Recensione: Black Ice

Di Alessandro Zaccarini - 29 Ottobre 2008 - 0:00
Black Ice
Band: AC/DC
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2008
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
81

Un disco si può sentire, si può ascoltare e si può analizzare. Il processo di recensione di un album comprende questi tre stadi e uno successivo ancora, quello in cui il disco in questione si va a posizionare in una fitta rete di citazioni interne o esterne alla band, trova una sua propria disposizione, trova il suo proprio essere relativo e oggettivo all’interno di quella che è probabilmente la manifestazione più complessa e articolata dell’arte umana: la musica. Mi sono permesso di prendere dieci giorni per lasciare che questo processo potesse, per quanto possibile, raggiungere il quarto stadio. Dieci giorni in cui ho cercato di capire cosa sia questo Black Ice, nuovo album degli AC/DC, nuovo appuntamento con la storia.

A distanza di otto anni da ‘Stiff Upper Lip’, da quel 28 febbraio 2000 che a sua volta aveva rotto cinque anni di silenzio sul fronte inediti, arriva ‘Black Ice’. Otto anni è un lasso di tempo in cui la maggior parte delle band di oggi, metal e non, nasce, esplode, scema e scompare. Otto anni è il lasso di tempo in cui un quindicenne alle prese con le prime distorsioni punk-rock si avvicina a generi più maturi per poi scegliere la propria via. Otto anni è un lasso di tempo che segna persone, rapporti, che ribalta scenari politici ed economici. Nonostante tutto, otto anni non sono bastati al mondo per cambiare gli AC/DC. E non credo basterebbero secoli, fortunatamente.

‘Black Ice’, un titolo che affonda le radici nel passato più remoto della band, quando Angus e Malcom non erano ancora gli AC/DC e suonavano assieme nei freddi inverni della nativa Scozia prima che la famiglia Young emigrasse in Australia nel 1963. Proprio dalle menti, dalle mani e dal cuore dei due nascono tutti i pezzi di quello che, a oggi, è il disco da studio più lungo della storia della band: 15 brani per oltre 55 minuti di musica. Un album aspettato con attesa quasi profetica, un conto alla rovescia con mesi che non volevano passare mai, tra false partenze e soffiate risultate solo fuochi di paglia. Dal 2004 si parla di questo disco, con i primi riff partoriti da Angus. A gennaio 2006 la band sta registrando, ma poi il filo delle dichiarazioni ufficiali si perde e i tempi si allungano.

Un master tenuto segregato da qualche parte per discordie contrattuali tra etichette, mentre fratelli Young e soci volano tra un continente e l’altro cercando di ingannare il tempo con apparizioni e show (rigorosamente come singoli) in show benefici. Soprattutto Brian Johnson e Cliff Williams. L’annuncio di un nuovo album e un nuovo tour mondiale stravolge letteralmente il pianeta, riuscendo a concentrare l’attenzione come nessuno era riuscito a fare: copertine di insospettabili riviste e quotidiani di tutte le terre emerse e una proiezione di vendite che annuncia la soglia dei 10.000.000 di copie vendute entro fine anno. Scene da fine del mondo per i biglietti di tutte le date sparse per i continenti e sold out in una manciata di minuti (se non secondi). Promozione record e un già citato tour che partirà proprio stanotte dagli Stati Uniti d’America per approdare in Europa con il nuovo anno.

L’attesa è ripagata da un disco che è esattamente quello che gli AC/DC avrebbero dovuto e voluto fare nel 2008, un album che onora loro stessi e la musica di cui sono diventati più che alfieri e paladini nel corso di quattro diverse decadi. Un disco senza tempo e senza luogo, soprattutto senza meta, come quel Rock’n Roll Train che apre il disco in pieno, pienissimo stile di casa, con riffone e basso martellante. A un primo ascolto appare un po’ troppo lento come treno, ma poi quel regionale si trasforma in un vero e proprio ciclone per lasciare i binari verso mete lontane, trainato da una produzione che si fa subito notare: potente e capace di saper rendere perfettamente un sound ancorato a vecchi valori davanti a un calendario che segna 2008.

Molti si aspettavano un lavoro con alcuni pezzi dominanti avere la meglio sul resto del lotto. Esattamente come era stato per ‘The Razor’s Edge’ – tra l’altro anch’esso inaugurato dal mito del viaggio coniugato con un mezzo potente e se vogliamo anacronistico – con i primi tre grandissimi brani che portavano il nome di Thunderstruck, Fire Your Guns e Moneytalks. Invece no, Black Ice è un disco lineare, da godersi brano dopo brano. Non è il nuovo ‘Powerage’, non è il nuovo ‘Black in Black’, non è il clone del passato che molti erano pronti a esaltare o condannare. Questo disco è ovviamente un richiamo di quei vecchi paesaggi, di quegli ideali e di quelle convinzioni tramutate in consuetudini, tra citazioni più o meno forti del passato. Certo anche ‘Black Ice’ ha le sue chicche e ha brani sopra le righe, come la trascinante Big Jack o la dinamica e assolutamente azzeccata Anything Goes, dove Brian Johnson va a richiamare Bruce Springesteen aiutato da un riffing altrettanto vicino a The Boss (non a caso l’album è prodotto da Brendan O’Brien…). Impossibile non citare Stormy May Day, altro brano strepitoso, un incalzante blues di quelli che Angus ha ereditato da Chuck Berry, uno dei suoi eroi d’infanzia, lo stesso che gli ha metaforicamente insegnato quel passo quasi schizofrenico che è oggi uno dei suoi trademark più conosciuti.  Sì, saranno probabilmente loro le più amate, ma vi ritroverete presto a canticchiare Wheels, a muovere il fondoschiena al ritmo di Decibel o a sentire Rocking All The Way entrarvi nel sangue con il suo caldissimo ritmo quadrato. Il cuore pomperà il sangue sulla scia del basso di War Machine e batterete il piede seguendo la strada di Money Made. Manca qualche pezzo dalle velocità vertiginose, ed è forse la cosa che al primissimo ascolto colpirà chi si aspettava ingenuamente le cavalcate giovanili di Riff Raff, Rocker, Whole lotta Rosie o Beating Around the Bush. Poco male perché questi brani, lenti o veloci che siano, hanno ciò di cui hanno bisogno. Volevamo un altro disco sul livello di ‘Stiff Upper Lip’, abbiamo avuto di meglio.

Quattro edizioni, differenziate per lo più dal colore del logo: una bianca, una rossa, una gialla e una blu – la più pregiata, quella con il booklet più ricco e rilegato stile libro. Economicamente parlando non sono più gli AC/DC del vinile di ‘Jailbreak’, non sono gli AC/DC che su ‘High Voltage’ mettevano in bella mostra le lettere di richiamo scritte ai coniugi Young dalla scuola. Sono gli AC/DC signori indiscussi di quello che resta di un’epoca gloriosa del rock’n’roll, pronti a non-stupire ancora una volta con un album di musica di gran classe, ripetendo al pianeta Terra che non serve bruciare plettri su e giù per pentatoniche o settime diminuite per arrivare al nocciolo della questione, ribadendo che si può fare a meno di un metronomo che viaggia a 220bpm e che il segreto del rock’n’roll è racchiuso in un cuore sudato e genuino.

Sappiate scegliere il buon ferro forgiato e battuto con cura dalle mani sagge di un artigiano, piuttosto che buttarvi a capofitto sull’oro degli stolti, perché ‘Black Ice’ ha molto più di quello che si intravede al primo incontro…

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

Discutine sul forum nel topic apposito.

Tracklist:
01. Rock ‘n Roll Train
02. Skies on Fire
03. Big Jack
04. Anything Goes
05. War Machine
06. Smash ‘n Grab
07. Spoilin’ for a Fight
08. Wheels
09. Decibel
10. Stormy May Day
11. She Likes Rock ‘n Roll
12. Money Made
13. Rock ‘n Roll Dream
14. Rocking All the Way
15. Black Ice

Line up:
Angus McKinnon Young (31 marzo 1955) – Chitarra
Malcolm Mitchell Young (6 gennaio 1953) – Chitarra
Brian Johnson (5 ottobre 1947) – Voce
Cliff Williams (4 dicembre 1949) – Basso
Phillip Hugh Norman Witschke Rudzevecuis (19 maggio 1954) – Batteria

Ultimi album di AC/DC

Band: AC/DC
Genere: Hard Rock 
Anno: 2020
70
Band: AC/DC
Genere: Hard Rock 
Anno: 2014
69
Band: AC/DC
Genere:
Anno: 1983
80
Band: AC/DC
Genere: Hard Rock 
Anno: 2008
81
Band: AC/DC
Genere: Hard Rock 
Anno: 2000
70
Band: AC/DC
Genere:
Anno: 2005
83
Band: AC/DC
Genere:
Anno: 1984
71