Recensione: Awake the Riot

Di Marco Donè - 26 Gennaio 2015 - 18:00
Awake the Riot
Band: Dust Bolt
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2014
Nazione:
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70

Leibniz diceva: “il futuro si trova già contenuto nel passato”. Come dargli torto? Se ci soffermiamo ad analizzare quello che sta accadendo in questi primi anni del nuovo millennio, non possiamo che pensarla come lui. Sono infatti esplosi una serie di revival che hanno riportato in auge sonorità seventies, il doom, l’heavy ed il thrash di scuola ottantiana. Ovviamente, questi revival, hanno creato sentimenti contrastanti tra gli appassionati. C’è chi apprezza e chi proprio non digerisce. I detrattori tendono a definire il tutto come una mossa meramente commerciale. Le nuove leve vengon etichettate come brutte copie del passato, come brutte copie delle compagini che hanno scritto pagine importantissime nella storia della musica a noi cara. Certo, bisogna però dire che da questa “riscoperta” del passato sono uscite realtà di prim’ordine come gli Avatarium (non proprio dei newcomer) ed i Vektor. Ma il sottobosco di questo revival è foltissimo e tutto da scoprire. Ci sono gruppi che hanno sfornato un disco di debutto estremamente interessante attirando su di sé i riflettori, creando di conseguenza aspettative sul loro futuro. Tra di essi ci sono sicuramente i thrasher tedeschi Dust Bolt.

Grazie all’interessante debutto “Violent Demolition”, i Dust Bolt si sono fatti un certo nome all’interno della New Wave Of Thrash Metal. Il disco del 2012, sebbene non originalissimo – ­l’influenza dei Kreator era facilmente riconoscibile – era riuscito a mettere in evidenza grandi possibilità di miglioramento, donando un discreto seguito alla band. Il disco portò inoltre molte soddisfazioni al quartetto tedesco: un tour di supporto agli Obituary ed uno agli Heathen e, come ciliegina sulla torta, arrivò la nomination come “miglior newcomer” ai Metal Hammer Awards 2013. Con una premessa del genere è normale avere grandi aspettative attorno al nuovo “Awake The Riot”, così come è normale chiedersi se i quattro “thrashettoni” tedeschi riusciranno a non tradire le attese.

Il nuovo lavoro presenta una produzione più curata rispetto al debutto, a giovarne sono in particolare chitarre e batteria. I riff sparati dal duo Breuss/Dehn, taglienti e “spezza collo”, ne traggono beneficio, risultando maggiormente accattivanti e coinvolgenti. Ma è il songwriting a convincere maggiormente, risulta più vario e curato rispetto al predecessore, anche se le influenze ottantiane sono ancora facilmente riconoscibili. L’ombra dei Kreator risulta sempre presente, così come è facile riconoscere influenze della Bay Area e le immancabili parti à la Anthrax. Le canzoni dell’album sono caratterizzate da un’ottima dinamica e la combinazione tra parti più  dirette ed “in your face” e parti in mosh, centra il bersaglio. Da segnalare anche la prova al microfono di Lenny Breuss, che risulta più matura, “espressiva” e tagliente rispetto alla monocorde prestazione di “Violent Demolition”. Questi i punti di forza del disco ma, purtroppo, “Awake The Riot” presenta anche qualche punto debole. Uno di questi, forse il principale, è l’eccessiva lunghezza (cinquantotto minuti) del disco che ne penalizza la scorrevolezza. Un paio di canzoni in meno lo avrebbero reso sicuramente più agevole e compatto. Inoltre l’album, in particolare nella sua seconda parte, presenta qualche canzone che non convince dall’inizio alla fine. Vittima forse di una struttura che risulta un po’ ripetitiva e fa venir meno quell’effetto spezza vertebre avuto all’inizio.

Inutile ripetere il concetto che un paio di pezzi in meno avrebbero sicuramente giovato. Resta il fatto che canzoni come l’opener “Living Hell”, “You Lost Sight” o “Soul Erazor” e “Agent Thrash”, tracce da cui son stati girati due videoclip, risultano delle vere e proprie frustate, così come “Beneath The Earth” e “Awake The Riot – The Final War”, con il suo omaggio a “Coma Of Soul” dei connazionali e fonte d’ispirazione Kreator. Da segnalare anche “The Final Scream (The Monotonous)” che si diversifica dalle altre tracce per un maggior uso di tempi lenti e per i “colori” più cupi che la caratterizzano. Il disco si chiude con “Future Shock”, ottima cover degli storici Evil Dead.

“Awake The Riot”, com’era lecito attendersi, mette in mostra una band più matura e con maggior consapevolezza dei propri mezzi rispetto al debutto. Allo stesso tempo però, forse per un eccessiva passione, pecca in un pizzico di ingenuità. Ingenuità che si traduce nell’eccessiva lunghezza del platter, nella voglia della giovane band di voler metter tanta carne al fuoco. Il disco risulta ancora legato alle band del passato, gli omaggi ai nomi storici sono evidenti. Resta il fatto che è suonato con un’ottima perizia tecnica e gli highlight del disco pestano duro. Risultano abrasivi come un pezzo thrash deve essere e stampano sul viso un sorriso di soddisfazione. Senza rendersene conto si è portati a mettere in azione la folta chioma e a suonare la personale air guitar. “Awake The Riot” mette in mostra una band con grandissime potenzialità, ma che richiede ancora un pizzico di pazienza affinché possa riuscire ad esprimerle al meglio. Si sa che più le capacità sono elevate più siamo portati ad esser esigenti, così è normale pretendere il massimo dai Dust Bolt, una band che, assieme ai greci Chronosphere e agli italianissimi Ultra­Violence, sentiremo nominare spesso in futuro. Intanto gustiamoci questo “Awake The Riot”, un disco che saprà conquistare chi segue la band dai suoi primi passi ma anche chi ancora non la conosce. Un disco fatto da thrasher per i thrasher! Ora non rimane che acquistare l’album e ammirare la band on stage nel tour di supporto a Obituary e M:Pire Of Evil.

Marco Donè

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