Recensione: By Inheritance

Di Federico Mahmoud - 29 Gennaio 2005 - 0:00
By Inheritance
Band: Artillery
Etichetta:
Genere:
Anno: 1990
Nazione:
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96

Speciale Artillery – puntata III

 

Pubblicare un grande album e, per tutta risposta, perdere l’ingaggio con l’etichetta di turno è come ricevere una pugnalata alle spalle: è in questi casi che viene fuori il carattere di una band.
Scaricati dalla Neat per le poco brillanti vendite di Terror Squad (penalizzato, a onor del vero, da una distribuzione scandalosa), nel 1987 gli Artillery si trovano ad un bivio cruciale della loro carriera: vale la pena continuare o l’unica prospettiva è quella dello scioglimento? Jørgen Sandau, stufo di false promesse e occasioni mancate, è il primo a mollare; i compagni, più saggiamente, si concedono un periodo di pausa durante il quale definire il proprio futuro. Fortunatamente i cinque danesi hanno motivazioni da vendere, e, pur con grosse difficoltà, il progetto va avanti: è così che viene reclutato il bassista Peter Thorslund, new entry che permette a Morten Stützer di raggiungere il fratello alla chitarra.
Come da tradizione, il gruppo organizza autonomamente una serie di concerti in giro per l’Europa, a supporto di Slayer (per la seconda volta) e Metallica, con i quali è nata una profonda amicizia – i quattro di Frisco sono clienti fissi del produttore Rasmussen a Copenaghen e vecchi compagni di sbronze di Rønsdorf e soci. Tra una data e l’altra c’è tempo per entrare nella storia con un bizzarro mini-tour in terra sovietica, condiviso con i connazionali Next Stop e i punk SortSol: l’evento suscita grande interesse tra i fan del genere, ma incontra l’assurda censura dell’opinione pubblica locale, che provoca l’annullamento degli spettacoli dopo un paio di (inattesi) sold-out e bolla la musica dei nostri come decadent influence; è così che gli Artillery, dopo un’esibizione sfociata in una rissa globale tra pubblico e polizia, sono caricati a forza su un vecchio treno e rispediti al mittente. Cinque, estenuanti giorni di viaggio che portano malumore nel combo di Taastrup: al ritorno in patria è palpabile il desiderio di voltare pagina. Thorslund, terminato l’impegno come session man, cede temporaneamente il posto a Michael Rasmussen, poi all’opera nei conterranei Furious Trauma.
Con una formazione rinnovata, è tempo di guardarsi intorno e registrare qualcosa di nuovo. La scelta ricade sugli ormai celebri Sweet Silence Studios della capitale danese, gli stessi dove i Metallica hanno registrato due masterpiece come Ride The Lightning e Master Of Puppets: a fare gli onori di casa il già menzionato Flemming Rasmussen, fan dei connazionali sin dagli esordi, che in un meno di un mese confeziona una demo-tape coi fiocchi.

 

Non passa molto tempo prima che la band riceva un paio di offerte piuttosto interessanti: la nuova registrazione auto-prodotta, una coppia di brani (Khomaniac e Don’t Believe) composti nel biennio 1988-1989, è un biglietto da visita perfetto per un collettivo in cerca di riscatto e, finalmente, qualcuno sembra accorgersene. A spuntarla è la blasonata Roadracer, divisione della Roadrunner, con la quale è firmato un contratto nella seconda metà dello stesso anno.
Per la prima volta gli Artillery hanno a disposizione un budget più che sufficiente per coprire le spese di produzione e garantirsi una dignitosa campagna promozionale. Tra gennaio e febbraio del 1990 il five-piece (che nel frattempo si è ripreso Thorslund dopo la defezione di Rasmussen) completa le registrazioni agli ormai fedeli Sweet Silence e si prepara ad una fitta rete di interviste; magazine da tutta Europa (e non solo) sono giunti a Copenaghen per strappare anticipazioni sul nuovo lp: è un’atmosfera quasi surreale per dei ragazzi che non hanno mai intravisto il successo.
È By Inheritance il titolo scelto per la nuova fatica dei danesi: il platter arriva sugli scaffali a Primavera e, per la prima volta, gode di una distribuzione decente in diversi Paesi (in Italia è distribuito dalla Non Stop).

 

Generalmente la pubblicazione del terzo album è vista come un crocevia decisivo nella carriera di un gruppo, un evento che può premiare le buone cose fatte vedere in precedenza oppure inquinare irrimediabilmente una reputazione costruita con sforzi e sudore. Gli Artillery possono fieramente considerarsi vincitori di questa prova: By Inheritance è una bomba, senza mezzi termini, e consacra definitivamente i nostri a band di culto per gli anni a venire.
La formula proposta nell’eccellente Terror Squad – un thrash tecnico e impetuoso, suonato con cuore e cervello – è qui rivisitata sulla scorta di un bagaglio tecnico e di una maestria negli arrangiamenti che rasentano la perfezione: il risultato è una decina di brani da tramandare ai posteri, che alternano passaggi melodici squisitamente confezionati a tonnellate di riff micidiali, senza contare la solita, splendida prova del biondocrinito Rønsdorf.

L’incipit è affidato a 7:00 From Tashkent, breve premessa dal sapore vagamente progressive le cui trame contorte si mescolano alla perfezione con la successiva Khomaniac, vera summa del sound targato Artillery. La prima parte del brano è sensazionale, con le chitarre dei fratelli Stützer impegnate a dipingere una melodia solenne ed atipica, quasi a confondere e, allo stesso tempo, provocare l’ascoltatore meno attento. Si tratta, a conti fatti, di un’illusione che dura poco meno di un minuto, quanto basta al plotone del terrore per caricare l’artiglieria e bombardare senza pietà. Plettrate taglienti come rasoi, una sezione ritmica potente e fantasiosa e un chorus dannatamente trascinante: tre ingredienti che rendono Khomaniac un gioiello nella discografia della band danese.
Segue Beneath The Clay (R.I.P.), altro pezzo da novanta che annovera un’interpretazione di Rønsdorf da applausi: saranno prestazioni come questa a convincere i Destruction a corteggiare il bravissimo vocalist scandinavo dopo la defezione di André Grieder (ex Poltergeist) – il sodalizio tra Rønsdorf e i tedeschi durerà solo due settimane, nel 1991.
La title-track non cambia di una virgola la formula proposta sin qui, e si segnala per il riffing quadrato e puntuale della coppia chitarristica, assolutamente letale nelle frequenti accelerazioni e credibile anche nei passaggi più meditati, quasi a sottolineare che gli Artillery non sanno solo andare a cento all’ora. Discorso che vale anche per la successiva Bombfood, dove riaffiora il motivo accennato in apertura. Il gruppo rifiata, ed è ancora una volta Rønsdorf a tenere le redini del gioco, sfoderando un vibrato invidiabile: letteralmente spettacolare il break centrale del pezzo, dove il nostro frontman tuona ‘the blame is on you‘ con una rabbia che farebbe impallidire certi colleghi più estremi solo sulla carta.
Se il lato A è, obiettivamente, imbattibile, l’altra faccia del vinile si mantiene senza tanta fatica sugli standard (elevatissimi) espressi con il poker d’assi iniziale.
Si riparte con Don’t Believe, senza dubbio il brano più melodico mai partorito dai cinque di Taastrup nella loro storia: per una volta è una chitarra acustica a monopolizzare una canzone (ma non mancano episodi più elettrici), e i risultati, complice un ottimo lavoro solista, sono più che soddisfacenti. Un’ulteriore testimonianza dell’innegabile versatilità dimostrata in sede di songwriting dai nostri.
La successiva Life In Bondage potrebbe ambire, non senza difficoltà, al titolo di miglior composizione del lato B, almeno se paragonata a Equal At First (forse la meno convincente del lotto), se non fosse per la presenza di una certa Back In The Trash, che, non solo nel titolo, rievoca i livelli eccelsi della mitica song apparsa sul precedente Terror Squad. Re-make di successo, non solo musicalmente, Back In The Trash è il colpo di grazia definitivo: sei minuti di puro thrash metal suonato con passione, a ribadire la lezione di classe impartita dagli Artillery.
Discorso a parte merita la convincente cover di Razamanaz dei Nazareth, riproposta con fedeltà ma imbevuta fino al midollo del sound del five-piece danese; una scelta senz’altro bizzarra ma azzeccatissima – come è azzeccata l’idea di inserire il tributo in penultima posizione, quasi a stemperare l’impatto massiccio dell’intero disco.

 

Resta da premiare, ancora una volta, l’intelligenza che permea la maggior parte dei testi – sempre ispirate le liriche che scaturiscono dalla penna di Rønsdorf, impegnato ora a criticare gli orrori della guerra (in Bombfood è ravvisabile più di un richiamo a Disposable Heroes dei Metallica) ora a contestare l’ignoranza del popolino (Equal At First), ora a criticare la società moderna (Beneath The Clay) – e la qualità della registrazione, che rende una volta per tutte giustizia alla musica geniale composta da Morten Stützer.

 

By Inheritance è un capolavoro, senza se e senza ma. Sfortuna vuole che Back In The Trash, oltre che bellissima, si riveli una canzone profetica: ‘You just can’t ignore the fact, that you are sinkin’ slow / Everyone around you can see you’ve lost the glow […]’ canta Rønsdorf negli ultimi minuti, e va a finire esattamente così. Ogni patto con la Roadrunner salta allorché l’etichetta boicotta letteralmente la promozione del nuovo album, rifiutandosi di finanziare un tour da headliner ampiamente preventivato.
L’insoddisfazione, la rabbia, la sorpresa, l’orgoglio conducono la band sull’orlo dello scioglimento: dopo un paio di date a supporto dei Tankard gli Artillery perdono Flemming Rønsdorf e Morten Stützer (che poi andrà a formare i Missing Link con il fratello Michael), ovvero due personalità insostituibili nell’economia del combo. I tre quinti rimasti incideranno con una formazione d’emergenza il demo Mind Factory, prima di annunciare ufficialmente lo split nel 1991.
By Inheritance resta il canto del cigno (a tutto il 1999) di un gruppo che non ha mai raggiunto il meritato successo per via di sciagurate politiche dirigenziali, contro le quali è ormai inutile ogni recriminazione; tutto ciò che è in mio e vostro potere è quello di venerare un album che non può e non deve essere ignorato da qualsiasi fanatico del genere. Se cercate un solo album sottovalutato nella scena thrash europea, eccolo qui.

 

Line-up:

Flemming Rønsdorf – lead vocals
Michael Stützer – guitar
Morten Stützer – guitar
Peter Thorslund – rhythm guitar
Carsten Nielsen – drums

 

Track-list:

01 7:00 From Tashkent
02 Khomaniac
03 Beneath The Clay (R.I.P.)
04 By Inheritance
05 Bombfood
06 Don’t Believe
07 Life In Bondage
08 Equal At First
09 Razamanaz
10 Back In The Trash

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