Recensione: Beyond Tomorrow

Di Alessio Gregori - 10 Maggio 2016 - 10:00
Beyond Tomorrow
Band: Ion Vein
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 1999
Nazione:
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85

Ricordo perfettamente che, all’epoca in cui uscì quest’album, gli americani Ion Vein vennero pubblicizzati dagli addetti ai lavori come una perfetta fusione tra Queensrÿche, Fates Warning e Iron Maiden. Immaginatevi, quindi, con quale curiosità e aspettativa mi avvicinai a Beyond Tomorrow, non dimenticando tra l’altro le enormi difficoltà che ebbi a reperire una copia del CD in questione, visto che allora non si poteva ancora attingere alla tecnologia attuale per trovare le canzoni in streaming né tantomeno per scaricare l’album da Internet e persino nei negozi specializzati sembrava che nessuno sapesse di cosa si stesse parlando. I commenti di quegli anni pescati qua e là dicevano che si trattava di una realtà emergente e che il cantante aveva un’intonazione davvero molto simile a quella di Geoff Tate. Tra l’altro dovete tener conto che era un periodo particolare perché i ben più noti Queensrÿche avevano completamente cambiato direzione artistica e iniziato a pubblicare lavori molto discutibili (il 1999 era l’anno di Q2K) e lontani anni luce dai grandi fasti del passato.
Poi un giorno finalmente mi impossessai della tanto sospirata copia di Beyond Tomorrow e ancora oggi vi dico che provo una certa emozione quando lo ascolto, proprio come sto facendo in questo momento, mentre scrivo la recensione. Si tratta infatti di un piccolo capolavoro dimenticato e troppo poco reclamizzato, eppure pezzi come “Fading Shadows”, “Static Vision” e “The Bridge of Dawn” non avrebbero affatto sfigurato tra i migliori successi della ben più blasonata band di Seattle, con la quale gli Ion Vein condividono certamente sonorità e stile dei primi lavori.
La sensazione è di una maestosità e di una ricercatezza quasi maniacale, unite ad una forte impatto emozionale, certamente risultato di una grande ispirazione e voglia di emergere. L’intro di “The Bridge of Dawn”, ad esempio, è da brividi, un arpeggio iniziale cui presto si unisce la voce profonda di Russ Klimczak, ci porta infatti a una serie di riff sempre più veloci e potenti, un po’ stile Iron Maiden e in un continuo crescendo di emozioni.
Oggi, a distanza di tanti anni, devo perciò ammettere che una copia di quest’album dovrebbe essere quasi obbligatoria nella collezione di tutti i progster che si rispettino, specialmente perché trovarlo è un attimo e scaricarlo in formato digitale questione di un minuto. Quando lo ascolterete capirete che è davvero un peccato sapere che il futuro di questi americani sia diventato tanto fumoso e incerto. È da tempo, infatti, che si attende il loro prossimo full-length ma, tra cambi di line up e la scelta di un nuovo vocalist abbastanza “canonico” e prevedibile, la sensazione è che ci siamo purtroppo persi l’occasione di celebrare con i dovuti modi e con il giusto merito un gioiello dimenticato della scena progressive metal mondiale.

 

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