Recensione: Antimony

Di Alessandro Marrone - 21 Febbraio 2023 - 6:00

Antimony, proprio come l’elemento chimico (l’antimonio appunto) utilizzato per uccidere l’avvocato Charles Bravo in uno dei casi più misteriosi e tuttora irrisolti del XIX secolo. Come non sarebbe potuto essere un concept album, questo quarto lavoro degli Ashen Horde, gruppo che più di ogni altro è stato in grado di ritagliarsi un posto d’onore in un genere autocondotto a cavallo tra death, black e metal tecnico di matrice estrema. Dopo quattro anni dall’ottimo Fallen Cathedrals, si ritorna in studio per approfondire un legame quasi esoterico con un’identità musicale ben distinta e subito riconoscibile in mezzo a mille, in grado di appagare una cerchia notevolmente ampia di metalheads, senza per questo motivo scendere ad alcun tipo di catalogazione assoluta e mantenendo al centro dell’intero disco un songwriting ispirato e in costante mutazione, tuttavia capace di essere permeato da riffing duri come il marmo e una sezione ritmica mai scontata.

La Transcending Obscurity Records conferma ancora una volta di avere tra le proprie fila realtà molto interessanti e la produzione cristallina si amalgama alla perfezione con un drumming mai troppo filtrato, ma neppure puramente analogico – che su ritmiche così serrate penalizzerebbe l’impatto sonoro – e l’atmosfera decadente del più tradizionale death metal a stelle e strisce. Insomma, tanti elementi che fungono sia da catalizzatore che da bussola per chi magari conserva nel cuore i fasti death e black metal che in questo specifico caso riescono ad amalgamarsi creando un sentore apocalittico velenoso e letale come l’antimonio.

La storia procede avvincente e misteriosa, analizzando l’accaduto da ogni possibile punto di vista, mentre i brani si susseguono, ognuno con una forte connotazione rispetto a quello che lo precede ed a quello che lo seguirà, intrecciando la voce di Boiser con la magistrale ispirazione di Portz e soci. Uno degli aspetti migliori di Antimony è proprio il fatto che riesca a far brillare ogni canzone e al contempo rendere ogni singolo episodio parte integrante del complessivo. Il passaggio tra la violenza di The Consort e la malsana melodia di The Barrister ne sono un esempio su tutti. Incredibilmente, nonostante la ricercatezza stilistica, Antimony ha l’enorme merito di riuscire ad arrivare ad un ascoltatore meno esigente, quanto a coloro che cercano – e trovano – qualche richiamo agli ultimi Death di The Sound of Perseverance mescolati e agitati con l’umido tocco di un black metal suonato con padronanza dei propri strumenti e cognizione di causa verso un disco eccezionale sotto ogni punto di vista. Sappiatelo, io ci sento anche un tocco di Nevermore.

The Courtesan sale in cattedra mostrando le indubbie qualità tecniche del combo, mentre The Physician conferma che velocità e violenza possono convivere con cambi ritmici che contribuiscano alla causa di un album ispirato dal primo all’ultimo minuto. Che poi, qualche attimo di stanchezza si riesce comunque a percepire (The Disciple) confermando che per un lavoro di questo tipo, qualche minuto in meno sull’orologio sarebbe potuto essere una soluzione ottimale, sia per anticipare il giro di boa, che per rendere il tutto ancora più assimilabile, anche perché Animus Nocendi rivela come gli Ashen Horde abbiano tenuto per l’epilogo uno dei più compatti episodi dell’intero disco. Detto questo ed escludendo l’inutile cover messa in fondo come una bonus track dimenticata lì, Antimony resta un modo sensazionale per cominciare il nuovo anno, un disco che sicuramente viaggerà spesso sulla lunghezza d’onda di chi ha il palato fine, come di chi apprezzerà lo spessore sonoro di una tra le migliori realtà in circolazione oggi.

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Band: Ashen Horde
Genere: Black 
Anno: 2023
80