Recensione: Climb To Nothing’s Road

Di Stefano Burini - 9 Dicembre 2012 - 0:00
Climb To Nothing’s Road
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Anno: 2012
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Si presenta molto bene alla vista il nuovo parto di casa Overnight Sensation: un doppio CD dal titolo “Climb To Nothing’s Road” che succede al precedente demo “Beyond This Mind”, targato 2008, e va a configurarsi come vero e proprio esordio discografico sulla lunga distanza, seppur autoprodotto, della band mantovana. L’artwork, molto bello e curato, ad opera dell’artista Leonardo Bigi, lascerebbe intendere una certa vena “progressiva” nella musica del quartetto composto da Matteo Manfrin (voce e chitarra), Simone Pelagatti (chitarra e tastiera), Davide Casali al basso e Stefano Beltramini alla batteria. Vena che tutto sommato non trova un reale riscontro in canzoni che si muovono, come peraltro dichiarato dagli stessi musicisti coinvolti, sulle coordinate dell’hard ‘n’ heavy più melodico e con qualche puntata nel thrash metal.  

Come era lecito aspettarsi, ad un’opera così lunga ed ambiziosa si accompagna un concept, peraltro non dei più innovativi, con cui gli Overnight Sensation, nei due “atti” in cui si riparte “Climb To Nothing’s Road”, vanno a mettere in scena, secondo le loro stesse parole, prima una “totale calata verso ogni forma di negatività che la vita e il mondo moderno possono presentare” seguita da una successiva “rinascita, dalla creazione di un proprio mondo all’interno di questo mondo, al riparo da tutto ciò che può portare alla non vita”. Dopo la doverosa introduzione nell’universo dei metaller mantovani il vero nodo è capire se ad una tale ed ambiziosa dichiarazione d’intenti segua una reale messa in pratica (anzi, “in musica”), di qualità ed inventiva sufficienti da poterne reggere il peso. La risposta, per quanto ci riguarda, è al momento negativa e le motivazioni sono molteplici.  

La perizia strumentale degli Overnight Sensation non è in discussione e svariati momenti felici disseminati in maniera piuttosto omogenea in tutte le canzoni sono lì a dimostrarlo; l’unico fattore che da questo punto di vista risulta in effetti un po’ sottotono è proprio la voce di Matteo, poco duttile e sinceramente priva sia della potenza sia delle sfumature necessarie per dare un plus alle varie composizioni. Ma a parte questo, il vero problema risiede nella sensazione continua di trovarci di fronte ad un enorme e lunghissimo patchwork di svariati stili, anche molto lontani tra loro, che non riescono, tuttavia, a trovare, lungo tutto l’album, una reale sintesi.  

Si parte con l’insistito talk box che apre “Burnin’ Out Your Mind” per poi sfociare in un riffing di stampo heavy/thrash che non può non far venire in mente i Megadeth novantiani ed, in effetti, anche la voce di Matteo pare in questo primo scorcio sintonizzata sulle sequenze più care a Dave Mustaine per poi scombinare di nuovo le carte con un refrain di discendenza glam che davvero poco c’azzecca. Molto bello l’assolo, di purissima estrazione classic heavy metal, ma è troppo poco per riuscire a promuovere una traccia in cui troppe influenze non sufficientemente amalgamate creano una certa sensazione di disordine e di poca chiarezza di idee. “Cuts Like A Knife”, solo omonima della grande hit ottantiana di Bryan Adams, alza un po’ la testa andando ad incanalarsi sui binari di un hard ‘n’ heavy melodico che, pur non facendo gridare al miracolo mostra una maggior coesione e soprattutto riffing e melodie decisamente meglio congegnati. Restano i due punti interrogativi relativi all’utilizzo un po’ a sproposito del talk box e alla scelta di riproporre “a cappella” la melodia del chorus intorno al quarto minuto, ma tutto sommato si tratta di peccati veniali nell’economia di uno dei brani meglio riusciti in scaletta, forte di un assolo di chitarra di livello veramente alto, lungo melodico ed acrobatico nella miglior tradizione del thrash/speed metal.  

L’incipit di “Runaway From Myself” fa presupporre una nuova deviazione, questa volta nell’AOR/Melodic Rock, tuttavia la voce mustaine-iana di non vi si adatta granché bene, senza contare che il mood tendenzialmente allegro della canzone non si sposa per nulla con liriche al contrario piuttosto oscure e pessimistiche. “Shot To My Face, Stab To My Heart” si configura come un hard ‘n’ heavy dal retrogusto speedy, spezzato da intermezzi acustici che si fanno strada in maniera davvero poco efficace per il brano probabilmente meno riuscito tra quelli ascoltati finora. 

E’ il turno di “Stolen Wings” e questa volta ci troviamo di fronte ad una ballata semiacustica che richiama alla mente, negli arpeggi iniziali e nel cantato dimesso, la celeberrima “One” dei Metallica per poi aprire la melodia verso territori cari ai Ten dal terzo minuto in avanti, pur senza purtroppo raggiungerne le imprendibili vette qualitative e anzi manifestando le evidenti difficoltà vocali di Matteo nello stare dietro ad una canzone di questo tipo. Il prosieguo ha invece qualcosa dei Rolling Stones acustici di canzoni come “Wild Horses” ma purtroppo sia la parte fischiettata che la reprise finale contribuiscono a mettere ulteriore carne al fuoco senza tuttavia cucinarla a dovere.   

Come se non fossero già moltissimi i temi e gli stili trattati e rivisitati, “Who? You?” mette in campo addirittura un’intro dal sapore western, con banjo, urla da saloon e un cowboy che dopo aver fatto qualche passo con i pesanti stivali a battere sul logoro pavimento in legno, carica la pistola, fa girare il tamburo ed esplode un colpo. Il pretesto per introdurre un’hard rock song melodica e piacevole, il cui punto debole non indifferente, è costituito di nuovo, dal poco efficace cantato di Matteo; un peccato perché le slide guitar, il pianoforte battente e tanti altri piccoli dettagli riescono a dipingere in maniera abbastanza efficace l’atmosfera tipica delle cowboy song di fine anni ’80.  

La title track, dall’alto dei sui oltre diciassette minuti, si propone come la composizione più lunga ed ambiziosa di tutta l’opera, divisa in tre movimenti: “I: Mankind Disclosed To Portait”, “II: Revealed, Resistance, Inner Salvation”, e “III: Mercy”, ma il brano e lungo, lento e pesante, al punto da mettere a dura prova anche l’ascoltatore più paziente, annichilito da una quantità (e qualità) di idee piuttosto scarsa in rapporto ad una durata davvero difficile da giustificare. 

Il primo disco si chiude con l’heavy grezzo ed epicheggiante di “Deliver Us From Evil” e, a fronte di pattern ritmici che possono richiamare certo power metal, Matteo innesta delle growl vocals di scuola addirittura proto-black che, tutto sommato stridono meno, di quanto si potesse immaginare dato il contesto, pur rimanendo il brano, in generale, piuttosto lontano da territori d’eccellenza.

Il secondo atto si apre all’insegna di canti gregoriani che introducono l’ottima “Contemplation”, sicuramente tra i brani più riusciti di “Climb To Nothing’s Road”, con i suoi delicati arpeggi e le atmosfere meste e soffuse per quanto, probabilmente, con un cantato più vibrante (qualcuno ha detto Zakk Wylde?) il risultato sarebbe stato ancora migliore. “Beyond This World” è un rock melodico ultra leggero che ricorda a tratti addirittura i R.E.M. Di “It’s The End Of The World”, senza infamia né lode e di nuovo un po’ penalizzato da una voce non all’altezza.

Prende in prestito il titolo da una celeberrima hit dei Black Sabbath, la grigia ballad “Beyond The Wall Of Sleep”, non male e anzi dotata di una linea vocale interessante, per quanto risulti un po’ forzato l’inserimento di un pezzo simile in questo frangente dell’album e a poca distanza di una “Contemplation” che batte territori similari. Altro giro altra suite: tocca a “Beyond This Mind” con i suoi oltre dodici minuti di musica, ma anche qui, in tutta franchezza, pur non trovandosi ai livelli dell’interminabile title track, è di nuovo la noia a farla da padrona e non bastano alcuni passaggi che strizzano debolmente l’occhio al prog rock a salvare capra e cavoli.

Le sveglie di “The Awakening” potrebbero facilmente richiamare alla mente i Pink Floyd ma un riff che più glam non si può e il cantato finalmente appropriato di Matteo, sulle tracce delle ugole più viziose dello street/glam di 25 anni or sono, ci trascinano sulla scia dei vari Faster Pussycat, Dogs D’Amour e compagnia decadente e per una volta il divertimento è assicurato.  

“Undisclosed Eyes, Undisguised Soul” fa da ponte, con le sue atmosfere rilassate (che, a dirla tutta, di nuovo poco c’azzeccano) tra la precedente canzone e la successiva doppietta composta dall’heavy speed metal senza guizzi di “New Born” e dalla cinematografica “The Path Of Life”, scandita da una batteria militaresca, da magniloquenti arrangiamenti orchestrali e innesti di voce che vanno avanti per ben sei minuti e mezzo (di nuovo, troppi!) fino alla conclusione.  

Spiacevole a dirsi, ma sono purtroppo più le ombre che le luci in questo debut album e il nostro consiglio per gli Overnight Sensation è quello di focalizzare meglio cosa essi stessi vogliano realmente fare e di mettersi nelle condizioni di farlo al meglio, prima di andare a realizzare un disco così ambizioso, sia in termini di tematiche che di durata. Le assonanze con numerosi act blasonati e peraltro appartenenti ai sottogeneri più disparati (Megadeth, Metallica, Ten, Faster Pussycat, hard ed heavy classico in genere ecc ecc) più che di eclettismo sono, in questo momento, segnale di mancanza di una reale chiarezza di idee e probabilmente di una ricerca identitaria ancora in fieri. Va altresì rimarcato che la qualità di registrazione (pur tenuto conto della natura di autoproduzione di questa release, si sente oggettivamente di meglio in giro, anche a livello amatoriale) e la scelta di una voce con limiti molto evidenti, sia dal punto di vista dell’estensione che dell’espressività, costituiscono due dei punti su cui ci sono in assoluto i maggiori margini di miglioramento. Rimandati seppur con rammarico.  

Stefano Burini

 

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Tracklist

ACT 1:

01- Burnin’ Out Your Mind  (6.36)

02- Cuts Like A Knife   (5.20)

03- Runaway From Myself  (5.52)

04- Shot To My face, Stab To My Heart   (5.07)

05- Stolen Wings   (9.55)

06- Who? You?   (6.03)

07- Climb To Nothing’s Road    (17.02)

08- Deliver Us From Evil   (7.57)    

 

ACT 2:

01- Contemplation   (6.56)

02- Beyond This World   (5.27)

03- Beyond The Wall Of Sleep  (6.00)

04- Beyond This Mind   (12.36)

05- The Awakening  (4.10)

06- Undisclosed Eyes, Undisguised Soul  (3.18)

07- A New Born   (5.05)

08- The Path Of Life   (6.35)

 

Line Up

Matteo Manfrin: voce e chitarra

Simone Pelagattichitarra e tastiera

Davide Casalibasso

Stefano Beltraminibatteria

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