Recensione: Children of the Underworld – The Complete Roadrunner Years [Box Set]
La Dissonance Productions, costola della Cherry Red Records, in occasione della pubblicazione di Children of The Underworld, The Complete Roadrunner Years, ha evidentemente deciso di superarsi. In un solo cofanetto ha racchiuso sei album ufficiali, la collezione di demo intitolata Amon: Feasting the Beast e il live When Satan Lives, il tutto per 82 canzoni in totale declinate lungo otto Cd.
Assicurata quindi una vera e propria “piena” di Death Metal marcio sino al midollo, a opera dei Deicide. Ad accompagnare il prodotto, che stranamente non riporta né il titolo né il logo della band della Florida sulle due costine, completamente di colore nero – va quindi preferibilmente riposto di fronte, per poterlo riconoscere in mezzo a tutti i probabili altri oggetti similari, nella scaffalatura d’ordinanza personale – oltre a quattro cartoline raffiguranti il gruppo in momenti diversi come da stampe d’epoca Roadrunner, è presente un corposo libretto, nel vero senso della parola, di ben settanta pagine redatto da Dom Lawson con decine e decine di foto spettacolari, estratti da riviste dell’epoca, flyer e manifesti di concerti. A livello di testo brandelli di storia e notizie a gogò sui Deicide sgorganti da diversi addetti ai lavori intervistati: il tour manager Adam Parsons, il produttore Scott Burns, il celebre A&R Monte Conner, il fan invasato David Gray, il fondatore dei Cradle of Filth Paul Ryan. Ma la parte del leone la fa senza dubbio la lunghissima e dettagliata chiacchierata realizzata nel 2025 con il fondatore e batterista Steve Asheim.
Tanta sostanza, da parte dei Deicide – leggasi musica – a partire dal 1987, anno della loro fondazione benché con nome diverso, in quel di Tampa ma anche molta enfasi generata ad hoc a partire dalla ragione sociale, ottenuta dalla perversa mescolanza fra il nome di Dio e l’omicidio, tanto da far suonare una libera traduzione come Deicide = l’uccisore di Dio. Il loro leader, Glen Benton, poi, non si fece mancare nulla in termini di esposizione, facendo leva sulle proprie convinzioni totalmente antireligiose sublimate dalla croce rovesciata che ne marchia la fronte. Sempre il cantante e bassista dei Deicide, dichiarò di volersi suicidare al compiere dei 33 anni, ma poi evidentemente cambiò idea dal momento che è ancora vivo e vegeto e si sta avvicinando alla sessantina, insieme con la band, attivissima (il loro ultimo disco, Banished by Sin, è dell’anno scorso). Ma, si sa, soprattutto in quel momento storico certune trovate o dichiarazioni sortivano ancora il loro porco effetto, soprattutto se associate a un’immagine irriverente – emblematiche le varie foto contenute nel libretto di cui sopra, fra borchie a profusione e sangue come se piovesse – dinamiche che i Deicide indubbiamente conoscevano bene. Il fatto che poi la band venne associata a diversi fatti di cronaca nera, sebbene in veste di ipotetica ispiratrice dei delitti contestati ne aumentò di molto il livello di popolarità a livello mondiale.
Ma la storia della musica insegna che si possono ideare mille escamotage ma poi se non v’è vera sostanza, tutto passa e si scioglie come neve al sole. E Glen Benton (basso, voce), Eric Hoffman (chitarra), Brian Hoffman (chitarra), Steve Asheim (batteria) ne vomitarono parecchia, di nera sostanza, dal 1990 al 2011, nel periodo Roadrunner, declinando il loro Death Metal apocalittico dentro i solchi di album epocali quali Deicide, Legion, Once Upon The Cross e Serpents Of The Light, sempre con la stessa formazione, a significare un’unità d’intenti granitica.
Canzoni quali “Behead The Prophet (No Lord Shall Live)”, “Christ Denied”, “Kill the Christian”, “In Hell I Burn”, “Repent To Die”, “Satan Spawn, the Caco-Daemon”, “Trifixion”, “Once Upon the Cross”, ”When Satan Rules His World”,”Kill the Christian”, “Bastard of Christ”, “Slave to the Cross”, “Blame It on God “, “They Are the Children of the Underworld” solo per citarne qualche manciata, hanno segnato l’intera storia della musica dura, non solo del Death Metal, grazie (?) all’ugola demoniaca e cavernosa del posseduto Benton, affondante nelle più putride e recondite viscere degli abissi e a quella macelleria assortita macina-suono proveniente dagli altri tre pard.
A completare la parentesi con l’etichetta newyorkese il cofanetto ricomprende anche Insineratehymn del 2000 e In Torment In Hell dell’anno successivo, dischi dignitosi ma decisamente meno ficcanti dei quattro che li precedettero.
Benvenuti all’inferno!
Stefano “Steven Rich” Ricetti

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