Recensione: Beyond Obsidian Euphoria

A tre anni dall’impressionante debutto “Ash in Realms of Stone Icons“, i Tómarúm tornano con “Beyond Obsidian Euphoria“, un secondo album che, non solo prosegue il filo narrativo iniziato nel 2022, ma lo espande con forza emotiva, visione artistica e una sorprendente maturità. Pubblicato da Prosthetic Records, questo nuovo capitolo della band prog-metal statunitense è un viaggio profondo nell’animo umano, in bilico tra autodistruzione e desiderio di redenzione.
C’è molto da dire su questo disco che, fin dalle prime battute, si impone come un full-length di grande spessore artistico, collocabile in quel filone culturalmente evoluto di musicisti con la “M” maiuscola e con una sensibilità per i testi di rara fattura. Se con l’esordio il quintetto aveva dimostrato abilità compositive ed esecutive ben sopra la media, con “Beyond Obsidian Euphoria” ne certificano, senza dubbio, le competenze. Il disco è un concept album che affronta depressione, lotta interiore e superamento del dolore, attraverso nove tracce che alternano ferocia tecnica e momenti di delicata introspezione, tra passaggi eterei, aperture technical death metal e sfumature fusion (inteso come connubio integrato di più stili…).
I riferimenti fantasy non sono mai fine a sé stessi: servono a trasfigurare il disagio psicologico in una sorta di “mitologia personale”, rendendo ogni brano un atto di resistenza e rinascita, ovvero un profondo viaggio nel cambiamento.
Dal punto di vista musicale, i Tómarúm raggiungono una coesione notevole. La band si è trasformata dal duo dei fondatori Kyle Walburn e Brandon Iacovella (entrambi anche alla guida dello straordinario progetto progressive death Lunar Chamber), in un collettivo creativo completo e ciò si riflette in una scrittura più corale e complessa. Il disco è un intreccio di chitarre melodiche e taglienti, linee vocali stratificate, ritmiche progressive e un costante ricorso a soluzioni compositive che garantiscono una squisita fusione di tutti gli elementi messi in musica.
Ma non è solo ascolto, il disco regala percezione. Il sound è profondo, stratificato sotto il profilo compositivo, con un equilibrio in grado di dar vita ad architetture maestose che brillano per la deflagrazione musicale messa in atto. Sicuramente, vengono in mente band come Persefone, Ne Obliviscaris, Cynic e Rivers of Nihil. Unico punto debole, alcune linee vocali in clean che stridono, talvolta, nell’integrazione tra voce e musica sottostante. Le sezioni soliste, invece, sono di altissima fattura e rendono omaggio ai momenti su cui mettere l’accento, arricchendo ulteriormente il disco e le sue caratteristiche.
La produzione, curata dalla stessa band e affidata, in fase di mix e master, a V. Santura (ex-Dark Fortress, Triptykon), restituisce un suono limpido, potente e stratificato, perfetto per esaltare tanto la brutalità quanto le nuance più eteree. Le spoken word di Iacovella, in “Shallow Ecstasy” e “Halcyon Memory: Dreamscapes Across the Blue“, aggiungono un tocco narrativo unico, mentre l’epica “The Final Pursuit of Light” chiude l’album in maniera trionfale. Brano di punta: “Shed This Erroneous Skin“.
A livello visivo, l’artwork onirico e surreale di Mariya Popyk (aka Crnobogart) cattura perfettamente lo spirito del disco: un equilibrio tra oscurità e visioni mistiche, ulteriormente arricchito dalla grafica artigianale, quasi pittorica, di Woodcvtter Illustration.
Con “Beyond Obsidian Euphoria“, i Tómarúm non si limitano a confermare le promesse del debutto: le superano, con una prova di forza artistica, concettuale ed emotiva che li posiziona saldamente tra le band più interessanti del metal estremo contemporaneo, si chiami questo progressive death metal, piuttosto che technical death metal. Trovare una definizione precisa, per contestualizzarli, è impresa ardua: meglio lasciar correre il Cd nel lettore. Un album catartico, imponente, sincero. Da ascoltare con attenzione e da vivere come un rituale di elevazione.