Recensione: BlackBrickRoad

Di Alberto Fittarelli - 11 Settembre 2004 - 0:00
BlackBrickRoad
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Genere:
Anno: 2004
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88

Dopo aver ricevuto e recensito la prima parte del loro Greatest Tears, di
buona qualità ovviamente per i contenuti ma che non aggiungeva nulla a quanto detto
nell’ottimo passato della band, avevo un po’ perso la fiducia nel futuro dei
Lake of Tears
: situazioni di line-up incerte, ma soprattutto orientamenti
musicali estremamente insicuri mi avevano lasciato da un bel po’ con l’amaro in
bocca, a riascoltare i primi dischi cercando di preservarne nella mente
l’atmosfera unica. E nelle intenzioni, ma per fortuna anche nei risultati,
questo Black Brick Road vuole risollevare le sorti del gruppo,
ricordandoci quanto esso sia dotato di un feeling unico, una capacità di
toccare corde molto profonde anche con poche e semplici note.

Semplici come l’artwork: un cupo profilo dei tre musicisti coinvolti
attualmente nella band, contrapposti all’immagine della strada, di neri mattoni
appunto, immersa nella nebbia che campeggia sul retro del promo. Dopo gli
sfavillanti e spiazzanti colori di The Neonai è sicuramente un
bel salto, ed è una cosa voluta: nella bio allegata è infatti la band stessa a
rinnegare quel disco ed a definire anche il precedente Forever Autumn
come il risultato di contrasti interni ed esterni al gruppo, e quindi in
sostanza come un qualcosa di solo molto parzialmente riuscito.
Questo il loro parere, sicuramente dal primo ascolto Black Brick Road
è tutta un’altra storia: molto più “rock” nella base, estremamente
energico per quanto comunque ricco d’atmosfera, esso torna alla psichedelia di A
Crimson Cosmos
, spogliandola però degli accenti stoner dati dalla
robustezza delle chitarre e basando tutto su suoni melliflui, chitarre spesso
arpeggiate, tastiere discrete e la splendida voce di Daniel Brennare,
espressiva come non mai.

Siamo di fronte ad una The Greymen, pura ma sapiente infusione di
energia; ad una Dystopia, che non rinuncia a influssi addirittura electro,
senza per questo sconfinare nel kitsch tipico di queste commistioni in ambito
metal; ed alle splendidamente malinconiche Black Brick Road e The
organ
. Ma è dopo la metà dell’album che ne troviamo l’apice: nella
fattispecie, il trio costituito da A Trip with the Moon (che riprende
nelle ritmiche, inconfondibilmente, la bellissima Lady Rosenred del ’97),
da Rainy Day Away, altra citazione del Cosmo Cremisi con il suo “boogie
bubble refrain”, ma soprattutto dalla riuscitissima Sister Sinister,
dove una perfetta voce femminile duetta con Brennare, qui in secondo
piano, a formare l’affresco più psichedelico, ironico, scanzonato e riuscito
dell’intero album.

Sono tornati i Lake of Tears, dunque: sono tornati con quel loro
talento unico, che permette loro di unire “leggerezza” del sound al
grande spessore artistico, ed al feeling pregno di amara ironia che già in
passato li aveva contraddistinti. Un must per chiunque li abbia mai amati, ed un
disco, inclassificabile in ultima analisi, che soddisferà i palati di chiunque,
in ambito rock e metal, apprezzi le vere doti artistiche a prescindere dal modo
in cui esse sono espresse.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

1. The Greymen
2. Making Evenings
3. Black Brick Road
4. Dystopia
5. The Organ
6. A Trip with the Moon
7. Sister Sinister
8. Rainy Day Away
9. Crazyman

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