Recensione: Children of the Night

Di Andrea Poletti - 1 Febbraio 2016 - 0:11
Children of the Night
Band: Tribulation
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2015
Nazione:
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79

“C’è una crepa in ogni cosa, è da li che entra la luce”

Leonard Cohen

Esaminare i difetti, ostentare la perfezione irraggiungibile, migliorare costantemente e successivamente tentare di surclassarsi sperimentando nuove strade. Probabilmente è il sunto della breve ma intensa carriera dei Tribulation, che senza mezze misure oggi riescono nell’invidiabile compito di ottenere il meglio del loro sound attraverso le sfumature che molti altri vedrebbero come orrende crepe. Perché mai dovremmo applaudire questi ragazzi svedesi se non hanno fatto un disco uguale all’altro facendo si che la loro proposta, pur risultando unica in quanto tale, risulti disomogenea e altalenante? Risposte che variano a seconda della singola persona ovviamente, apprezzamenti che portano a riflessioni ed enormi punti interrogativi formato tridimensionle. Children of the Night non ha un impatto devastate sul singolo, introdotto da una cover non molto curata ed un titolo che risulta pacchiano e stra-riutilizzato. Paradossalmente invece se gli si offrono attenzioni, cure e persistenza ci si addentra in un vasto mondo, che viene riservato a chi ha il coraggio di sovvertire le pecche superficiali; una sottocultura musicale che deriva dall’ostinazione di chi non pone barriere al proprio incipit creativo. Tanti barocchismi letterari per poi ritrovarsi in mano cosa? Nulla di più che uno dei migliori album usciti nel 2015 (ipoteticamente e soggettivamente), scusate se poco. No, non parlo a caso. Children of the Night ha avuto molti riconoscimenti da stampe estere e non, riscuotendo consensi anche da quella fascia di metallers poco inclini alle “novità”. Frutto di una sapiente ricerca sonora e visiva che a conti fatti risulta vincente, aprendo la strada ai Tribulation verso una piccola fetta di visibilità alla quale molti oggi aspirano. Facciamo un piccolo gioco: identifichiamo il genere proposto. Death? Black? Progressive? Gothic? Avantgarde? Difficile a dirsi perché l’unica verità è che in quella crepa che sovrasta la musica contemporanea qualcuno oggi ha trovato casa, fornendoci un album che finalmente “profuma di fresco”.

Children of the Night è un grande calderone che amalgama al suo interno la tipica scuola Swedish, assemblandola con oscure visioni di matrice horror-dark allungandosi sino al black primordiale degli anni 80. Semplice da dire, immensamente difficile da creare. Già l’introduzione con un organo vintage e d’altri tempi lascia comprendere quelle che saranno le metafisiche ambientazioni da costruirsi internamente per apprezzare le sfumature lungo l’intero minutaggio; Strange Gatways Beckon odora di gattabuia, quella cella dove gli anni passano senza perdere l’impatto e la fantasia di una tempo oramai lontano. Non è solamente l’anthem iniziale ad aprire le porte ad un mondo sotterraneo, gli echi death n’roll della successiva Melancholia schiudono un ipotetico vaso di Pandora dove i Tribulation giocano con le menti del pubblico. Chiunque vada cercando qualche stimolo che prende corpo nel passato della band è avvisato, qui non ci sono pacche sulla spalla o gratificazioni a costo zero. Se due tracce fanno un chiaro indizio, è con le successive canzoni che si comprende definitivamente quanto lontana sia la proposta dei nostri oggi giorno; la sensazione è palese, ore ed ore a studiare dischi contemporanei quali gli ultimi Ghost e gli In Solitude dell’ultimo Sisters, cercando attraverso le loro visioni, di farne saccoccia per avventure future. Più ci si addentra dentro lo scorrere dei minuti, più le crepe che accennavamo in precedenza aprono solchi profondi, andando a scalfire quella immortale corazza che evoca scenari atipici quali le strumentali Själaflykt e Cauda Pavonis. Cosa succede dalla quinta traccia in avanti signori e signore? Che Children of the Night cambia aspetto e sostanza, prosegue su di un cammino più intimo ed introspettivo rispetto alla parentesi iniziale che li vedeva alquanto tonici e sopra le righe. Riflettendoci pare proprio che i Tribulation vogliano differenziare quasi ermeticamente due partizioni opposte lungo l’intero album, andando ad avvicinarsi seppur a livello prettamente concettuale, ad i classici giradischi di un tempo. Finisce un lato, sorseggi magari la tua birra, ed una volta girato premuto play sul lato B del platter le ambientazioni prendono forme e dinamiche differenti, proponendo un’aspetto paradossalmente diversificato rispetto a tutto quello che avevi confidenzialmente conosciuto sino a pochi istanti prima. La seconda parte di Children of the Night in effetti è un trip mentale che prende, si ovviamente, dalle terremotati tracce del “lato A”, cercando di addentrarsi ancora di più nell’oscurità, concentrandosi maggiormente sulla ambientazione rispetto ad una “smitragliata” a tout-court lungo l’intera durata. Intelligentemente questi svedesi pongono una barriera, dove chi sa apprezzare ogni sfumatura, riesce a giudicare il complesso mentre gli altri si adeguano ed accettano una piccola porzione della torta appena uscita dal forno. Certamente la durata complessiva che si avvicina all’ora non aiuta una facile assimilazione, scoraggiando un minimo ai primi ascolti andando a risultare leggermente più ostico che in apparenza. Probabilmente due strumentali sono troppe incidendo involontariamente su brani molto ben riusciti quali Strain of Horror e Holy Libation, ma questo non credo possa andare a togliere il feeling con l’uscita, che a dispetto di certi dettagli, rimane vincente in tutto e per tutto lungo l’intera durata. Ancora più complicata probabilmente la scelta di differenziare così ostinatamente le due porzioni dell’album, non è così gratificante come ci si aspetti, portando a avere la sensazione di trovarsi di fronte a due mini album disomogenei, ma se calcolassimo ogni dettaglio non troveremmo del buono in qualsiasi altra eventuale uscita, smettendo di fare ciò che la nostra passione mantiene in vita. La passione per la musica in quanto tale.

Spingendo sull’acceleratore delle comparazioni è come se la classe Made-in-Sweden abbia voluto stringere un patto con i Doors intrecciandosi su note tipiche di Killing Joke e Misfits di un’era lontana oggi anni luce, riportando in vita i morti. Eventualmente noi esageriamo il tono per farvi comprendere il suono che esce da certi stereo ad ogni ascolto dei Tribulation anno domini 2016, ma la verità è molto più semplice: è praticamente impossibile riuscire a trovare un album che suoni così vintage e malvagio da anni a questa parte. Smettiamo di osannare i falsi profeti e concentriamoci sul nuovo che avanza, perché mal che vada, saranno proprio le band come questa, tra qualche anno a colmare le lacune che oggi definiamo irraggiungibili.

Non penso ci sia altro da aggiungere e/o da studiare poiché Children of the Night è sugli scaffali da un pò di tempo, chi ha il desiderio di sperimentazione e non ha paura di osare con i padiglioni auricolari è il benvenuto, gli altri conservatori possono dirigersi verso la porta d’uscita; grazie ed arrivederci. Un terzo disco che ci lascia intravedere ottime idee per il futuro, un terzo album che non farà altro che riempire i cuori dei fans e convincerne altri ad avvicinarsi, facendogli dire “oggi non è ancora tutto perso”. Se le crepe hanno fatto entrare la luce, sapendo che questa non esiste che per mezzo dell’oscurità, addentratevi lungo certe ambientazioni, dentro i pertugi dei cunicoli mentali e lungo le scalfitture dei sentimenti più oscuri, aprite le finestre, lasciate entrare gli animali dell’invisibile e avvolgete i pensieri con le vostre paure. Solo così potrete comprendere la stratificazione dell’essere umano. Siamo tutti un po’ bambini… bambini della notte.

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