Recensione: Below
Creatura del polistrumentista Cruciatus, affiancato nel suo infernale cammino dal vocalist Necrophilos, i Lantern nascono nel 2007 per affinare, da subito, il proprio sound con due demo (“Virgin Taste Of Damnation”, 2008; “Doom-scrawls”, 2010) e un EP (“Subterranean Effulgence”, 2011), prima di debuttare sul mercato discografico ufficiale con “Below”.
Benché il nome del duo finlandese sia accumunato da più parti alla famigerata definizione ‘black/death metal’ che, a parere di chi scrive, non ha molto senso poiché o si tratta di black o di death, l’opera in questione ha tutto il piglio dell’old school. Death, appunto. Certo, la contaminazione con le oscure trame del black c’è ed è pure consistente, tuttavia i richiami istintivamente più immediati sono quelli che fanno a capo a gente come Possessed e Morbid Angel. Quando, cioè, il brodo proto-death stava bollendo nella sua mescolanza primordiale a base di thrash e black, seppur quest’ultimo configurabile ancora come evoluzione malefica e accelerata dell’heavy metal. Non per altro, il caratteristico timbro vocale di Necrophilos non trova riscontro né nel growling, né nello screming, somigliando parecchio a una sorta di roca narrazione dai toni assai stentorei. Facendo così lambire, alla musica partorita da Cruciatus, certo sulfureo, oscuro doom. Pure esso, non a caso, di matrice primigenia.
È bene specificare che quanto sopra deriva da sensazioni istintive, invece che da analisi… matematica, per cui si potrebbe pensare a qualcos’altro, in merito allo stile della scellerata coppia di Kuopio. Ma, come si sa, non è questo il punto fondamentale della questione. Quanto, diversamente, capire se il progetto Lantern abbia le fondamenta sufficientemente robuste per resistere al passaggio del tempo, oppure se a esso si debba accostare lo status di meteora.
Per ciò, occorre inoltre evidenziare che, al contrario dell’aura musicale, la sostanza da essa avvolta ha tutti i crismi del progresso compiuto negli ultimi venticinque anni in materia di metal estremo. La struttura compositiva seguita dai due scandinavi, seppur non complicatissima, è piuttosto varia, articolata, poco lineare; tale da involvere, pure, il concetto di avantgarde. Non in modo evidente ma abbastanza soffuso, sì da insaporire di modernismo una pietanza che, a questo punto, è ben bilanciata nei due estremi temporali.
Esempio ne è l’accoppiata “Below” / “From The Ruins”. La prima rappresenta un breve intermezzo strumentale infinitamente lugubre, lento all’inverosimile, foriero di violente visioni raffiguranti lande gelide e desolate. “From The Ruins” spezza il morboso incanto non lasciando spazio, almeno all’inizio, a introspezioni filosofiche con la sua violentissima partenza a razzo, frastagliata dai bombardamenti dei blast-beats. Tuttavia, anche questa song decelera indefinitamente per poi accelerare nuovamente, in una specie di altalena ritmica che da un lato fa piombare nelle nere paludi della disperazione, dall’altro proietta in alto in mezzo ai cupi cumulonembi di immaginare tempeste sonore. E, questo, è un po’ il leitmotiv di tutto l’album, capace di scatenare attimi di furia cieca a momenti di grezza depressione. Proprio “From The Ruins”, con i suoi oltre nove minuti di durata, coincide con l’apice espressivo dell’opera che, purtroppo, non riesce a mantenere su tale (alto) livello la tensione emotiva, tangibile, espressa dalla canzone medesima.
Proprio per questo “Below” ha una consistenza troppo sfilacciata e confusa, difetto che vanifica clamorosamente le sue indubbie vette qualitative, come nondimeno si possono trovare nella trascinante opener “Rites Of Descent”. Difficile capire se questo vizio sia imputabile a un’immaturità artistica dovuta alla relativa giovinezza dei Lantern o a una loro endemica incapacità di sviluppare con continuità un talento compositivo che, a oggi, si percepisce a strappi. Ai posteri l’ardua sentenza…
Daniele “dani66” D’Adamo
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