Recensione: Awaken

Di Stefano Santamaria - 2 Gennaio 2018 - 0:00
Awaken
Band: Fleshkiller
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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83

Primo capitolo discografico per i norvegesi Fleshkiller. Il progetto vede impegnati artisti provenienti di esperienze musicali  eterogenee, con il comune obbiettivo di regalare un sound decisamente originale. Partendo da una base progressive e death metal, gli artisti si muovono  poi via via verso sonorità vicine al concetto di metalcore, impreziosite da armonie che spiccano per gusto gotico. Tante e varie le citazioni, per filone che già abbiamo incontrato lungo la nostra vita, ma che qui trovano una formula nuova per mistura. 

Le strutture risultano sempre in mutazione, così che il cantato, che galleggia tra death metal e core, resti l’unica costante davvero estrema. Sono tante e tali le divagazioni di chitarra, da lasciare senza fiato. Melodie che aprono un cielo dapprima cupo, poi squarciato in due da un respiro fondo e pieno di cristallini intenti progressive

Gli sviluppi sono sempre inattesi, seppur viaggiando su tonalità, come dicevamo poc’anzi, già usate da altri progetti. La maestria dei  Fleshkiller però sta tutta qui, nell’unire cioè ingredienti già assaporati e crearne una creatura nuova. Gli amanti di taluni comandamenti saranno perciò appagati, senza però copia incollare niente. Troviamo che molto della mentalità e dell’approccio degli Enslaved ed in generale della scuola norvegese venga qui utilizzato, ma in una chiave più fresca e modernamente legata al metal più attuale e core

C’è un non so che anche di scuola svedese nel cantato, approcci melodici che poi si sostanziano in un full-length complesso, ma allo stesso tempo di ampio respiro, aggraziato. Sensibilità che ci affascina, che traspare in ogni nota ed elemento, unicamente ad una tecnica sopraffina. Soavi e cacofonici allo stesso momento, gli artisti abbracciano in completa libertà un’ampia gamma di intenti, riordinandoli e riuscendo poi a portarli tutti con sé  senza perdere niente per strada. Nulla è lasciato al caso, discorsi che si aprono e poi si chiudono, in un ordine che ha l’elitario sapore di progressive, senza però mai eccedere nel virtuosismo e lasciando poi spazio alla fantasia e all’espressività. Molte volte infatti certi cliché conducono ad una fredda e scolastica interpretazione, ma non è questo il caso. Complimenti ad una band di immensa personalità, in grado di dare un trend auspichiamo nuovo ad un genere. Note musicali emancipate e in libertà.

Stefano “Thiess” Santamaria

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