Recensione: Charlotte

Di Susanna Zandonà - 15 Settembre 2022 - 0:01
Charlotte
Band: Charlotte
Etichetta: Eonian Records
Genere: Hard Rock 
Anno: 2022
Nazione:
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82

Per parlare dei Charlotte dobbiamo partire da un assunto fondamentale ma imprescindibile, che spesso sfugge a chi fa recensioni musicali. Ovvero che tutto lo scrivibile è già stato scritto e quando parliamo di musica le strade sono due: una è il cammino in piano che si chiama “software”. E l’altra la più tortuosa strada in salita, che conduce alle sommità della montagna da cui certamente si gode un bel panorama, ma che in pochi temerari intendono percorrere.

Questa via consiste nel continuare a pescare all’ interno di quel grande calderone che va dall’ invenzione della clava – con la quale l’uomo primitivo produceva suoni picchiando contro degli oggetti – fino al momento in cui ritenete dignitoso parlare di musica “strumentale” (se volete possiamo settare il timer agli anni ’90 e non pensarci più).
Inventare qualcosa di nuovo è terribilmente difficile, tutto ha sempre il gusto di “già sentito” e a ragion veduta qualcuno vi dirà saggiamente: “le note sono sempre sette”.

Ed è vero! Ma dipende pure da come impieghi queste note.

Uno spot di una nota marca di “attrezzi costituiti da mazzetti di peli fissati all’estremità di un’ asticciola e usati per dipingere“ per citare la Treccani, realizzati con le setole di un animale molto apprezzato dai nostri amici metallari (avete indovinato qual è?) la spiegava così: “non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello!”.

Ricordate la canzone degli Atroci? “To make a big, a big wall, you need a big paintbrush”…

Comunque se non avete ancora capito l’antifona, i Charlotte le note le utilizzano tutte bene e non hanno bisogno di grandi strumenti, ma di 17 tracce ponderose dal sapore hard rock “vecchia maniera” (di quello che non si sente più, aggiungerei), con una bella spolverata di blues alla “Howlin’ Wolf” sopra.
Questi due ingredienti semplici ma genuini vi incolleranno alle casse come mosche alla carta moschicida.
Se le influenze sono palesi e variano dai Led Zeppelin, Deep Purple, The Doors fino ad arrivare ai Ratt, il loro album omonimo ha un vanto raro: vi farà emozionare nel vero senso della parola.

I Charlotte si formano nel 1984 a New York, i membri Eric Ganz (voce), Shawn Farjanec (basso), Vinnie Caciotti (chitarra) e Dave Bazicki (batteria), si conoscono sui banchi delle superiori.
Nell’autunno nel 1986 partono alla volta di Los Angeles, con un sogno in tasca, quello di diventare una grande band. Ma come spiegano in un’intervista, la scena musicale in quegli anni era di una concorrenza spietata e tutti pensavano alla performance. Era difficile inserirsi, ma loro sostengono: “non eravamo lì per farci amici, ma ne abbiamo trovati alcuni per strada”.
Una dichiarazione fondamentale, che potrebbe essere quella d’indipendenza.

Parliamoci chiaro, quanti gruppi conosciamo che hanno il coraggio di continuare a proporre la propria musica, anche quando la scena richiede tutt’altro? Io ritengo ben pochi.
Jim Morrison diceva: “la vera libertà è essere se stessi, coltivare e mostrare al mondo quello che si è davvero. Fare ciò che ami è libertà”.

Quando si ascoltano tracce come “Siren” o “Medusa Groove” in cui sente dentro tutta l’esperienza presa in prestito dalla voce possente di Rober Plant e dalle chitarre voluttuose di Jimmy Page, viene da pensare che è così che dovrebbe essere il rock. Stagno, monumentale, comunicativo. Vieni incantato dal canto delle sirene, immagini storie leggendarie narrate in tempi lontani in cui era possibile credere che una Gorgone dai capelli di serpente pietrificasse chiunque incrociasse il suo sguardo.
Insomma, si viaggia con la fantasia e questa è una magia che solo la musica può e deve continuare a fare.

Questo album è pericoloso come il serpente sulla sua copertina, perché ti fa innamorare di ballate della dolcezza di “Changes” che è molto glam e nostalgica. O ancora “Woman Behind the Eyes”, col titolo che sembra un po’ un tributo agli Who: “Behind blue eyes” ed in effetti parla sempre di donne (che ritornano in tutto l’album). Ma poi ti frega, perché non solo è romantico, ma ti diverte anche con un sano tocco di follia 80s e tracce ritmicamente più incalzanti. Come “When I need you” e “Got Love on the line”. Poi ci piazza qualche cosa di lewd che non guasta mai. Tipo “Miss Necrophilia”, che con la sua lyrics spiazzante:“everybody wants some of your rigid flesh” e questi ah-ah alla “Whole Lotta Love” risulta un po’ inquietante.

Così si rimane persino male quando, dopo 64 minuti, si arriva alla canzone che chiude l’album, “All Tied Up”, che con questa sezione ritmica “ammiccante” fa pensare ad un movimento di fianchi incalzante e fa ben intuire il genere di pratiche “particolari” che ispirano questi quattro ragazzoni ben piazzati.

Ecco. Sedotti e abbandonati!
Rimane la voglia di saperne di più e magari conoscerli i Charlotte, berci una birra e chiedergli cosa gli passi per la testa. E chi lo sa, magari anche di vedere qualche altro serpent…. pardon, album.

https://www.facebook.com/charlotterockband1

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