Recensione: Cold Inferno

Di Daniele D'Adamo - 11 Giugno 2015 - 0:00
Cold Inferno
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2015
Nazione:
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78

Ormai non ci sono più dubbi: è nata la ‘N.W.O.I.D.M.’, acronimo ostico da digerire quanto la musica che l’identifica. ‘New Wave Of Italian Death Metal’. Death metal italiano, insomma. Dall’old school, al brutal, al technical, al symphonic, al cyber, all’indistrial e, ultimo non ultimo se non per il caso che riaguarda questa recensione, al melodic. Tutti sotto-generi che, fra le fila, annoverano numerosi Campioni, in grado di competere con le migliori band internazionali. Per non far torto a nessuno è meglio evitare di vergare dei nomi, ma è sufficiente scorrere le analisi critiche delle varie uscite disografiche per rendersi conto di come, nel 2015, il death metal italiano sia assurto, per tecnica e composizione, ai massimi livelli assoluti.  

I Disarmonia Mundi, creatura del polistrumentista piemontese Ettore Rigotti, esistono dal sedici anni, e in tale intervallo di tempo non si sono certo fermati a guardarsi attorno, malgrado il Nostro sia attivo su più fronti contemporanei (Slowmotion Apocalypse, The Stranded, Destrage, Blood Stain Child, Rise To Fall). Dal 1999, infatti, nella discografia della band (o, meglio, della one-man band gestita da Rigotti sommata alla presenza del cantante Claudio Ravinale) spiccano un singolo (“Perdition Haze”, 2009), una compilation (“Nebularium + The Restless Memoirs”, 2009), due split (“Princess Ghibli”, 2011 – Blood Stain Child, Destrage, Living Corpse, Neroargento; “Princess Ghibli II”, 2012 – Blood Stain Child, Destrage, Living Corpse, Rise To Fall, The Stranded). Ma, soprattutto, cinque full-length: “Nebularium”, 2001; “Fragments Of D-Generation”, 2004; “Mind Tricks”, 2006; “The Isolation Game”, 2009 e “Cold Inferno”, 2015.      

“Cold Inferno” conferma ciò che si era intravisto in “The Isolation Game”, e cioè l’abbandono quasi in toto delle classiche sonorità del melodic death metal di matrice scandinava. Fatto, questo, dovuto presumibilemente a un feeling via via sempre più intenso fra Rigotti e Ravinale, che ha facilitato la costruzione di una struttura stilistica più ricca di personalità, più bilanciata e continua nella riproposizione del mood della band di Avigliana. Il che, in parole povere, significa aver finalmente centrato uno stile rappresentativo dell’anima musicale del duo, certamente privo di particolari spunti innovativi ma ben saldo nella riproposizione di schemi armonici riconducibili con facilità alle song del nuovo platter.

Le canzoni, come più su accennato, non mostrano alcuna incertezza sia nel processo di realizzazione – totalmente professionale in tutto – , sia nella linearità compositiva; semplice e lineare come da genere scelto. Alcune di esse, come da copione, spaccano le membra, come l’eccellente “Creation Dirge”, gragniuola di riff sulla schiena, il cui dolore è lenito dal ‘solito’ refrain in clean di Rigotti. Che, qui, riesce a esprimere la sua filosofia vocale in modo meno scolastico e più intuitivo, azzeccando più d’un ritornello ‘tormentone’ come quello l’opener appena menzionata. L’ossatura del disco è inoltre rinforzata dai riff massicci di “Slaves To The Illusion Of Life” (altro chorus ‘trapanante’…), dalla violentissima “Clay Of Hate”, totale assalto fonico alla giugulare reso meno aggressivo, come da cliché, dalla resa accattivante del refrain. Ultimo ma non ultimo è l’aspetto elettronico e quindi quello delle tastiere, particolarmente caro a Rigotti e che, come la ciliegina della torta, regala al sound dei Disarmoia Mundi l’onore della modernità. Di come, cioè, va correttamente interpretato il death melodico nel terzo lustro del terzo millennio.

Disarmonia Mundi: granzia di grande qualità.    

Daniele “dani66” D’Adamo

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