Recensione: Argentum

Di Matteo Orru - 3 Marzo 2019 - 0:03
Argentum
Band: Urarv
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2018
Nazione:
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68

Che peso si può dare a oggettività e soggettività in una recensione, o meglio, al commentare un disco? Il tutto sta in un labile equilibrio che è facilissimo far venire meno. Spesso e volentieri subentrano valori affettivi, temporali, logistici e, perché no, metereologici che portano a una valutazione in maniera più o meno diversa rispetto a chiunque altro lo abbia ascoltato.

Quante volte ci si scontra, anche in maniera più o meno accesa, sulla bontà di una canzone o di un full lenght? Infinite! “Hai sentito che figata il nuovo disco dei “****”? E’ bellissimo!!!!”…e prontamente la risposta dell’ amico con la birra in mano e il chiodo in pelle nera usurato da mille e passa concerti: “Ma stai scherzando? Si sono venduti!!! Ora sono diventati “commerciali”!”….oppure “Bah, preferivo i loro primi dischi, ora han perso l’ispirazione”.

Quest’esempio può essere riportato all’infinito per altrettante infinite situazioni che abbiano come soggetto di dibattito band storiche o emergenti.

In questo specifico caso parliamo degli Urarv, combo norvegese al loro secondo disco ma non di certo dei pischellini alle prime armi. Quel pazzo scatenato di Aldrahn, qui in veste di vocalist e chitarrista, è personaggio ben noto nell’ambiente underground scandinavo avendo già militato con band iconiche che portano il nome di Zyklon-B e Thorns tra le altre.

Ma perché tutta quella pappardella iniziale? Semplicemente perché l’ascolto di questo Argentum ha suscitato effetti e sentimenti contrapposti. Cosa che ha i suoi lati positivi come, altrettanti negativi; unidirezionalmente avrebbe potuto suscitare subito entusiasmo da facile assimilazione, d’altro canto alcune cose che ti fanno prima storcere il naso possono rivelarsi vincenti in un secondo momento.

Argentum è tutt’altro che un brutto disco, anzi. Ma cosa funziona e cosa no?

I pro: trattasi di un dischetto di puro black metal di chiara matrice norvegese ma contaminato da un’ infinità di ispirazioni che vanno dall’ avantgarde, al thrash, all’atmospheric e chi più ne ha più ne metta. Dopo un’intro la cui utilità è vicina allo zero assoluto, l’attacco di Krakekjott è grandioso; un motopicco nella nuca che tanto ha ricordato Starless Aeon dell’ ultimo capolavoro del caro e compianto Jon Nodtveidt, Reinkaos.

Le influenze in Aurum sono incredibili, sembra di piombare in un circo di psicopatici che danzano in maniera macabra come giocolieri intenti a divertirsi dimostrando le loro doti balistiche con organi umani usati come birilli volanti.

La matrice black’n’roll è costantemente presente e ti fa sbattere la testa come un forsennato alternando momenti di pura adrenalina metallica ad altri di perversione psichica e riflessiva.

Questi ragazzi sanno suonare per davvero, e lo si capisce dai continui cambi di tempo mai messi a caso ma ragionati, studiati per portare nel loro mondo l’ascoltatore più attento; un mondo non positivo ma fatto di costante ansia e incertezza; pare realmente di trovarci in un parco giochi dell’orrore dove riff thrash ti sballottano come un rollercoaster impazzito, un sali e scendi che ti fa rimettere pure le viscere più nascoste. Basta schiacciare play che sarai travolto da queste sensazioni perverse e glaciali (ascoltare Sanneth per capire cosa si intende per glaciale, alcuni fraseggi di chitarra ricordano appunto i Dissection di The Somberlain, ma sono solo piccole infarinature, come un pizzico di zucchero velato su una grande torta della nonna).

I contro: che di contro, onestamente, non si può parlare in maniera così netta, ma partiamo col fatto che il disco dura poco. Cinque canzoni più una intro per un totale di venticinque minuti scarsi; difatti appena giunge la fine di Soloppgang, ultima canzone del lotto in scaletta, quasi ci rimaniamo male nel non sentire un seguito in quanto ci si è appena immedesimati nella mentalità perversa degli Urarv. La sensazione è stata come quando mangi ma non sei del tutto soddisfatto e hai ancora fame, fastidiosissimo.

Ma tant’è che si deve valutare il materiale che si ha a disposizione ed è senz’altro di discreta fattura se non fosse per l’altro “contro” di questo lavoro: la prova vocale del buon Aldrahn.

Lui è un professionista con le palle e trasuda personalità da ogni poro della pelle, valore aggiunto al disco, ma spesso esagera, tra ululati, versi di sofferenza e pena rischiano di far cadere in alcuni momenti le song coinvolte da questi suoi deliri, quasi nel grottesco e nel poco credibile, come se il singer ironizzasse sulla prova finale della band . Ulula, si dimena, ha una dote teatrale fuori dal comune, e se fosse stata dosata  meglio staremmo parlando di un’interpretazione assolutamente geniale.

Argentum si dimostra prova matura di assoluta qualità ma che necessità tempo per poterla inquadrare stilisticamente, ingerire e poi digerire. Se ci saranno prossime uscite sicuramente l’asticella verrà spostata verso l’alto, tuttavia sperimentare si, esagerare anche, ma con prudenza!

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