Recensione: Behind My Mask
La Storia del metallo pesante è costellata da una miriade di band che, nonostante un bagaglio tecnico/compositivo di prim’ordine, non ha mai raggiunto un adeguato ritorno in termini di popolarità e di vendite. Band che, nella migliore delle ipotesi, sono riuscite a ottenere un contratto con case discografiche in alcuni casi importanti e a pubblicare tre/quattro full-length, prima dell’inesorabile scioglimento per scarsa visibilità o supporto. Non solo, ma anche per motivi più futili (non ultima la provenienza geografica), le stesse non sono riuscite nemmeno a oltrepassare lo status di cult band, finendo infine nell’oblio.
Alcuni di esse hanno poi tentato a più riprese la strada della – discutibile in certi casi – riunione; altre giocandosi la carta di modificare il nome e parte della line-up, apportando solitamente un cambiamento anche nel songwriting con esiti dagli sviluppi imprevedibili. Prendiamo per esempio la carriera dei Sanctuary con la svolta, tanto fortunata quanto inaspettata, che ha portato alla nascita dei Nevermore oppure, all’opposto, quella dei Satan, divenuti poi Blind Fury e Pariah senza mai raggiungere il meritato successo se non, solo in parte, quando English e Ramsey fonderanno assieme a M. Walkyier (Sabbat) gli Skyclad.
A quest’ultima categoria appartengono, purtroppo, anche gli elvetici Poltergeist.
Dopo aver tentato invano la fortuna con il nome di Carrion, la pubblicazione di un paio di demo e di un album (“Evil Is There!”, 1986), l’ensemble svizzero decide di virare dall’heavy/speed degli esordi verso un più marcato thrash metal. Così, a seguito dei consueti avvicendamenti nella formazione, i Nostri scelgono di preferire il più facilmente memorizzabile Poltergeist.
L’avventura del combo di Augst (Basilea) parte sotto i migliori auspici: siglato il contratto con la Century Media Records, danno alle stampe l’ottimo debutto “Depression” (1989) che, tra gli altri, attira l’attenzione dei Destruction, ai quali cedono in prestito il vocalist André Grieder al posto dell’uscente Schmier – che troviamo alle backing vocals dell’album in questione – per realizzare nel 1990 “Cracked Brain”. L’anno successivo con il reintegro tra le fila del frontman Grieder, i Poltergeist si recano presso i Funbox Studios di Basilea, coadiuvati dal produttore e tastierista Matt Bluestone, per registrare “Behind My Mask”.
Il platter si presenta come la naturale prosecuzione del percorso intrapreso con “Depression”, caratterizzato da un personale e tecnico thrash intriso di melodie mascoline dosate intelligentemente e di fraseggi cari allo speed metal. Si possono sentire richiami agli artisti della Shrapnel come Apocrypha e Chastain anche se con una minore vena progressiva, in favore di una maggiore dinamicità e propensione alle sonorità di provenienza teutonica.
La partenza è affidata a un trascinante trittico di canzoni dotate di buona carica e di ritornelli ficcanti che vi s’imprimeranno in testa sin dai primi ascolti. L’opener “We Are The People”, la più immediata delle tre, è dedicata alla recente (1990) riunificazione del popolo tedesco a seguito della caduta del Muro di Berlino. “Behind My Mask” e “Act Of Violence”, per merito della valida produzione, mettono in risalto le qualità del quartetto: una sezione ritmica molto precisa che non si limita a svolgere il compito a essa assegnato, Grieder che sembra aver tratto giovamento dall’esperienza nei Destruction, dimostrando una certa dimestichezza nello screaming ma anche nel cantato pulito. La parte da leone ad ogni modo è svolta dal chitarrista V.O. Pulver, molto bravo sia come ritmico sia come solista e principale autore delle composizioni. Si passa poi a “Grey”, una sentita traccia acustica che funge da spartiacque con la seconda parte del CD; anche se la successiva “Delusion” è in linea con le tracce iniziali. “Drilled To Kill”, “Make Your Choice”, “Chato’s Land” (il testo è ispirato all’omonimo film western sugli Apache con C. Bronson) e “Still Alive” sono i brani migliori del disco, ma richiedono qualche ascolto in più per via di una struttura non proprio convenzionale. I Nostri poi si congedano con una canzone heavy quasi malinconica (“Driftin’ Away”) che può lontanamente ricordare i Savatage del periodo “Power Of The Night” e affini, comunque senza grandi pretese in merito.
“Behind My Mask” è un disco da riscoprire e un acquisto consigliato. All’epoca non raccolse adeguati consensi (così come il successivo “Nothing Lasts Forever”), visto il crescente dilagare, a inizio anni novanta, di altre tendenze musicali, portando quindi i Poltergeist allo scioglimento. Come accennato in apertura di recensione però, alcuni musicisti non si arrendono mai e, infatti, Marek Felis e V.O. Pulver di lì a breve ci riproveranno formando i Gurd.
Orso “Orso80” Comellini
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Track-list:
1. We Are The People 4:21
2. Behind My Mask 4:17
3. Act Of Violence 4:58
4. Grey 3:19
5. Delusion 4:29
6. Drilled To Kill 4:22
7. Make Your Choice 3:34
8. Chato’s Land 4:21
9. Still Alive 3:19
10. Driftin’ Away 2:56
All tracks 40 min. ca.
Line-up:
André Grieder – Vocals
V.O. Pulver – Guitar
Marek Felis – Bass
Alex – Drums