Recensione: Call To Arms

Di Stefano Ricetti - 7 Giugno 2011 - 0:00
Call To Arms
Band: Saxon
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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73

E diciannove. Già, metallo fuso sotto i ponti ne è passato molto da quando
cinque ragazzotti della working class inglese debuttano nel 1979 con l’album
omonimo dalla copertina indimenticabile. Segue il successo planetario con
l’irresistibile triade Wheels/Strong/Denim, si registrano dolorosissimi cambi di
line-up all’interno di alti e bassi preoccupanti a livello di uscite, tanto che
sul finire degli anni Ottanta i Nostri rischiano per la prima e unica volta in
di sciogliersi per sempre. La crisi è dovuta al fatto di essere in balia dei
manager e di aver perso totalmente il controllo delle cose, da parte dei
componenti del gruppo. La risurrezione è affidata a un album come Solid Ball Of
Rock, che riporta in auge l’Aquila dello Yorkshire e da lì in poi è un
veleggiare solo, sotto la guida del cantante Biff Byford che assume il ruolo di
factotum all’interno del combo inglese. Le produzioni si susseguono con
sufficiente regolarità, senza rinverdire i fasti del trinomio di cui sopra ma
consegnando al mercato album mediamente godibili che permettono di imbarcarsi in
tour, partecipare a festival, promuoversi, vendere merchandising e non ultimo,
assicurarsi un buona pensione per gli anni a venire.

Tutto questo pistolotto per inquadrare oggettivamente l’ultimo nato in casa
Saxon: Call To Arms. Disco dalla copertina discutibile, per parola dello stesso
Byford viene definito come il migliore delle Loro release degli ultimi vent’anni.
Passa il tempo ma le avventate dichiarazioni dei vecchi marpioni dell’HM – non
solo i Saxon, beninteso – paiono non attenuarsi ma viceversa ricomparire quasi
puntualmente a ogni uscita. Ricordo con il sorriso sulle labbra quando lo stesso
Biff nel 1988 definì Destiny, appena prima della sua distribuzione in Italia,
come l’ideale proseguimento di Strong Arm Of The Law…
Bando alle ciance, quello che principalmente “fa” un album è la musica che esso
contiene ed ecco quindi i Sassoni mettere come opener un brano da siffatto
titolone: Hammer of the Gods. Pezzo anfitrione non irresistibile che però
marchia a fuoco, se mai ce ne fosse ancora bisogno, lo stilema del classico
Saxon-sound: riff chirurgici, velocità medio/alta, pulizia sonora e un Biff da
qualche lustro ritrovato pienamente. Pezzo forse inferiore alle attese sulla
base di un titolo cotanto impegnativo ma che comunque fa la sua porca figura
anche dal vivo, come dimostrato nelle recentissime date italiane. Da rimarcare
che cresce tantissimo con gli ascolti.
Canzone numero due: Back in ’79. Grande attesa per un pezzo con un nome del
genere. Inizio anthemico alla Denim & Leather, poi grande bridge e a seguire i
Saxon epici che ben si conoscono, per un episodio d’atmosfera e non all’arma
bianca. Coro finale curvaiolo per i Crusaders, ottenuto con il contributo di
esattamente – e casualmente – settantanove metalhead convenuti in quel di
Brighton per registrarlo, dopo aver letto appena il giorno prima l’annuncio sul
sito ufficiale della band.
Velocità sparsa con un coro ficcante e cattivo che entra in testa e non se ne
esce più in Surviving Against the Odds, il pezzo numero tre. Brano da tenere
presente, non a caso suonato dal vivo dai Nostri. I Saxon sanno scrivere pezzi
epici da pelle d’oca, l’hanno dimostrato in passato e anche in tempi recenti.
Ebbene, Mists Of Avalon è solamente un surrogato dozzinale di quanto ci si
potrebbe aspettare dagli Stallions in versione Eroica.
Il pathos arriva con la title track, grande in studio e struggente on stage, da
vivere appieno con la band davanti agli occhi, le luci soffuse e Biff ingobbito,
a occhi chiusi con il microfono piegato verso la sua mitica figura. Narra di un
soldato che dal fronte scrive una lettera alla moglie a casa, pregna di
nostalgia.
Il Rock’N’Roll metallizzato che ha fatto la fortuna dei Saxon ricompare
prepotentemente in Chasing The Bullet, metà British e metà Down Under, sponda Ac/Dc,
ovvero tutto in un riff portante accompagnato da un grande bridge.
Afterburner: HM e poi ancora HM , finalmente, per un pezzo granitico e veloce
del quale si sentiva effettivamente il bisogno. Un po’ di cotanta verve
siderurgica sarebbe stato meglio applicarla all’impegnativa opener Hammer of the
Gods, ma tant’è. L’highlight assoluto di Call To Arms. Trattasi di un’orgia di
heavy metal purissimo, duro, feroce e violento tanto da rischiare l’osso del
collo a botte di headbanging. Una lezione di HM bella e buona per grandi e
piccini, la canzone numero sette! Netto ed evidente il bombardamento effettuato
da Nigel Glockler, per l’occasione da manuale, con le sue tipiche stantuffate al
momento opportuno.
Seguono tre pezzi totalmente discutibili, a partire da When Doomsday Comes (Hybrid
Theory), con special guest il tastierista Don Airey (Rainbow/ELO/Ozzy Osbourne/Deep
Purple) a scimmiottare spudoratamente questi ultimi – inspiegabile come un
ospite di tale peso specifico si rifaccia a quanto già proposto in passato nel
periodo di Perfect Strangers in questo modo… mah?!? –. Segue No Rest for the
Wicked (nulla a che vedere con Ozzy Osbourne) che si risolve in un up tempo
massiccio con Byford dalla voce effettata e tastiere qua e là. When Doomsday
Comes e No Rest for the Wicked verranno incluse entrambe nella colonna sonora
del film thriller Hybrid Theory, di James Erskin. Dulcis in fundo, si fa per
dire, Ballad of the Working Man. Non si tratta del lentone di turno ma di un
brano interlocutorio dall’insipido andamento rock’rolleggiante e nulla più.
A tirar su le sorti di Call To Arms ci pensa, fortunatamente, la stessa title
track posta in chiusura con inserti orchestrali, dall’arrangiamento sopraffino.
Roba da accendino al cielo e lacrima regolare trattenuta.

La diciannovesima fatica in studio degli Stallions Of The Highway di Sheffield
segna un ritorno robusto alle sonorità britanniche grazie a una produzione
cristallina, calzante ed efficace. Come da molto tempo a questa parte accade per
i Saxon, anche questo Call To Arms alterna pezzi da paura ad altri nettamente
deludenti. Dalla pluripremiata ditta Byford,Quinn&Co. è doveroso attendersi di
più anche se, visto i chiari di luna attuali, vale forse la pena tenerci stretti
stretti questi cinque defender dello Yorkshire, coccolandoceli a dovere, magari
spulciando in modo mirato all’interno dei diciotto album precedenti, di tanto in
tanto. Questa prima metà di 2011 sancisce che è ancora presto per intonare il
Loro De Profundis.

Stefano “Steven Rich” Ricetti

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Saxon

Line-up:
Peter “Biff” Byford – Vocals
Paul Quinn – Guitar
Doug Scarratt – Guitar
Tim “Nibbs” Carter – Bass
Nigel Glockler – Drums

Tracklist:
1. Hammer Of The Gods
2. Back In ’79
3. Surviving Against The Odds
4. Mists Of Avalon
5. Call To Arms
6. Chasing The Bullet
7. Afterburner
8. When Doomsday Comes (Hybrid Theory)
9. No Rest For The Wicked
10. Ballad Of The Working Man
11. Call To Arms (orchestral version)

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