che mai. Evidente contribuito sono state di certo le vicissitudini personali vissute dallo stesso Sebastian Bach, singer capace di “entrare” nei brani per farli esplodere, modulando la voce in maniera spettacolare ed avvincente.

Infine, il songwriting. La qualità è di alto livello, ispirato, sempre in equilibrio tra reminiscenze degli Skid Row degli esordi ed un flavour attuale: significativo notare come tutti i componenti del gruppo abbiano partecipato alla stesura delle canzoni, cosa che giova molto alla salute delle stesse, vista la purtroppo frequente casistica di dischi “spompati”, partoriti da nomi altisonanti che incidono platter insieme senza nemmeno incontrarsi durante le varie fasi di realizzazione.
Ai colori cupi della copertina, raffigurante un’opera di David Bierk (padre di Sebastian), pittore postmoderno scomparso nel 2002 che aveva già curato l’artwork dell’album “Slave To The Grind” degli Skid Row, spetta il compito di prepararci alle atmosfere dei temi trattati nelle lyrics: per lo più i rapporti conflittuali tra gli esseri umani.

Di rilievo: la produzione di Roy Z come al solito impeccabile e la partecipazione di Axl Rose su tre brani uno dei quali, “Back in the saddle”, è in realtà una cover degli Aerosmith.
Ultima nota di merito per “You Bring Me Down”, traccia composta da Ralph Santolla.

In definitiva un disco di grande hard rock a nome di un artista, trentanovenne nell’anno di questa incisione, in forma smagliante.

Grande Sebastian, 39 and life!!

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Tracklist:

1 – Angel Down (3:48)
2 – You Don’t Understand (3:06)
3 – Back In The Saddle (4:19)
4 – (Love Is) A Bitchslap (3:08)
5 – Stuck Inside (2:57)
6 – American Metalhead (4:02)
7 – Negative Light (4:33)
8 – Live And Die (3:53)
9 – By Your Side (5:27)
10 – Our Love Is A Lie (3:20)
11 – Take You Down With Me (4:37)
12 – Stabbin’ Daggers (3:41)
13 – You Bring Me Down (3:16)
14 – Falling Into You (4:21)

Line-up:

Sebastian Bach: vocals
“Metal” Mike Chlasciak: guitar
Johnny Chromatic: guitar
Steve DiGiorgio: bass
Bobby Jarzombek: drums

Axl Rose: voce nelle tracce 3, 4 e 5
Adam Albright: chitarra nella traccia 1
Ed Roth: piano nelle tracce 9 e 14
 

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