Recensione: Break The Horizon

Di Alessio Gregori - 22 Luglio 2016 - 12:00
Break the Horizon
Band: MirrorMaze
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2016
Nazione:
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73

I MirrorMaze sono un gruppo progressive metal originario di Borgomanero (Novara) che ha già all’attivo un album in studio pubblicato nel 2008 e numerose presenze live, anche di un certo rilievo, essendosi esibiti in compagnia di formazioni del calibro di Haken e Andromeda. Come se non bastasse i nostri vantano anche una collaborazione con Ray Alder, il mitico cantante dei Fates Warning, il quale ha preso parte come special guest in una canzone del precedente album Walkabout. Fatte queste premesse, vediamo di analizzare quest’ultima fatica intitolata Break The Horizon.  Anzitutto notiamo che alla voce non c’è più Fabio D’Amore, cantante che aveva peraltro ricevuto ottimi riscontri dalla critica e al suo posto troviamo lo storico chitarrista del gruppo Daniele Penna, che non solo si cimenta nell’arduo compito di rimpiazzare degnamente l’ex compagno, ma fa anche da traghettatore nei confronti di Gabriele Bernasconi, il quale, come indicato sul sito della label, dovrebbe essere il nuovo vocalist dei MirrorMaze, pur non avendo preso parte alle registrazioni.
Detto questo, Break The Horizons si presenta fin da subito in una veste differente rispetto al passato, a partire dalla copertina. L’artwork mostra infatti una palla infuocata, una meteora che precipita verso acque tranquille, come a voler anticipare quello che quest’album vorrebbe trasmettere, ossia un’energia travolgente che colpisce l’ascoltatore e lo trasporta in atmosfere incalzanti e potenti.
Dopo un intro acustico, veniamo proiettati verso il primo vero pezzo dell’album, “Worn and Torn”. Qui si entra nel vivo del discorso e, con uno stile a metà tra Symphony X e Dream Theater, i nostri mostrano tutte le loro carte migliori ovvero velocità , tecnica e ricerca melodica. Notevole inoltre il lavoro alla tastiera di Lanfranchi che non risulta mai troppo invasivo ma sempre perfettamente integrato nelle trame musicali.  Chi però si era abituato allo stile di Walkabout rimarrà un po’ spiazzato dal cambiamento della band: mentre il primo lavoro era, infatti, improntato su ritmiche più tipicamente riconducibili a Fates Warning e Queensrÿche, il nuovo album si mostra decisamente più “cattivo”, basato soprattutto su tecnica e velocità. La voce di Penna si discosta palesemente da quella di D’Amore, è più aggressiva, leggermente roca e votata soprattutto all’immediatezza. Dipende dai gusti personali ma l’impressione che ho avuto è che il gruppo abbia perso quella vena introspettiva e ragionata del passato a favore di uno spostamento verso ritmiche più dirette e di impatto.  Il brano successivo, “Hammer Training”, si muove sulle stesse tonalità e continua il percorso intrapreso con accelerazioni e stacchi melodici, forse il refrain non è altrettanto incisivo e fatica a rimanere in memoria, richiede perciò numerosi ascolti prima di essere assimilato. “Into The Woods” è un altro pezzo dalle molteplici sfaccettature, in questa occasione la voce di Penna non convince appieno, sembra in leggera difficoltà quando deve affrontare tonalità più acute e i cambi di ritmo sono così serrati che non è sempre facile per lui  stare al passo con gli strumenti.  La successiva “Breath Again” arriva a puntino, il titolo è decisamente evocativo e una ballad non poteva certo mancare in quest’album. Niente di speciale, però, si tratta di un pezzo che non emoziona molto e fa più che altro da apripista a ciò che seguirà e che rappresenta, pur essendo un pezzo esclusivamente strumentale, forse il meglio dei MirrorMaze dal punto di vista tecnico: stiamo parliamo di “The Poet”. Qui si comprende senza dubbio alcuno il potenziale enorme dei nostri e il gusto per tutte le sfumature possibili. Si tratta infatti di una vetrina di puro progressive metal in stile Petrucci e soci.
Terminata questa goduria uditiva, ecco l’immancabile suite in tre movimenti per complessivi 29 minuti. La prima parte “Crystal, Pt.1 – Knowledge” ricorda vagamente lo stile tipico dei vecchi Queensrÿche: una voce ci introduce, con un conto alla rovescia, a un riff di chitarra a dir poco esaltante. Si tratterebbe probabilmente di un piccolo capolavoro se non fosse che i continui cambi di ritmo alla lunga finiscono per mettere ancora in leggero affanno Daniele Penna, che sembra faticare a reggere l’arduo compito richiesto dai suoi compagni. La seconda parte, “Crystal, Pt. 2 – Forever” è altrettanto ben fatta e intricata, degna di reggere il confronto con i migliori e più ispirati Dream Theater. Infine la terza parte, rallenta un po’ e ci traghetta verso la fine di questo intenso e ottimo album che non potrà che soddisfare i palati più esigenti, soprattutto quelli che amano le costruzioni intricate e complesse.  Migliorando il comparto vocale i MirrorMaze possono puntare a grandi cose.

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